Si chiamava Joseph, aveva sei mesi, è morto dopo essere stato soccorso nel Mediterraneo centrale insieme a sua madre, una donna originaria della Guinea. L’imbarcazione sulla quale viaggiavano insieme a un altro centinaio di persone era partita dalla Libia ed è collassata, poco prima che arrivassero i soccorsi. La sua morte solleva più di un interrogativo ancora senza risposte sulle politiche migratorie dell’Unione europea e sull’assenza di un sistema comune europeo di soccorso. Alcuni si chiedono inoltre perché non siano intervenuti i mezzi militari della missione Mare sicuro, in attività in quell’area.
Dopo ore in mare, 88 persone sono state messe in salvo dalla nave spagnola Open Arms, l’unico mezzo di soccorso presente sul posto, mentre altre sei non ce l’hanno fatta. Molte persone tra quelle cadute in acqua erano in arresto cardiaco quando sono state portate a bordo della nave. La segnalazione dell’imbarcazione in difficoltà è arrivata per la prima volta da un aereo di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. La nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva Open Arms ha chiesto un’evacuazione medica, ma non c’erano altri mezzi di soccorso né governativi né non governativi nell’area. Il network di volontari Alarmphone, il giorno precedente, aveva allertato sulla presenza di circa duecento persone in pericolo di vita al largo della Libia.
“Purtroppo nel 2020 c’è ancora bisogno di noi perché l’Europa intera non ha finora messo a punto un sistema davvero efficace di ricerca e di soccorso, c’è l’urgenza di sbloccare le barche delle organizzazioni che oggi sono impossibilitate a operare”, afferma l’operatrice legale di Open Arms Valentina Brinis. “Chi si trova in difficoltà, va salvato. Questo orienta l’azione dei medici, degli infermieri e di tutti quelli che a terra, in questi mesi, stanno affrontando una sfida epocale”, continua l’operatrice, che aggiunge: “La guardia costiera italiana in queste ore si è mostrata molto vicina al nostro equipaggio e alle richieste avanzate: sembrava quasi di essere tornati allo spirito di collaborazione che aveva contraddistinto la modalità operativa fino al 2017”.
Abbiamo riflettuto se fosse il caso di mostrare il grido del naufragio, il dolore e la disperazione. %3Cbr%3EAbbiamo deciso di rendere pubblico quello che accade in quel tratto di mare perch%C3%A9 i nostri occhi non siano i soli a vedere e perch%C3%A9 si ponga fine a tutto questo subito. %3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/Joseph?src=hash&ref_src=twsrc%255Etfw%22%3E#Joseph%3C/a%3E %3Ca href=%22https://t.co/exny2hYi8q%22%3Epic.twitter.com/exny2hYi8q%3C/a%3E
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Il 10 novembre sulla stessa rotta altre tredici persone sono annegate al largo della costa libica, secondo quanto riportato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Il portavoce Flavio Di Giacomo ha detto che le undici persone sopravvissute al naufragio sono state tutte riportate in Libia, aggiungendo che nel 2020 “oltre 10.300 migranti sono stati intercettati in mare e rimandati in Libia”, nonostante il paese sia considerato non sicuro perché non riconosce la convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e permette la detenzione arbitraria degli stranieri. L’agenzia di stampa Associated Press ha detto che si è trattato del “quarto naufragio di migranti al largo delle coste libiche dall’inizio di ottobre”.
Il portavoce dell’Oim in Libia Safa Msehli ha specificato che l’imbarcazione aveva lasciato la città occidentale di Zuara lunedì sera. Gli undici sopravvissuti al naufragio del 10 novembre hanno detto al personale dell’Oim che “l’acqua aveva iniziato a entrare nel gommone dopo cinque ore di navigazione”. Secondo i dati dell’Oim, il bilancio complessivo dei morti nel Mediterraneo centrale dall’inizio del 2020 è di 575 persone, ma si teme che il dato sia fortemente sottostimato perché al momento non ci sono testimoni governativi e non governativi lungo la rotta.
Molte imbarcazioni di soccorso tra cui Sea-Watch 4, Alan Kurdi, Louise Michel e la Ocean Viking sono state bloccate nel corso degli ultimi mesi dalle autorità italiane per presunte irregolarità amministrative. Nonostante la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen abbia sostenuto la necessità di ripristinare un sistema europeo di soccorso in mare, lungo la rotta più pericolosa del mondo la situazione è sempre più drammatica.
Intanto in ventiquattro ore la Open Arms ha tratto in salvo 263 persone – tra donne, uomini e bambini – e sei sono state trasferite a causa di problemi medici. L’imbarcazione di soccorso al momento si trova a largo di Lampedusa e chiede urgentemente un porto di sbarco.
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