Il complesso penitenziario di Rikers Island a New York è da tempo un luogo violento e disfunzionale. Ma il 2021 è stato un anno particolarmente sanguinoso. Dall’inizio dell’anno sono 12 i detenuti morti al suo interno, almeno cinque dei quali suicidi. Ci sono stati 39 tra accoltellamenti e ferite di arma da taglio ad agosto, contro i sette del 2020, secondo un resoconto redatto alla fine di settembre da un gruppo di osservatori scelti da un tribunale. Questi osservatori, nominati nel quadro di Nuñez v. City of New York, una causa giudiziaria collettiva del 2011 intentata dai detenuti di Rikers, hanno definito la situazione “una vera e propria emergenza”, segnata dalla “violenza tra i detenuti, violenza perpetrata dal personale e violenza nei confronti del personale, oltre che da un inquietante aumento dei comportamenti autolesionistici”. Il rapporto parla anche di “mancanze nella messa in sicurezza delle porte delle celle, degli atri e delle postazioni di controllo”.

L’analisi dei motivi dell’attuale crisi cambia a seconda dell’interlocutore: le guardie carcerarie sostengono che la mancanza di personale e le nuove regole che limitano l’isolamento dei detenuti abbiano reso il loro lavoro più pericoloso. Ma i cosiddetti osservatori Nuñez – che monitorano l’uso della forza da parte del personale di Rikers – e i funzionari della città, tra cui il sindaco Bill de Blasio, puntano il dito contro le diffuse assenze del personale penitenziario, che gode di congedi malattia illimitati. Gli osservatori riferiscono che, negli ultimi cinque mesi, migliaia di funzionari si sono dati malati o non si sono proprio presentati al lavoro. E quelli che si presentano spesso devono svolgere più turni consecutivi, il che genera fatica, violenza, esaurimenti nervosi e ulteriori assenze.

“È questo il volto dell’incarcerazione di massa”, ha dichiarato in un’intervista il commissario del sistema penitenziario della città, Vincent Schiraldi. “La situazione si deteriora, e finisce male. Ed è proprio quel che sta accedendo adesso”. Schiraldi è stato uno dei tanti – detenuti, guardie carcerarie e funzionari pubblici – che hanno condiviso il loro punto di vista sulla crisi a Rikers con The Marshall Project.

I detenuti

Robert è entrato a Rikers il 14 luglio 2021 per una violazione tecnica della sua libertà vigilata. Un tribunale ha approvato la sua scarcerazione il 23 settembre, ma quando The Marshall Project gli ha parlato, quattro giorni dopo, Robert si trovava ancora in prigione. È uscito il 29 settembre.

“Quando sono arrivato a Rikers, io e il funzionario addetto alla mia libertà vigilata abbiamo aspettato fuori dell’edificio del carcere Otis Bantum per tre ore. Quando finalmente siamo entrati, abbiamo camminato su una pozzanghera di sangue. Abbiamo saputo che un tizio aveva picchiato un altro tizio così forte che gli è schizzato un occhio fuori dalla testa. Circa quindici minuti dopo che mi hanno fatto entrare nel recinto dell’accettazione, il tizio che aveva picchiato l’altro tizio è entrato nella mia cella. Abbiamo scambiato alcune parole e mi ha colpito in faccia due volte. I miei occhiali si sono rotti. Il mio avvocato mi ha detto che me ne avrebbe fatto avere un altro paio ma, dopo settanta giorni, ancora niente. Per me è una questione di sicurezza. Vedo a malapena il cibo che sto mangiando: un problema serio visto che un cuoco una volta ha cucinato un topo nel cibo che ci danno. I secondini non proteggono i detenuti. In questo momento c’è una donna che tiene d’occhio cinquanta detenuti dall’altra parte del cancello. Ormai sono le gang a gestire la prigione. Siamo come un gruppo di pitbull qui dentro. Bisogna essere in grado d’incassare, o si viene schiacciati”.

Osha è una donna transgender che di recente ha trascorso quattro mesi a Rikers. Per tre di questi mesi, è stata ospitata nelle strutture maschili, nonostante la politica cittadina preveda di ospitare i detenuti in funzione della loro identità di genere. Osha è stata scarcerata a settembre.

“Quando sono arrivata a Rikers e hanno cercato di mettermi nella prigione degli uomini ho detto, ‘sono una donna. Potete chiamare i responsabili della prigione, ma non scendo da quest’autobus’. Più tardi un capitano è venuto e mi ha detto, ‘per favore vieni dentro, poi vedrò cosa si può fare’. Così sono entrata. Sono rimasta nel recinto di detenzione provvisoria per quattro o cinque giorni perché dicevano che era difficile sistemare le donne transgender. In queste celle non ci sono docce, i lavandini erano mezzi distrutti, e non avevo vestiti di ricambio. I gabinetti hanno tracimato, e così c’erano feci e urine ovunque. Dovevamo usare sacchetti di plastica o arrangiarci usando cartoni del latte. La maggior parte delle mie precedenti condanne derivava dal fatto di essere senzatetto. Sono finita a Rikers perché la funzionaria responsabile della mia libertà vigilata ha provato a costringermi ad andare in un dormitorio maschile, e io mi sono rifiutata. Mi spostavo tra Airbnb e alberghi, ma lei ha detto che avevo bisogno di un indirizzo fisso. Alla fine ho smesso di presentarmi ai miei appuntamenti con lei. Mi sono dichiarata colpevole per la mia irreperibilità, ma non credo di meritare di stare a Rikers Island. In questo momento nessuno dovrebbe stare qui dentro”.

Jeffery è entrato a Rikers il 7 settembre, dopo che non si era presentato agli appuntamenti previsti nel quadro della sua libertà vigilata. Rimarrà in prigione almeno fino a novembre, quando è prevista l’udienza per la sua violazione della libertà vigilata.

“Quando sono arrivato a Rikers, sono rimasto nel recinto di detenzione provvisoria per circa cinque giorni. Lì dentro è come stare in una nave negriera. Eravamo ammassati in una trentina. Le persone erano sdraiate una accanto all’altra, occupando tutto lo spazio, sotto le panche, schiacciati contro le sbarre. C’era solo un lavandino e l’unico gabinetto non funzionava. Il pavimento sul quale abbiamo dovuto dormire era sporco di feci. Mi sono avvolto in sacchi di spazzatura per evitare di beccarmi qualche malattia. A Rikers in generale non si occupano come si dovrebbe dei problemi di salute delle persone. Dovrei prendere l’insulina per il mio diabete ogni sera, ma me l’hanno data solo sei volte da quando sono qui. Gli infermieri dovrebbero chiamare i secondini, e i secondini dovrebbero scortarti a prendere le tue medicine. Ma dicono di avere un problema di personale e quindi la scorta non c’è. E nei corridoi scoppiano gli scontri: secondini contro detenuti, oppure detenuti contro altri detenuti. Perlomeno in strada, quando non avevo medicine, c’era il pronto soccorso. Qui temo per la mia salute. Penso solo a questo”.

L’osservatore

Robert L.Cohen è un medico. Fa parte del comitato per gli istituti penitenziari della città di New York, e visita regolarmente Rikers. È stato anche osservatore indipendente per la salute dei carcerati in Connecticut, Florida, Michigan e Ohio.

“Ho visitato prigioni in tutto il paese, e Rikers Island merita la sua fama d’estrema violenza. Quando ci sono andato, in aprile, ho visto persone dormire nelle stanze d’accettazione per vari giorni consecutivi. Non gli davano da mangiare né venivano sottoposte a esami medici. È una cosa molto pericolosa. Non è consigliabile che in prigione ci siano persone molto malate. Soprattutto in tempi di covid-19. Quando sono tornato quest’estate, il sindacato penitenziario aveva già dichiarato che non era sicuro lavorare a Rikers. Avevano di fatto smesso di assumersi la loro responsabilità per quel che accadeva. A differenza di quanto dice il sindacato non c’è un problema di mancanza di personale. Il dipartimento per gli istituti penitenziari gestisce dieci strutture, e otto di queste sono su Rikers Island. In tutto il sistema ci sono appena meno di seimila persone detenute nelle carceri e più di ottomila guardie penitenziarie in uniforme. Significa più di una guardia per ogni detenuto. È un personale incredibilmente numeroso. Non dovrebbe esserci alcun problema di adeguatezza del personale se questo andasse regolarmente a lavorare. In luoghi come ospedali e prigioni, dove si fanno i turni, si rimane sul posto di lavoro se il cambio non si presenta. In questo momento, con una percentuale compresa tra il 20 e il 25 per cento di personale penitenziario che non si presenta, gli altri hanno paura ad andare al lavoro perché dovranno fare un turno doppio o triplo. Questo crea un circolo vizioso. Ed è questo che ha creato la crisi. Il personale penitenziario e i dirigenti sindacali sostengono che il problema è che i primi lavorano 72 ore al giorno e che è stato abolito l’isolamento. Ma la verità a Rikers è la seguente: negli ultimi cinque anni, i rapporti degli osservatori federali mostrano un aumento della violenza delle guardie contro i detenuti. È stato solo dopo l’undicesimo rapporto che hanno ammesso che la dirigenza della struttura è responsabile del caos”.

Il personale penitenziario

Anonima 1 lavora a Rikers Island da più di dieci anni. Ha chiesto di nascondere il suo vero nome perché non è autorizzata a parlare con la stampa.

“Le condizioni all’interno sono orribili. I detenuti dovrebbero pulire gli edifici, sono pagati per questo. Ma non c’è personale sufficiente per andarli a prendere e quindi non lo fanno. Pestano a sangue le guardie. La maggior parte dei nostri colleghi attualmente fuori servizio si è infortunata sul lavoro, non c’entra il covid-19. Ma il dipartimento per gli istituti penitenziari non lo dice. Il dipartimento non ha alcun problema a minimizzare la portata di un infortunio. Quando c’è una guardia che si difende, sui giornali danno un’immagine di noi che fa dire alla gente: ‘Mio dio, avete picchiato un detenuto!’. I detenuti sanno che il nostro potere è stato ridotto. Queste persone possono gridarti a muso duro: ‘Ti faccio a pezzi!’, e noi non possiamo toccarli. Non vogliono mettere i detenuti in isolamento perché le persone, là fuori, dicono che rende la gente malata di mente. Ma come possiamo separare i violenti? La ‘scatola’ (la cella d’isolamento) serve anche per la loro sicurezza, perché si accoltellano a vicenda! Senza il recinto la persona che ti accoltella rimarrà nello stesso spazio di detenzione con te! Non ho mai vissuto livelli d’ansia così alti. Sono forte, ma oggi vivo l’ansia di non sapere cosa succederà quando andrò a lavorare. Non sapere quando potrai tornare a casa sta sconvolgendo un sacco di famiglie. Non vedi i tuoi cari. Non vedi i tuoi bambini. La causa collettiva Nuñez ha ridotto i nostri poteri. Gli osservatori federali hanno ridotto i nostri poteri. Tutte le persone che non hanno niente a che vedere con le carceri hanno ridotto i nostri poteri e c’impediscono di fare il nostro lavoro in modo efficace”.

Anonima 2 si è ritirata da Rikers nel 2020, dopo vent’anni da guardia carceraria. Ha chiesto di nascondere il suo nome perché teme le ritorsioni del dipartimento per gli istituti penitenziari contro gli amici e i colleghi.

“Ho avuto una bella carriera, e non sono mai stata aggredita da un detenuto. Esiste un modo di parlare alle persone. Sei dentro una prigione con dei criminali, e l’unica cosa che impedisce loro di sfracellarti la testa è il rispetto che hanno nei tuoi confronti. Se ti comporti da spaccone o ti metti sulla difensiva, dicendo, ‘Vaffanculo, non ti porto in ambulatorio!’, oppure ‘Vai pure al diavolo! Non avrai niente da mangiare!’, la persona s’infastidisce. È imprigionata, irritata e forse non ha commesso il reato per cui è dentro. Credo che un sacco di cose abbiano contribuito all’escalation che ha portato alla follia attuale: prima di tutto, il sindaco Bill de Blasio ha eliminato le opzioni d’incarcerazione per i detenuti. Poi ha messo delle telecamere ovunque. Adesso se un detenuto picchia uno di noi e noi ci difendiamo, veniamo sospesi senza stipendio perché abbiamo aggredito un detenuto. Inoltre il personale è scarso, e le guardie che arrivano per fare le sostituzioni non sanno cosa fare. Quando ho iniziato questo lavoro, venivi spedito immediatamente nelle carceri e imparavi a gestire un istituto di pena, a far funzionare i servizi. Tutto avveniva sul campo, e così il fattore paura spariva. Nei miei ultimi tre anni, inviavano i nuovi in ufficio. Ma se prendo una persona dall’accademia, la metto in ufficio e continuo a tenerla lì, non saprà come comportarsi nel carcere vero e proprio”.

Il commissario

Vincent Schiraldi è il commissario del dipartimento per gli istituti penitenziari di New York. Ha assunto le sue funzioni il 1 giugno 2021, due settimane dopo che gli osservatori indipendenti avevano fatto appello per un “cambiamento radicale” all’interno del dipartimento.

“Questa situazione è un dolore immenso. È doloroso per le persone incarcerate e per il personale. Ed è doloroso per me personalmente. Ogni singolo giorno ci sono 1.700 guardie di Rikers malate. Altre settecento circa hanno limitazioni mediche, vale a dire che non possono lavorare con i detenuti. Ogni mattina 2.400 persone non possono fare quel che ci si aspetterebbe dal personale penitenziario, ovvero garantire sicurezza, assistenza e incolumità alle persone incarcerate. È un enorme buco con il quale cominciare ogni giornata. Non può esserci programmazione se non c’è abbastanza personale. Si genera così un ambiente molto teso, pieno di frustrazione e talvolta violento. L’abolizione dell’isolamento a lungo termine è un fatto positivo. Ma quando si elimina una cosa del genere, occorre riempire la giornata di programmi, d’incentivi e di un decoro che non siamo riusciti a garantire. È questo il cuore di un cambiamento culturale. La violenza è nove volte più alta tra i giovani adulti, ed è per questo che è da qui che stiamo cominciando. Abbiamo creato dei sistemi d’incentivi: possono ottenere nuovi privilegi, come camminare per la struttura senza scorta, o ricevere le visite dei genitori anche nella loro stanza, invece di vederli solo nella sala dei colloqui. Occorre comportarsi bene per un certo tempo per poterlo fare. Inoltre trasformeremo anche lo spazio fisico. Sarà molto più umano, molto più dignitoso. Istituiremo una biblioteca da cui prendere a prestito libri. So che un cambio delle lenzuola può sembrare pateticamente piccola come innovazione, ma per queste persone è davvero importante. Quando si dà una dimostrazione di concretezza e le persone vedono che sei in grado di mantenere le promesse, la violenza diminuisce. Voglio che le persone immaginino un sistema migliore, un posto nel quale penseresti che tuo figlio o tua figlia potrebbero lavorare in maniera sicura e dignitosa. Voglio che le persone immaginino un posto nel quale, qualora venissero rinchiusi al suo interno, tuo figlio o tua figlia sarebbero trattati in maniera dignitosa, come esseri umani. Sono convinto che possiamo farcela. Se terremo a mente questo obiettivo, potremo cambiare le cose”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito del Marshall Project.

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