Ha diritto a fare immediato ingresso in Italia per poter chiedere l’asilo un migrante pachistano che era rientrato in Slovenia nel luglio del 2020, dopo essere arrivato a Trieste. Lo ha deciso il tribunale di Roma con un’ordinanza, che ha accolto il ricorso urgente presentato dal richiedente asilo, respinto prima in Slovenia dall’Italia, poi in Croazia e quindi in Bosnia, secondo un meccanismo consolidato di respingimenti a catena.
“È stato un caso complesso, ma molto importante. Il ragazzo era scappato dal suo paese per il suo orientamento sessuale, aveva tentato il cosiddetto game varie volte, ma era stato respinto dieci volte dalla Croazia alla Bosnia”, racconta Caterina Bove, che insieme ad Anna Brambilla dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha presentato il ricorso. “Quando a luglio è finalmente riuscito ad arrivare a Trieste è stato respinto. Come al solito non è stato informato sulla procedura che gli era stata applicata, è stato riportato al confine con la Slovenia, detenuto e consegnato ai croati. In Croazia ha subìto trattamenti inumani e degradanti. Gli hanno lanciato contro i cani, hanno usato manganelli uncinati per picchiarlo. Poi è stato rimandato in Bosnia. A Lipa non c’era posto, ora si trova a Sarajevo in un edificio abbandonato”, continua l’avvocata.
Secondo il tribunale di Roma, la procedura delle “riammissioni” dall’Italia alla Slovenia (che nel 2020 ha riguardato almeno 1.400 persone) viola le norme internazionali, europee e nazionali che regolano l’accesso alla procedura di asilo, in particolare l’articolo 10 della costituzione italiana, l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati che sancisce il divieto di respingimento (non refoulment) e l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che sancisce lo stesso principio. “La procedura è stata eseguita senza la consegna agli interessati di alcun provvedimento e senza alcun esame delle situazioni individuali, dunque con una chiara lesione del diritto di difesa e del diritto alla presentazione di un ricorso effettivo”, ha commentato l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) in un comunicato.
La situazione dei migranti al confine tra Bosnia e Croazia (Video di Annalisa Camilli)
“Inoltre essa è realizzata mediante un trattenimento senza alcun ordine dell’autorità giudiziaria e, non da ultimo, è in palese contrasto con l’obbligo di non refoulement che vieta di esporre lo straniero al rischio di subire trattamenti inumani e degradanti, i quali, come documentato da numerose ong e dalle testimonianze raccolte dal Border violence monitoring network (Bvmn), rappresentano una drammatica costante al confine croato”, continua il comunicato.
Tra il gennaio del 2019 e il gennaio del 2021 i volontari del Bvmn hanno raccolto le testimonianze di 4.340 persone respinte da ufficiali croati, 845 delle quali con l’uso di armi a scopo intimidatorio o offensivo. “Le testimonianze dell’impiego di cani sono molto frequenti”, afferma il rapporto La rotta balcanica pubblicato dalla rete RiVolti ai Balcani il 16 gennaio.
Tra il dicembre del 2019 e l’ottobre del 2020 il Danish refugee council (Drc) ha registrato 21.422 respingimenti dal confine croato con un aumento, negli ultimi mesi, dei respingimenti avvenuti con il ricorso a violenze, torture, confisca e distruzione dei beni personali. Il 20 novembre l’ufficio del difensore civico europeo ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sulle possibili responsabilità della Commissione europea nel mancato rispetto dei diritti dei migranti e dei rifugiati in Croazia. Il fascicolo è stato aperto dopo un rapporto di Amnesty international e di altre organizzazioni che operano lungo la rotta.
Il difensore civico europeo si chiede come siano stati spesi i soldi versati da Bruxelles a Zagabria per la gestione dei flussi migratori e se siano state ignorate le denunce delle violazioni sistematiche compiute dai croati. Entro il 31 gennaio dovrebbe arrivare la risposta di Bruxelles, mentre Zagabria ha sempre negato ogni responsabilità. Secondo le testimonianze raccolte, molte persone respinte dalla Croazia in Bosnia o in Serbia, sono state vittime di respingimenti “a catena”, dalla Slovenia e anche dall’Italia. Il ministero dell’interno italiano ha ammesso di aver respinto in Slovenia 1.240 persone tra il 1 gennaio e il 15 novembre 2020.
“Si tratta di numeri impressionanti, specie se confrontati con quanto accaduto nello stesso periodo del 2019, quando le persone respinte furono 237. Corrisponde a un aumento del 423 per cento”, spiega Gianfranco Schiavone, del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste. Per l’Italia si tratta di “riammissioni” che vengono fatte in base a un accordo bilaterale con la Slovenia del 1996, mai ratificato dal parlamento. Il tribunale di Roma ha ora stabilito che questi procedimenti non sono legali.
“Chiunque arriva in frontiera ha il diritto di chiedere l’asilo e inoltre la riammissione è illegale, perché comporta che la persona finisca nelle mani dei croati e poi in Bosnia, dove sappiamo che è sottoposta a violenze e a tortura”, spiega Bove. “In questo modo il nostro paese diventa corresponsabile di quei trattamenti”, conclude.
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