Il nuovo segretario del Partito democratico, Enrico Letta, appena insediato ha rilanciato la proposta di una legge di riforma della cittadinanza per i bambini nati in Italia da genitori stranieri. Letta vorrebbe che la riforma fosse inserita nell’agenda del governo Draghi e che fosse approvata prima della fine della legislatura. La proposta è stata sostenuta dalla presidente dello stesso partito Valentina Cuppi e da alcuni parlamentari come Graziano Delrio, uno dei primi sostenitori della riforma già da quando era sindaco di Reggio Emilia.
Al momento non c’è nessuna proposta di legge in parlamento che preveda lo ius soli, bensì un disegno di legge presentato all’inizio della legislatura, a marzo del 2018, da in gruppo di deputati di Liberi e Uguali (Leu). La proposta prevede che possa acquisire la cittadinanza il minore straniero che è arrivato in Italia prima dei dieci anni di età e che è rimasto nel paese fino ai 18 anni in maniera regolare, ma in particolare il disegno di legge reintroduce il concetto di ius culturae: cioè prevede che possa acquisire la nazionalità italiana il minore che abbia frequentato regolarmente un ciclo scolastico della scuola primaria o secondaria o secondaria di secondo grado nel sistema scolastico nazionale.
C’è quindi ora da capire se il Partito democratico si farà promotore di un’altra proposta di legge, anche se non sembra esserci l’appoggio né degli altri partiti al governo né degli altri gruppi parlamentari, in particolare della destra e dei cinquestelle. La riforma era nel programma del Pd alle elezioni politiche del 2013, il partito aveva presentato un disegno di legge che però si è arenato per due anni in senato, fino alla definitiva bocciatura nel dicembre del 2017, per opera degli stessi parlamentari del partito che non l’hanno sostenuta.
Il vecchio disegno di legge, erroneamente chiamato ius soli, prevedeva in realtà uno ius soli temperato e uno ius culturae. La proposta di legge non prevedeva infatti il diritto di acquisire la cittadinanza per tutti quelli che nascono sul territorio italiano, ma stabiliva bensì che potessero ottenere la cittadinanza italiana i bambini stranieri nati in Italia che avessero almeno un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo.
Nella vecchia proposta di legge, inoltre, si prevedeva che la cittadinanza dovesse essere richiesta da un genitore entro il compimento della maggiore età del figlio oppure che il ragazzo potesse fare richiesta della cittadinanza a 18 anni e fino due anni dal compimento della maggiore età. Ma la vera novità del vecchio progetto di legge era l’introduzione dello ius culturae: in base alla riforma avrebbe potuto ottenere la cittadinanza italiana anche il minore straniero nato in Italia o arrivato nel paese prima di compiere dodici anni che avesse frequentato regolarmente la scuola per almeno cinque anni o che avesse seguito percorsi d’istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei a ottenere una qualifica professionale.
La legge attuale sulla cittadinanza
La legge in vigore in Italia è stata approvata nel 1992 e considera cittadino italiano chiunque abbia almeno un genitore italiano, senza distinzioni tra chi nasce in Italia e chi nasce all’estero. Si fonda quindi principalmente sullo ius sanguinis (diritto di sangue), che fa derivare la cittadinanza da quella dei genitori e degli antenati. I cittadini stranieri residenti in Italia possono diventare italiani per naturalizzazione o per matrimonio.
La docente di sociologia politica Giovanna Zincone ricorda che – come tutti i paesi con un alto numero di emigrati – l’Italia ha favorito la trasmissione della cittadinanza “con il sangue”, per mantenere un legame con i tanti emigrati italiani che vivevano e lavoravano all’estero e contribuivano allo sviluppo e all’arricchimento del paese attraverso le rimesse. Invece Roma non è riuscita ad approvare delle misure che estendano la cittadinanza agli stranieri che risiedono sul territorio italiano da molti anni e ai loro figli nati e cresciuti in Italia, anche se è dalla fine degli anni novanta che si parla di ius soli (diritto di cittadinanza legato al luogo di nascita).
La legge numero 91 del 1992 ha rafforzato il principio dello ius sanguinis ed è nata proprio per favorire gli italiani all’estero
La legge numero 91 del 1992 ha rafforzato il principio dello ius sanguinis ed è nata proprio per favorire gli italiani all’estero, cioè i discendenti degli emigrati italiani, mentre ha introdotto tempi più lunghi per la naturalizzazione dei cittadini di nazionalità straniera. La riforma ha infatti ridotto a tre anni (da cinque) il tempo per il quale devono risiedere in Italia i discendenti degli italiani che vogliono ottenere la cittadinanza e ha permesso loro di mantenere il doppio passaporto, mentre i cittadini di paesi non europei devono risiedere qui almeno dieci anni (prima erano cinque).
La legge del 1992, inoltre, ha reso più difficile per i figli dei cittadini stranieri acquisire la cittadinanza italiana, perché ha introdotto l’obbligo di residenza continuativa e legale nel paese fino al compimento del diciottesimo anno di età. Con la riforma del 1992, il matrimonio è diventato uno dei principali canali di accesso alla cittadinanza: per chiederla bastava essere sposati da appena sei mesi con un italiano o un’italiana. Nel 2009 però questa parte della legge è stata cambiata quando il governo Berlusconi ha inserito nel Pacchetto sicurezza una norma che ha innalzato il termine a due anni.
La lunga storia dello ius soli
Non è la prima volta che il Pd sostiene di voler fare una riforma della cittadinanza. La prima proposta di riforma della legge sulla cittadinanza per gli stranieri residenti è stata presentata dalla ministra degli affari sociali Livia Turco nel 1999. In particolare la proposta prevedeva che i figli nati in Italia di cittadini stranieri potessero chiedere la cittadinanza all’età di cinque anni, dopo aver vissuto legalmente e continuativamente nel paese.
I genitori avrebbero dovuto dimostrare di essere residenti in Italia da almeno cinque anni. “L’idea era quella di evitare che i bambini che cominciavano il ciclo scolastico obbligatorio fossero trattati come stranieri e avessero meno diritti rispetto ai bambini nati in Italia da genitori italiani”, ricorda Zincone nel suo saggio. Il progetto di riforma della cittadinanza del 1999 fallì, ma alcuni tratti della proposta di legge rimasero nelle proposte successive.
Nel 2006, l’allora ministro dell’interno Giuliano Amato propose una nuova riforma della cittadinanza, che fu decisamente ostacolata dai partiti d’opposizione anche se un sondaggio aveva evidenziato che la maggior parte degli italiani era d’accordo con la riforma.
Nel 2008 la vittoria della coalizione di centrodestra, formata da Forza Italia e dalla Lega nord, e la scelta di spostare le politiche migratorie sul piano dell’ordine pubblico impressero una battuta d’arresto al dibattito sulla riforma. Nel 2009 i deputati Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Popolo della libertà) proposero una riforma bipartisan della cittadinanza, che però si fermò nel 2010 per il timore del Pdl di esporsi su questo tema all’inizio della campagna elettorale per le regionali.
Dopo la bocciatura della legge bipartisan, nel 2011, una ventina di associazioni lanciarono la campagna l’Italia sono anche io, una raccolta di firme che portò a presentare in parlamento due leggi di iniziativa popolare. La campagna fu sostenuta dall’allora sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, che era anche presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci). Furono raccolte 200mila firme.
Il testo della legge d’iniziativa popolare fu depositato alla camera il 5 febbraio del 2012. Il 13 ottobre del 2015, dopo una lunga discussione parlamentare, fu approvata una riforma che inglobava la legge d’iniziativa popolare e altre venti proposte di legge. Tuttavia la norma, che prevede lo ius soli temperato e lo ius culturae, fu bloccata in senato per due anni e infine venne bocciata nel dicembre del 2017, gli mancò ancora una volta il sostegno dei parlamentari del Pd.
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