La denuncia delle Nazioni Unite è allarmante: milioni di afgani, compresi migliaia di bambini, rischiano di morire di fame se non saranno assunte misure urgenti per aiutare il paese. Lo ha dichiarato il direttore esecutivo del World food programme (Wfp) David Beasley il 25 ottobre, a pochi giorni dall’avvio del G20, il vertice dei capi di stato e di governo che si terrà a Roma il 30 e 31 ottobre e che, tra i tanti temi, dovrà occuparsi anche della questione e delle conseguenze per le migrazioni globali. Della situazione nel paese si è già parlato durante il G20 straordinario del 12 ottobre, che si è svolto sempre sotto la presidenza di turno italiana.
Secondo Beasley, 22,8 milioni di persone, più della metà dei 39 milioni di abitanti dell’Afghanistan, stanno affrontando una situazione drammatica dal punto di vista dell’accesso al cibo e rischiano la fame. L’agenzia delle Nazioni Unite ha detto di aver bisogno di 220 milioni di dollari al mese per far fronte alle necessità alimentari di 23 milioni di persone, rese ancora più vulnerabili dall’arrivo dell’inverno. La situazione alimentare e umanitaria in Afghanistan era critica anche prima della presa del potere da parte dei taliban, nell’agosto del 2021. Ma l’arrivo degli islamisti al governo ha peggiorato la situazione, perché i donatori hanno congelato i fondi a un governo che non è riconosciuto dalla comunità internazionale, in un paese che è dipendente dagli aiuti stranieri.
Questa situazione umanitaria avrà delle ripercussioni inevitabili sui flussi migratori, ma al momento manca una strategia comune per affrontarla. Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), 700mila afgani hanno dovuto lasciare le loro case nel 2021. L’Europa, tuttavia, è divisa sulla strategia di accoglienza da adottare. Anzi, per i governi dell’Unione europea la priorità sembra essere quella di evitare che si verifichi una nuova crisi migratoria, come quella avvenuta nel 2015 in seguito alla guerra siriana.
“Abbiamo chiesto ai governi europei un impegno concreto che abbiamo articolato in tre punti: reinsediamenti, corridoi umanitari, ricongiungimenti, ma anche un’accoglienza giusta ed equa degli afgani che sono già in Europa o che sono alle frontiere europee, al momento infatti quelli che si vedono negato l’asilo in Europa, rischiano di essere rimpatriati in Afghanistan e molti sono respinti alle frontiere europee”, ha dichiarato Leila Bodeaux di Caritas Europe, un coordinamento che raggruppa 49 Caritas europee, parlando al festival Sabir, dedicato al tema. Secondo Bodeaux, al momento non c’è nessun impegno concreto dei governi europei sul tema. “I singoli governi hanno tutto il potere, l’Europa non può fare nulla senza che i governi lo vogliano”, ha concluso.
Al momento l’Europa non è il continente che accoglie il maggior numero di profughi afgani
I fantasmi del passato sembrano pesare di più della lungimiranza e per il momento l’unico orientamento comune è la solita strategia di esternalizzazione: mandare fondi ai paesi extraeuropei perché fermino i movimenti di persone. Il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, che ha coordinato il lavoro sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, il 29 settembre parlando con i giornalisti a Bruxelles ha rivelato un nuovo piano dell’Unione per avviare una “piattaforma politica regionale di cooperazione con i paesi limitrofi all’Afghanistan”. In pratica si tratterebbe di stringere accordi con Iran e Pakistan perché si occupino di accogliere i profughi afgani e fermare il loro viaggio verso ovest.
Al momento l’Europa non è il continente che accoglie il maggior numero di profughi afgani: secondo le Nazioni Unite dei circa 2,6 milioni di profughi afgani nel mondo, 1,4 milioni si trovano proprio in Pakistan e 780mila in Iran. In Europa gli afgani sono il secondo gruppo più numeroso di rifugiati, ma sono sottoposti a politiche di accoglienza e di asilo molto eterogenee, diverse da paese a paese. La Grecia è stato il paese in cui nel 2020 sono state accettate più richieste di asilo da parte degli afgani. Secondo i dati elaborati da Openpolis, parliamo di più di diecimila persone, ovvero più del doppio di quante ne hanno accolte la Germania e la Francia (rispettivamente 4.585 e 4.765 persone).
Tra i paesi che ospitano un numero considerevole di rifugiati, la Spagna è invece quello che ha concesso l’asilo a meno afgani: solo 95 dei 51mila richiedenti presenti nel paese cui è stata riconosciuta la protezione nel 2020 erano di nazionalità afgana. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2020 gli esiti positivi sono stati 1.060, un quarto rispetto a Francia e Germania.
Dal 14 agosto gli stati europei sono riusciti a portare 22mila persone via dall’Afghanistan con un ponte aereo. L’Italia è stato il paese più virtuoso, con cinquemila trasferimenti: si tratta di persone che avevano lavorato con le forze armate occidentali o con il governo afgano e che erano in pericolo di vita. La viceministra degli esteri Marina Sereni, il 28 ottobre, intervenendo al festival Sabir di Lecce ha annunciato che il 4 novembre l’Italia firmerà un protocollo d’intesa per permettere che nel corso dei prossimi due anni 1.200 afgani arrivino da Iran e Pakistan con i corridoi umanitari, finanziati da Caritas, Arci, Cei, Comunità di Sant’Egidio e Chiese Valdesi e per la prima volta sostenuti anche dall’Unhcr.
“I richiedenti asilo saranno trasferiti dai paesi limitrofi in Italia, dove avvieranno la procedura per la richiesta di asilo. L’accoglienza sarà finanziata dalle organizzazioni private che promuovono i corridoi. Siamo solo all’inizio del percorso, dobbiamo ancora attivare tutta la procedura in Iran e Pakistan, ma è un’ottima notizia”, ha commentato il responsabile immigrazione della Caritas, Oliviero Forti.
I governi europei durante le concitate giornate della presa di Kabul da parte dei taliban, avevano fatto molte promesse di apertura di vie legali e di reinsediamenti, ma a diversi mesi di distanza non sembra si sia mosso nulla.
L’Unhcr ha chiesto agli stati dell’Unione europea di concedere 42mila reinsediamenti di afgani dai paesi extraeuropei nel corso dei prossimi cinque anni, ma la Commissione ha risposto che al momento non c’è questa disponibilità da parte dei governi e non c’è nessuna stima di quanti afgani l’Unione è disposta ad accogliere attraverso le vie legali.
“Dopo i ponti aerei di agosto l’Italia e gli altri paesi europei sembrano essersi consegnati ai paesi più nazionalisti, che chiedono risorse pubbliche per costruire muri alle loro frontiere”, commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci che al tema dedica un seminario al festival Sabir. “Hanno risposto ancora una volta con l’esternalizzazione, che prevede di pagare per fermare. Ma se l’Europa facesse in termini di accoglienza lo stesso sforzo che fa il Canada, di afgane e afgani ne dovremmo accogliere diverse centinaia di migliaia”. Per Miraglia l’Europa ha responsabilità in quello che è successo in Afghanistan negli ultimi vent’anni e limitarsi a pagare per fermare le persone in paesi come l’Iran o il Pakistan, che già accolgono milioni di profughi, è una risposta insufficiente.
Nel frattempo continuano a emergere denunce e rapporti che mostrano violenti respingimenti da parte delle autorità europee coordinate dall’agenzia europea Frontex. I profughi sono respinti violentemente dalla Grecia, dalla Croazia, dalla Romania, dalla Bulgaria e dall’Ungheria. Anche al confine tra Italia e Slovenia centinaia di richiedenti asilo sono fermati dalle autorità italiane e riconsegnati alla polizia slovena che con un sistema di respingimenti a catena li riporta in Bosnia-Erzegovina: tra loro ci sono molti afgani.
Infine ci sono i rimpatri. Nonostante una dichiarazione congiunta in cui i governi europei si impegnavano a facilitare gli afgani che volevano lasciare il paese e ad assisterli, molti paesi europei hanno poi riconsiderato il loro impegno. L’Austria, il Belgio, la Danimarca, i Paesi Bassi, la Germania e la Grecia hanno chiesto alla Commissione europea l’autorizzazione a rimpatriare gli afgani a cui è stato negato l’asilo. In una lettera indirizzata al vicepresidente della Commissione Margaritis Schina e alla commissaria per gli affari interni Ylva Johansson, i rappresentanti di questi governi scrivono che interrompere i rimpatri manderebbe il segnale sbagliato e potrebbe motivare ancora più persone a cercare di raggiungere l’Europa.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it