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Come diventare prof in quattro settimane

Il manifesto esposto anche all’aeroporto di Stoccarda, che fa parte della campagna con cui il land del Baden-Württemberg spera di attirare nuovi insegnanti. (Realschullehrerverband)

La scorsa estate chiunque arrivava all’aeroporto di Stoccarda veniva accolto da un enorme manifesto giallo con le scritte viola: “Sei atterrato e non hai voglia di lavorare domani? Evvivaaaaa! Fai quello che ti piace e diventa insegnante”. Annunci simili sono comparsi ovunque in Germania. Sui cartelloni pubblicitari ai lati delle strade, sugli autobus, sui social.

Secondo le stime della Gewerkschaft Erziehung und Wissenschaft (Gew), l’unione dei sindacati tedeschi per la scuola e la ricerca, nel paese mancano 30mila insegnanti. Un preside su due non riesce ad assegnare le cattedre vacanti. Così ogni settimana centinaia di migliaia di lezioni vengono cancellate o svolte solo parzialmente; in alcuni istituti saltano dall’orario materie come fisica e chimica e in altri è normale per i ragazzi trovarsi a studiare in classe senza un adulto che li guidi. Per provare ad alleviare il problema, i ministeri dell’istruzione dei land hanno deciso d’impiegare come docenti anche persone che non hanno studiato per esserlo: ingegneri, traduttori, avvocati, commercialisti, ex dipendenti dell’Ikea, lavoratori dello spettacolo.

Attualmente due scuole tedesche su tre hanno maestri o professori con una formazione non tradizionale, quasi il doppio rispetto a cinque anni fa. Nella Sassonia-Anhalt circa la metà dei neoassunti rientra in questa categoria, più che in qualsiasi altro land. Olesja Brückel è una di loro. Il settimanale Die Zeit l’ha seguita per un semestre, da agosto a fine gennaio.

Brückel ha 38 anni, è madre di due bambini e ha studiato economia sociale all’università. È stata consigliera comunale del Partito socialdemocratico (Spd) in una piccola città del Baden-Württemberg, nel sudovest della Germania, e ha lavorato per undici anni in due studi di revisione contabile. Circa un anno fa si è resa conto che occuparsi di contabilità la esauriva: troppe scadenze da rispettare, non riusciva a stare dietro a tutto, dormiva male. Il suo medico le ha dato qualche giorno di malattia e le ha consigliato di cambiare lavoro. Lei ha pensato all’insegnamento, visto che già dava ripetizioni di matematica.

La materia che conosceva meglio era economia. E aveva letto che nella Sassonia-Anhalt cercavano persone disposte a insegnare alle superiori, qualsiasi disciplina. Avrebbe ricevuto da subito uno stipendio regolare: 3.774,86 euro lordi al mese, per un tempo pieno.

Presentare la candidatura è stato semplice: ha inviato curriculum, certificato di laurea e diploma di maturità e poi ha fatto un colloquio di mezz’ora, in videochiamata, con un funzionario dell’ufficio scolastico del land. Tre settimane dopo ha ricevuto una chiamata dalla preside del Philanthropinum, un gymnasium (la secondaria più simile al nostro liceo, che dura otto o nove anni) di Dessau, che le annunciava l’assunzione. In estate si è trasferita lì con il compagno e i figli.

Avrebbe dovuto insegnare quattro materie. Economia in una classe del nono anno (la nostra prima superiore). Matematica a 28 bambini e bambine del quinto (appena usciti dalla primaria). E due materie di cui non aveva mai sentito parlare: “Studo” e “Daz”, cioè orientamento allo studio e tedesco come seconda lingua.

Ad agosto, prima di cominciare al Philanthropinum, Brückel ha frequentato un corso preparatorio di quattro settimane, organizzato nella sala conferenze di un hotel a una cinquantina di chilometri da Dessau. Gli aspiranti insegnanti erano 33. Le lezioni, dal lunedì al venerdì, di solito dalle 9 alle 16, riguardavano le norme sull’istruzione, le nuove tecnologie e i voti. Solo l’ultimo giorno hanno parlato di come gestire i momenti di caos o di disattenzione.

Brückel ha riflettuto molto su che tipo di insegnante aspirava a diventare. Non voleva essere autoritaria ma neanche troppo amichevole, perché i ragazzi devono sapere chi comanda in classe e che ci sono regole da rispettare. Ma cosa succede se non le rispettano? C’è un registro di classe? E quanto tempo è giusto dedicare alla lezione frontale? Qual è l’equilibrio tra attività di gruppo e apprendimento individuale? Durante il corso la risposta che Brückel otteneva era sempre: dipende. Dalla scuola, dalla materia, dalla classe.

È un approccio che può funzionare? “Nessuno può trasformarsi in insegnante in poche settimane”, dice alla Zeit Klaus Klemm, uno dei più noti ricercatori tedeschi in campo educativo. Nella Sassonia-Anhalt la formazione per insegnare al gymnasium dura solitamente almeno quattro anni. Tra un semestre e l’altro sono previsti dei tirocini e alla fine un periodo di prova di sedici mesi, in cui i candidati in parte assistono un docente e in parte tengono le lezioni. Klemm si lamenta anche della miopia dei governi statali, che hanno ignorato i numeri. Nel 2011 sono nati in Germania 663mila bambini, sei anni dopo 785mila: un aumento del 18 per cento. Anni dopo quel 18 per cento di nati in più si sarebbe tradotto all’incirca in un 18 per cento d’iscritti in più alla scuola primaria. Non è un calcolo difficile da fare, eppure né i land né le università ci hanno pensato.

Con gli alunni della quinta classe Brückel si è trovata abbastanza a suo agio fin da subito. Con quelli della nona invece l’inizio è stato in salita: 22 ragazzi e cinque ragazze, quasi tutti di quattordici o quindici anni, che si appisolavano in classe, le rispondevano con insolenza, tiravano palline di carta o disegnavano peni alla lavagna. Nessuno le aveva spiegato come reagire. Gli altri neoassunti che avevano frequentato il corso con lei ad agosto avevano le sue stesse sensazioni.

Con alcuni di loro Brückel ha continuato a vedersi regolarmente. La conversazione cadeva sempre sulle matite che volano in classe o sui genitori che si lamentano. Una donna ha detto che spesso restava sveglia fino a tarda notte per preparare le lezioni, o le capitava di svegliarsi in preda al panico. Uno, seduto vicino a lei, ha ammesso che non riusciva a far rispettare neanche le regole più semplici. Un uomo più anziano, con un dottorato in scienze umane e un passato in un museo, ha confidato agli altri di aver lasciato la scuola a dicembre. “È stata una follia totale”, ha detto. Secondo lui il corso di preparazione era stato eccessivamente breve, c’era troppa burocrazia e troppo poco tempo per prendere confidenza con le classi, che erano ingestibili. Non aveva la preparazione e le energie per affrontare tutto questo.

Brücker era più positiva. Ha raccontato che con gli studenti più piccoli i permessi per andare in bagno le erano completamente sfuggiti di mano, e aveva sottovalutato quanto tempo avrebbero richiesto le letture ad alta voce. Con gli studenti più grandi, però, aveva preso coraggio, sperimentava e un po’ alla volta loro si sono affezionati a lei.

Tra i casi promettenti come quello di Brücker e i fallimenti come quello dell’ex dipendente del museo, un dato è certo: nella Sassonia-Anhalt un candidato su tre si ritira.

Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.

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