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I migranti sgomberati a Trieste sono lasciati ancora per strada

Persone migranti pranzano davanti agli edifici abbandonati del vecchio porto di Trieste, 17 novembre 2024. (Annalisa Camilli)

Jeida Sanamir dice di avere diciotto anni, ma sembra averne molti di meno. In Bangladesh per fare il passaporto e partire è necessario dichiararsi maggiorenni e così molti, in mancanza di documenti che attestino la data di nascita, dichiarano più anni di quelli che hanno. Sanamir vive da due settimane nei vecchi magazzini abbandonati del porto di Trieste insieme a decine di connazionali, in attesa di ricevere la convocazione delle autorità italiane a cui ha presentato la sua domanda di asilo dopo aver varcato il confine tra Italia e Slovenia. Ha attraversato a piedi la Serbia, l’Ungheria, l’Austria e la Slovenia, prima di approdare nella città portuale italiana. Si riscalda intorno a un fuoco all’interno di un edificio fatiscente davanti al mare e cucina del riso insieme a un amico.

Le temperature si stanno abbassando e vivere nei palazzi abbandonati è pericoloso. Spesso ci sono risse tra gruppi di persone migranti, che provengono in gran parte da Bangladesh, Afghanistan, Pakistan e Nordafrica. Lo scorso giugno le autorità cittadine avevano sgomberato i cosiddetti silos, dove vivevano circa quattrocento persone, ma per loro non è stata trovata un’altra soluzione. Così le persone si sono riversate per strada e hanno di nuovo occupato gli edifici del vecchio porto, 67 ettari di terreno nel cuore della città, a pochi metri dalla stazione ferroviaria che collegava Trieste a Vienna, la vecchia capitale dell’impero austro-ungarico.

“Lo sgombero dei silos non è stato accompagnato da altre misure”, spiega Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics - Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e componente del direttivo dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

“Non c’è alcun centro per transitanti, cioè i migranti che arrivano a Trieste e vogliono spostarsi in altre città, e niente per i molti richiedenti asilo appena arrivati. Esiste solo un ostello che il comune aveva promesso di ampliare, ma non lo ha fatto. La prefettura aveva annunciato il raddoppio dei posti nella struttura dopo la conclusione dei lavori alla rete fognaria. Il piano di ristrutturazione avrebbe dovuto essere condotto dalla proprietà, cioè dal comune di Trieste, che non ha mai fatto un progetto, e quindi questi interventi non sono stati effettuati. Nel frattempo la prefettura avrebbe dovuto collocare dei container nell’area dell’ostello, perché le strutture in muratura possono ospitare fino a ottanta posti. Con questi moduli abitativi la capienza poteva arrivare a 150 posti, in una zona all’interno di un bellissimo parco. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha fornito dei moduli, che sono arrivati il 2 luglio, ma poi sono stati portati via intorno al 30 settembre”, denuncia Schiavone.

Perché? “Con molto imbarazzo hanno riconosciuto che queste strutture non resistevano alla bora, il vento di Trieste. Siamo ormai alle porte dell’inverno e non ci sono i container, né le fognature. Neanche l’unico lavoro annunciato, quello per raddoppio i posti all’ostello, è stato completato. Il risultato è zero su tutti i fronti. Le persone si riparano sotto una pensilina vicino alla stazione oppure in altri magazzini del porto vecchio, a pochi metri dai silos, che hanno occupato”, conclude Schiavone, tra gli ideatori del sistema di accoglienza ex Sprar negli anni novanta, che ora denuncia la situazione carente di questo sistema, a causa dei tagli e dei cambiamenti legislativi introdotti a partire dal 2018.

Nei magazzini abbandonati i migranti si sono separati in base alla nazionalità. Di giorno si rifugiano nel centro diurno attivo grazie alle associazioni, ma di notte devono tornare ai vecchi magazzini davanti al mare, esposti a molti pericoli a causa della presenza di gruppi criminali. Sono tutti regolari, richiedenti asilo in attesa di essere convocati dalle autorità. Alcuni hanno subìto violenze e torture lungo la rotta, in particolare al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina.

“Il silos era presidiato dalle associazioni e c’era una sorta di controllo sociale. Anche per questo non è mai successo niente, nonostante il passaggio di migliaia di persone. La situazione di questi magazzini è invece un po’ più precaria: ci sono purtroppo anche dei piccoli gruppi criminali che taglieggiano i migranti. Le autorità lo sanno e sono doppiamente responsabili, perché hanno spinto le persone da un pessimo posto, il silos, a uno ancora peggiore”, conclude Schiavone. Intanto, un anno fa l’Italia ripristinava i controlli alle frontiere e sospendeva Schengen, con la motivazione del pericolo terrorismo, ma di fatto questo non ha portato a maggiori controlli: le persone migranti continuano ad arrivare in Italia dalla rotta balcanica, soprattutto nella bella stagione.

Questo pezzo è tratto dalla newsletter Frontiere.

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