Il 6 febbraio l’Italia ha consegnato al governo di Tripoli una nuova motovedetta per il pattugliamento delle coste: una classe trecento di nuova fabbricazione, nell’ambito del progetto europeo Support to integrated border and migration management in Libya (Sibmill). È la prima di cinque nuove motovedette finanziate dall’Unione europea, che sono destinate alla cosiddetta guardia costiera libica per intercettare i migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale e riportarli indietro nel paese nordafricano.
La consegna è avvenuta ad Adria, in provincia di Rovigo, alla presenza del ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, della ministra degli esteri libica, Najla el Mangoush, e del commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, mentre fuori dai cantieri navali gli attivisti protestavano contro le politiche migratorie italiane ed europee, denunciando le pesanti violazioni dei diritti umani che avvengono ai danni degli stranieri in Libia.
La consegna è avvenuta a pochi giorni dal rinnovo del Memorandum d’intesa tra Roma e Tripoli (Mou), avvenuto il 2 febbraio 2023, per altri tre anni. Secondo uno studio di ActionAid, l’Italia ha destinato in sei anni poco più di 124 milioni di euro a Tripoli per la fornitura di mezzi navali e terrestri, di strumentazione satellitare, di corsi di formazione, oltre che per la riparazione d’imbarcazioni e altre forniture.
“Si tratta di una stima al ribasso realizzata dall’osservatorio sulla spesa esterna in migrazione dell’Italia The big wall”, ha spiegato ActionAid in un comunicato. “Una spesa difficile da monitorare, sia per la complessità nelle modalità di gestione sia per i continui silenzi e dinieghi del ministero dell’interno e del ministero degli affari esteri”, scrive l’associazione nel suo rapporto.
I pescherecci sequestrati
Nel giorno in cui Roma ha consegnato alla Libia una nuova motovedetta per il pattugliamento delle coste e a poco meno di dieci giorni dalla visita della premier Giorgia Meloni a Tripoli che attraverso l’Eni ha promesso otto miliardi di euro per nuove esplorazioni di idrocarburi e gas, le milizie libiche hanno usato una delle imbarcazioni ricevute per minacciare e tentare di sequestrare quattro pescherecci italiani, ma non sono riuscite a farlo grazie all’intervento della nave militare italiana San Marco.
“Tutto è durato circa un’ora, con i libici che intimavano di fermare i motori, per far salire qualcuno di loro armato e la marina militare di non farlo. I libici volevano portare le barche a Tripoli”, ha raccontato Matteo Ruta, armatore del motopesca Vincenzo Ruta di Pozzallo all’agenzia di stampa italiana Agi. Il quotidiano Avvenire e Radio radicale hanno pubblicato gli audio delle conversazioni tra i libici e gli italiani.
I quattro pescherecci, tre di Mazara del Vallo e uno di Pozzallo, erano “a più di ottanta miglia a nord di Tripoli e sono stati avvicinati da una motovedetta donata dal governo italiano tra quelle donate dal governo Berlusconi. I libici hanno intimato l’alt alle barche, impegnate nella pesca a strascico a una velocità di tre nodi”. A quel punto il comandante di un peschereccio italiano “ha chiamato la nave militare italiana in zona da cui è decollato un elicottero. C’è stata una discussione via radio per circa un’ora, poi i libici se ne sono andati verso sud”.
“La cosa più grave è che se è vero che la marina militare ci ha dato assistenza, è altrettanto vero che ci ha fatti allontanare per altre 15-20 miglia verso nord”, ha dichiarato Ruta. “C’è qualcosa che non va se barche fatiscenti non si fanno intimorire da una nave militare, si tratta di pirati e forse sono altri gli interessi economici dell’Italia”. Non è la prima volta che i libici usano le motovedette per azioni di questo tipo, dirette a pescherecci italiani.
Le conseguenze dell’accordo
Ma fanno anche discutere le conseguenze umanitarie del memorandum con la Libia: tra il 2017 e la fine del 2022 sono state centomila le persone intercettate e riportate in Libia, molte delle quali sono state recluse nei centri di detenzione controllati dalle milizie dove sono comuni sequestri, torture e violenze e dove sono stati documentati dalle Nazioni Unite “indicibili orrori”.
Inoltre in sei anni è raddoppiato il tasso di mortalità in mare su quella che è considerata la rotta più pericolosa del mondo, che ha raggiunto il suo picco nel 2019, quando un migrante ogni dieci che “prendeva il mare” è annegato o risulta disperso. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni dal 2016 a oggi sono state quasi 14mila le persone morte o disperse lungo la rotta del Mediterraneo centrale, considerata la rotta più pericolosa del mondo.
“Le politiche di esternalizzazione delle frontiere sono finanziate con centinaia di milioni di euro di risorse provenienti dal bilancio dello stato. La maggior parte di questi soldi, in particolare per quanto riguarda la Libia, sono gestiti in modo poco trasparente e senza meccanismi adeguati di accountability in materia di diritti umani”, spiega Lorenzo Figoni di ActionAid. Il parlamento vota i finanziamenti attraverso l’istituzione di fondi ad hoc nella legge di bilancio, ma non chiede mai conto di questa spesa, così come delle strategie e delle politiche che di volta in volta i diversi governi, senza soluzione di continuità, hanno adottato negli ultimi anni in materia di politiche migratorie esterne.
Nuovi accordi e rimpatri
Nonostante queste criticità, la cooperazione con i paesi di origine e di transito dei migranti per fermare i flussi migratori (sul modello dell’accordo adottato dall’Italia con la Libia) e le strategie per incentivare i rimpatri sono due delle priorità del consiglio europeo straordinario del 9 e 10 febbraio.
Roma proverà a fare passare una linea più dura in linea con le misure adottate a livello nazionale. A fine novembre la commissione europea sembrava avere accolto le sue richieste, emanando il Piano per la rotta del Mediterraneo centrale che prevedeva addirittura di agire sulle autorità marittime internazionali per ottenere norme valide solo per le navi umanitarie. Ma le misure europee sono lontane dalle soluzioni radicali rivendicate dall’Italia.
In una lettera ai paesi membri in vista del consiglio europeo, la commissaria Ursula von der Leyen ha ricordato le misure che potrebbero essere varate a breve termine: rafforzare le frontiere esterne dell’Europa con l’uso di fondi europei a sostegno degli stati per finanziare “infrastrutture fisse e mobili”, accelerare il rimpatrio dei richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta e la cooperazione con i paesi di origine e transito come la Libia, nonostante le numerose denunce sulle violazioni dei diritti umani nel paese.
Von der Leyen ha sottolineato anche la priorità dei ricollocamenti di richiedenti asilo all’interno dei paesi europei, a partire dall’applicazione del meccanismo volontario di redistribuzione concordato nel giugno del 2022, che tuttavia non ha funzionato. “I 18 paesi europei che l’hanno firmato al termine della presidenza francese hanno dato la loro disponibilità ad accogliere ottomila richiedenti asilo già registrati in un paese di primo ingresso. Ma all’appello mancano ben nove stati membri e la Francia dal 2022 ha preso in carico la richiesta d’asilo di sole 38 persone (delle duemila promesse all’Italia entro la fine dell’anno in corso”, spiega il sito OpenMigration.
Una larga convergenza tra i governi europei, invece, potrebbe emergere sul tema dei rimpatri. I ministri dell’interno ne hanno già discusso in un incontro informale promosso dalla presidenza di turno svedese, il 26 e 27 gennaio. In quell’occasione si è discusso delle nuove strategie da adottare a livello europeo per fare pressione sui paesi terzi, che non collaborano sufficientemente per il rimpatrio di coloro che non hanno avuto accesso alla protezione internazionale in Europa. Da un lato si punta a usare la concessione dei visti come strumento di pressione, dall’altro a sviluppare un sistema di incentivi e misure punitive attraverso i fondi destinati alla cooperazione per stringere accordi di rimpatrio con i paesi di origine dei migranti.
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