Questo articolo è stato pubblicato il 3 ottobre 2014 nel numero 1071 di Internazionale.

1. Sto per intervistare Youssou N’Dour. Sono seduto negli studi della sua emittente televisiva

2. Questa settimana a Dakar hai imparato a controllare la respirazione nuotando nell’Atlantico, il bagnino ti ha mostrato come trascorre le giornate sulla spiaggetta di sassi vicino a Magicland, lungo la Corniche.

3. Sei pronto per l’intervista?, mi ha chiesto Koyo Kouoh in macchina mentre andavamo a Pointe des Almadies.

4. Chiudo gli occhi e immagino una versione kenioide della storia di Youssou N’Dour e di come ha incontrato Neneh Cherry.

5. Youssou N’Dour è nato nel villaggio di Balafon, in Senegal, nel 1959, qualche settimana dopo la grande siccità arrivata dopo la morte di un grande marabout, Issa Sall. La sua era una famiglia di grandi cantanti, grandi vasai. Youssou era un bravo musulmano, un bravo cristiano. A scuola s’impegnava molto e, anche se non era il più brillante della classe e non riusciva a pronunciare come si deve la “r” francese, il preside gesuita, padre Yves Après, lo considerava diligente e svelto nell’assimilare qualunque dolore o castigo gli venisse somministrato dalla scuola. Era coerente.

6. Dopo il diploma in conservazione del suolo padre Après lo raccomandò per una borsa di studio in Francia, finanziata dal governo francese e da una famiglia franco-senegalese chiamata Du Pain, che fornisce il grano per le decine di milioni di baguette vendute ogni mattina e ogni sera in tutta l’Africa francofona.

7. 1986. Il giorno prima della partenza per Parigi, il nonno di Youssou N’Dour uccide la sua ultima capra e gli compra un nuovo boubou azzurro, appena lavato e stirato con del nuovo Franco-Dash azzurro.

8. Mamadou, proprietario dell’unico pickup del villaggio, porta gli abitanti del villaggio all’aeroporto di Dakar. Così Youssou N’Dour arriva a Parigi per studiare informatique pour le développement de la région du Sahel indossando ancora l’abito della laurea all’università Léopold Sedar Senghor e portando tre boubou nella valigia (uno per le occasioni speciali, due per tutti i giorni). Il suo bagaglio a mano è una ventiquattrore di pelle comprata da suo zio nel 1956 quando studiava in Marocco, e in questa ventiquattrore ci sono tutti i suoi attestati, il certificato di vaccinazione per la febbre gialla, un album di foto e qualche gris-gris.

9. Il giovane Youssou va matto per Dolly Parton e Johnny Hallyday, che ascolta su Radio-France Afrique. Nel suo villaggio è considerato un figo.

10. Ha appena passato la dogana, il viso gli brucia per l’umiliazione dopo che un agente della dogana martinichese lo ha preso in giro facendo battute sgradevoli sul suo accento francese. Lo prende in giro perché indossa l’abito della laurea. Va a cambiarsi nel bagno degli uomini e mette il suo nuovo boubou. Al ritiro bagagli si gira e colpisce maldestramente una signora, che perde l’equilibrio e cade, ansimando “TESTA DI CAZZO, CHE CAZZO FAI”.

11. Youssou è degno figlio di sua madre. Il suo corpo è stato allenato a muoversi con grazia e affabilità in ogni circostanza della vita sociale. Per questo il suo boubou non si spiegazzerà mai. Per questo non c’inciamperà mai sopra rovinando stoffe di qualità. Per questo suo cugino lavora come capo ufficio alla Banca per lo sviluppo africano ad Abidjan.

12. Neneh, i cui braccialetti di cuoio e argento sono sparsi per terra, alza lo sguardo e lì, vicino al naso, sente l’odore del cotone appena stirato, guarda e vede due sottili ginocchia blu polvere piegate, e due mani scure che stringono i suoi bracciali con le borchie, alza lo sguardo e vede una cosa che non ha mai visto così vicino a sé in uno spazio pubblico: occhi grandi, buoni e mortificati. Youssou ha gli occhi lucidi.

Francesca Ghermandi

13. Del moccio le spunta dall’anello al naso. Merda. Il labbro le sanguina. Se ne accorge solo perché mentre si alza aiutata da lui, gli occhi ancora pieni di infinito cotone azzurro stirato, vede il fazzoletto bianco più grande del mondo srotolarsi dal cielo azzurro di cotone sopra la vita di lui, e le tocca il labbro ed è subito profanato da chiazze di rosso e moccio.

14. “Chi sei, uno di quei principi africani fuori di testa?”.

15. Youssou arrossisce. “Per… eh… studi… Désertification informatique pour le dévelopment de Sahel”.

16. Fa un sorriso grande come la penisola di Dakar e le mostra la lettera stirata dell’università di Rennes, che sua madre ha infilato in una cartellina trasparente di plastica.

17. A Neneh Cherry piace Youssou N’Dour. A tutti piace Youssou N’Dour.

18. Siamo arrivati negli studi della tv di Youssou N’Dour. Sto per intervistare Youssou N’Dour. Ci chiedono di aspettare un attimo.

19. Patricia Tang, che scrive molto bene di musica popolare in Senegal, ci spiega alcune cose interessanti sullo mbalax.

20. “Il sabar è unico. È tipico delle popolazioni wolof. È un tamburo suonato con una mano e una bacchetta. Molti altri tamburi si suonano con due mani o con due bacchette. Un altro aspetto interessante del sabar è che non si riduce ai ritmi complessi, ai poliritmi delle varie parti che si uniscono, sono interessanti anche le composizioni lunghe, chiamate bakks”.

21. Non ho idea di come si balli lo mbalax. Ieri sera ero in un locale dove si esibiva un certo Tiziocaio Diop. Questi uomini alti e ossuti, neri come la polvere, sembrano muoversi a scatti e ondeggiamenti. Ci sono vari tamburi che suonano vari ritmi molto velocemente, quindi non c’è un ritmo semplice a cui agganciare dei movimenti strutturati. Mi limito a ondeggiare. Dopo, goffo-disinvolto, scatto qua e là, sentendomi in sintonia con tutti, e poi sono fatto e lo zucchero comincia a esaurirsi, e grondo sudore mieloso e mi metto a roteare entrambe le braccia intorno alla testa, chinandomi a terra.
Solo poche persone comprano birra. La musica dal vivo comincia dopo l’una di notte a Dakar. Balliamo fino all’alba.

22. Lo mbalax esisteva prima di Youssou. È stato lui a rinnovarlo, a ribattezzarlo e a farne un business.

23. Youssou N’Dour non è nato in un villaggio.

24. I griot indossano jeans, ascoltano l’hip-hop, e la roba loro la conoscono e la rinnovano bene. Dakar è sempre stata afropolitana. Dal primo giorno.

25. Dakar non ha nessuna voglia di diventare Brooklyn.

26. O Nairobi.

27. Ieri sera nel locale mbalax c’erano gruppetti di donne che ballavano vicino a me. Una di loro mi ha attaccato, puntando il dito verso il mio petto. Ho pensato che volesse ballare e le ho rivolto qualche frullo di elicottero e lei si è fermata, con le braccia contro i fianchi, e mi ha fissato con aria minacciosa.

28. Patricia Tang. “C’è un bakk che è stato composto dagli Mbaye Family Drummers, il gruppo di percussionisti con cui ho lavorato. È un bakk che chiamano Bakk de spectacle. È il loro bakk virtuosistico, che nessun’altra famiglia sa suonare. L’ho trascritto nel mio libro e se lo trascrivi usando la notazione occidentale occupa molte pagine. Ma dura quattro o cinque minuti. È molto complesso. Mi ci sono voluti mesi per impararlo, cioè, per impararlo a lezione di percussioni. A quanto pare molti dei percussionisti del complesso riuscivano a suonarlo dopo il secondo o il terzo ascolto”.

29. I senegalesi stanno sempre conversando dentro i loro tanti mondi poetici.

30. Non so perché la donna nel locale mbalax ce l’ha con me. Mi si pianta davanti, come i miei neuroni specchio, con gli occhi infuocati, e comincia a muovere i gomiti vicino alla sua testa piegata, no, non è un frullo selvaggio di elicottero, è una meditazione piegata. Sto mandando a puttane la poesia. Ah. Avverto immediatamente la sua rabbia, sono privo di grazia, e lei ha deciso che il Senegal sta per crollare e diventare la Costa d’Avorio, un covo di individui ultrasecolari che si dimenano astorici e iperinfervorati sciogliendosi nelle loro tele cerate tropicali. E poi fanno a botte per strada. Devo imparare la poesia.

31. Hanno portato quattro sedie nel giardino di Youssou N’Dour.

32. Mentre venivamo qui Koyo mi ha chiesto: sei pronto per l’intervista?

33. I postumi di una sbornia sono meditazione. Questa mattina sono andato a nuotare a Magicland. Sentivo i tonfi lenti e pigri del mio cuore. Gli strumenti a fiato della sera prima mi sbuffavano intorno alle orecchie. Ho guardato fuori, verso la pancia dell’Atlantico, perché con i singhiozzi del vento la mia zampogna nauseata rischiava di gonfiarsi ed emettere pesce grigliato morto e riso.

34. PT: “Il griot in pratica prende dei valori tradizionali e prova a diffonderli. È questo che fanno i griot e la musica mbalax in generale, le canzoni tendono a essere didattiche. Ma sono sempre costruttive nel modo in cui consigliano alle persone come comportarsi. Ci sono poche critiche. Quelle sono tipiche dei cantanti di rap e hip-hop. Sono loro che criticano apertamente il governo, criticano la corruzione, roba del genere. Nella musica mbalax trovi poche critiche, pochi attacchi diretti. Ancora una volta penso che sia dovuto al fatto che la musica mbalax nasce dalla tradizione dei griot, in cui ci si aspetta che l’artista celebri le persone, non che le stronchi pubblicamente, a meno che non se lo meritino proprio ”.

35. Lo mbalax di ieri sera mi ha lasciato discordante, con il suono rapido e violento delle bacchette che si percuotono tra loro nel mio mal di testa. Rapidissimo. Quella voce acuta e metallica in una lingua che non conosco è troppo sciropposa per oggi. Muovo il corpo per evitare che mi affoghi nello zucchero, che mi faccia venire troppa nausea. Un lago di gin e tonic sta provando a eruttare dal cuore attraverso la gola. Mi rimane dentro. Una mosca – lo fanno sempre – si avvicina in cerca dello zucchero che trasuda denso dalla mia pelle. Mi alzo e mi dirigo verso la spiaggia con un asciugamano sulla spalla.

36. Youssou N’Dour sta parlando delle diverse generazioni e di come ognuna sia guidata dal proprio obiettivo.

37. “I settori dell’arte e dello spettacolo non sono una priorità per la classe politica africana. C’è una certa libertà, una libertà di creare. È quello che succede nella musica… o nei film di Nollywood. Ci sono persone che provano a fare cose contando solo sulle proprie forze. Eppure queste cose funzionano. E funzionano proprio perché non sono una priorità per l’élite politica e per il governo. E grazie a questo loro scarso interesse per l’arte e la cultura e lo spettacolo, chi è attivo in questi campi è libero di fare cose, di lanciare iniziative. Si spiega così, in parte, perché siamo più bravi in questi campi”.

Francesca Ghermandi

38. E nel tuo cervello strapazzato dalla sbornia, pensi alle dense zuppe di sostanza organica che sono apparse in migliaia di storie della creazione: pantani, uova, vie lattee, tutte dalla madre originaria. Chiudi gli occhi quando ti tuffi con la testa in avanti. Vedi le stelle. Guardale in ogni notte di Dakar, minuscoli spruzzi di latte rigurgitato sul tetto nero notte dell’intero Sahel.

39. Youssou N’Dour sta parlando.

40. “È anche una ricetta contro la frustrazione. Il numero di persone che lavorano nel mondo dell’arte e dello spettacolo è impressionante, ma poche di loro ce la fanno. Si vedono sempre più persone della cosiddetta società civile nei settori creativi. Tutto questo nasce in gran parte dal loro passato e dalla frustrazione attuale, sono le persone che denunciano il sistema attraverso l’arte”.

41. Ieri il bagnino mi ha mostrato un nuovo modo per muovere le gambe e spingermi in avanti. L’altro ieri mi ha mostrato come prendere fiato e schiacciare le labbra contro il naso mentre la testa entra in acqua per far uscire lentamente l’aria. Tre secondi pieni, poi fai la mossa a cuore con le braccia. Un cuore che spinge avanti i palmi religiosamente allacciati, le mani si tuffano davanti alla tua testa fendendo l’acqua. Scalcia, fai la mossa a cuore 3D e torna al petto. Ancora. E ancora.

42. Youssou N’Dour sta parlando.

43. “Qui se il settore informale decide di bloccare il paese può farlo. Il peso economico di questo gruppo, che non ha appoggi, sta crescendo sempre di più. Mi piace molto questa immagine: un uomo in boubou che arriva nella sua Mercedes ed entra in banca con una valigetta diplomatica. Non è in giacca e cravatta, ma è ricco e di successo a modo suo. E quando chiedi se è un uomo del governo ti rispondono di no, ha un negozio al mercato. Sono cose che si vedono sempre più spesso”.

44. Sono in acqua. È ghiacciata e la nausea si è placata. Riempio i polmoni con la testa fuori. Scalcio. Cinque, sei, sette bracciate e trovo un ritmo.

45. “Penso che in Africa questa massa, quest’enorme onda di giovani, che è molto importante ma non è né controllata né strutturata dal governo, abbia dichiarato una sorta di guerra allo status quo”.

46. “Le cose sono cambiate. Non si può più decidere di tenere nascoste delle informazioni. I giovani sanno. Possono uscire dalle loro case (imita il rumore delle dita su una tastiera) e scoprire tutto. Ora è solo una questione di accelerazione”.

47. Venti bracciate e non ho più stomaco, solo un misterioso formicolio interiore in fondo a un luogo freddo. Trenta e sento i nervi, poi il corpo fatto calore, poi più nulla tranne il ritmo che ondeggia e affonda. Nuoti da quando hai cinque anni. Ma questa sicurezza è nuova. Sotto di te, decine di migliaia di non più per-sone, non ancora schiavi, fantasmi, nel gelido verde Atlantico. Respira. Di nuovo sott’acqua. Come una preghiera.

48. Dico a Youssou: “Però il potere è sempre nelle stesse mani…”.

49. Mentre nuotavo, una domanda tagliente mi ha stordito le narici piene d’acqua e di sale. L’ho soffiata fuori.

50. “Ora è solo una questione di accelerazione”.

51. 1559. La caduta dell’impero jolof e, presto, il commercio atlantico degli schiavi, famiglie guerriere in subbuglio in tutta la Senegambia e oltre. Commercio di schiavi, tanti regni musulmani, e confraternite. Spargimento di sangue. Sangue sparso. Eppure. La maggior parte non si converte all’islam.

52. Più o meno nel periodo dell’arrivo dei francesi e dell’ascesa dei muridi, l’esaurimento di secoli di tumulti, guerre, incertezze. L’inizio di una cooperazione tra molte genti che oggi si chiama Senegal.

53. Youssou N’Dour sta parlando: “In Senegal sappiamo che il potere appartiene alle persone. Ora lo sappiamo, ne siamo certi. Nessuno può rubare un’elezione. Nessuno può dire che ci sarà un solo vincitore e quello sono io, come diceva Laurent Gbagbo: ‘Vinciamo o vinciamo’. Qui le persone sanno che sono loro a decidere. E questo cambia tutto”.

54. Questo non è il Kenya, dove il confronto tra i popoli – la sete di sangue – sembra sempre appena cominciato. Qui le buone maniere sono state imparate con così tanto sangue per così tanto tempo che le persone hanno accettato di cooperare. Perché? Scaccio dalla mente le grida insanguinate di Westgate e mi rimetto a nuotare.

55. Il padre di Youssou era wolof. Sua madre serer. La maggior parte dei senegalesi parla wolof. La cultura wolof è diventata dominante.

56. Ma. Qui la cooperazione è complessa e civile.

57. Sono quasi scoppiate violenze quando Abdou-laye Wade ha provato a imbrogliare. La cooperazione le ha disinnescate. Questo non è il Kenya.

58. Tra le famiglie dell’élite serer – come quella della madre di Youssou N’Dour – esiste ancora una classe di sacerdoti, anche se i loro regni si sono spesso lasciati confluire nelle acque dominate dai wolof di gran parte del Senegal. Ma qui le persone sono state semplici correnti nei più ampi mari delle cose: grandi e antiche piattaforme come il Ghana, l’impero Songhai, l’impero Jolof, il Mali – che si sono rotte in mille pezzi e tutte portano molte lingue, e compiti e ruoli diversi sono rimasti in file e colonne che si confondono e svaniscono, e hanno ucciso e cooperato – e a volte queste cose si portano ostinatamente dietro della roba nelle nuove acque; perfino complessi ritmi di percussioni che un tempo erano le parole di qualcuno, o forse no. Hanno portato lontano perfino il rap, o forse no. Ma rap senz’altro. L’hip-hop è il sound del griot dopo la nave.

59. Ma qui esiste ancora lo stigma. Le caste. E molti strati e confini invisibili. Per un musicista griot? Senza un diploma universitario francese? Nessun politico in famiglia? Che vuole entrare in politica?

60. Youssou sta parlando: “Bisognava arrivare al punto in cui era ormai chiaro a tutti che chiunque avrebbe potuto guidare il paese, non solo un Senghor o un Sall, ma chiunque. Appartiene a tutti noi”.

61. Poi c’è la musica.

62. I senegalesi sono molto preparati. Qui quasi nulla è lasciato al caso. I comportamenti sono controllati. Predeterminati da antiche e cocciute poesie. Come il primo chitarrista di Youssou N’Dour, Mamadou Jimi Mbaye, che prese un barattolo e delle corde per fabbricare una chitarra e trasformò quei suoni nei suoni dello strumento a corde africano più complesso che ci sia, la kora.

63. Qui, in Senegal, qualcosa di Grande, Tagliente e Serer tira rapidamente la testa fuori dall’acqua più volte in ogni canzone di mbalax e fa un profondo respiro nazionale per tutti.

64. A Dakar la maggior parte dei giovani serer non parla serer. Parla wolof.

65. Youssou N’Dour nella sua carriera celebra dei santi di tutte le principali confraternite musulmane. Ma sua madre viene da una famiglia di griot di griot. Questo secolarismo è una cooperazione tra incrollabili credenti che convivono con molte contraddizioni concordate e che rifiutano di entrare nelle battaglie globali tra religioni altrui. L’islam murido e africanizzato.

66. Perché serer? Perché nelle eruzioni, negli tsunami, nelle tempeste di un millennio, in Senegal (quasi) solo i serer sono riusciti a non far diventare una cosmologia ricca, indipendente e ancora funzionante né Corano né Bibbia. Il cuore del sacerdozio è intatto, perfino vivo.

67. Questi hanno pure un inno nazionale.

68. “Fañ na NGORO Roga deb no kholoum O Fañ-in Fan-Fan ta tathiatia”. Nessuno può far nulla contro il proprio vicino senza la volontà di Roog.

69. Chiedo a Youssou: “Ma il poeta, il griot, hanno un potere specifico in un sistema sociale, può succedere che lo perdano entrando nella realpolitik?”.

70. Youssou: “Sì. No. In passato era così. Se sei un griot come me… perché cos’è essere griot a parte il talento? È una questione di conoscenza. Oggi questa conoscenza è su internet! [ride] Che tu sia a Touba o a Thiès, se ti stai chiedendo chi è Doudou N’Diaye Rose, trovi tutto lì! La storia di Cheikh Anta Diop. È tutto lì! La rete ha diminuito il lavoro del griot”.

71. Wikipedia: “I serer collegano il mito della creazione e il ruolo della parola nella nascita dell’universo. Due termini serer rimandano al verbo del mito della creazione: A nax e A leep. Il primo indica un breve componimento narrativo che racconta un breve mito o un’espressione proverbiale ed è equivalente al verbo. Il secondo è più complesso e ingloba sia la parola che indica il mito della creazione sia la creazione stessa, e comincia con la frase Naaga reetu reet, così era all’inizio”.

72. Youssou N’Dour sta parlando. “Nell’album parlo di alcune guide, in particolare Cheikh Ahmadou Bamba, che combatté gli europei perché volevano diffondere nuove religioni mentre lui cercava di predicare l’islam, e così si oppose. Era tutto molto politico all’epoca”.

73. In questo paese a maggioranza musulmana sufi, in questo paese molto raramente cattolico. In questo paese a maggioranza pagana. In questo paese che si comporta come il paese più secolare, più pacifico dell’Africa…

74. Mamadou mi dice che nella storia del Senegal solo UN personaggio pubblico ha dichiarato di non credere in nessuna religione, neppure tradizionale. Ousmane Sembène. Marxista. Pubblicamente ateo.

75. Un aereo strilla sopra l’acqua diretto verso l’aeroporto, così mi giro sulla schiena, ruoto e guardo la spiaggia e i corpi neri sono piccole serpentine tipografiche che corrono in lontananza. Migliaia di giovani uomini e donne inondano le spiagge ogni giorno per giocare, allenarsi, meditare.

76. Il Kenya sta collassando mentre scrivo. Bombe ieri, oggi. Morte. Quattromila somali arrestati e portati nel nostro stadio principale per essere controllati.

77. Il creatore dell’universo serer. Roog, l’Immensità. Maschile e femminile al tempo stesso.

78. La mia testa si solleva, prendo fiato, gli occhi si aprono per cercare in lontananza la boa arancione che è il mio traguardo. In qualunque angolo di qualunque centimetro dove due senegalesi si riuniscono, accendono un piccolo fuoco e fanno un tè denso e zuccherato. Si riduce bollendo.

79. Tutto Twitter è la Nigeria che urla di dolore. #bring our girls back.

80. Chi è Youssou N’Dour?

81. Un giocoliere di cose antiche. Un rinnovatore. Come Cheikh Ahmadou Bamba, come Cheikh Anta Diop, come quel furbo saggio Senghor.

82. “Alcuni di loro piangono, altri cadono in uno stato quasi comatoso. Ci sono dentro”.

83. Senegal. Tieni il corpo sempre dentro le tue umane poesie d’acqua, dove tutte le correnti si parlano, anche le tempeste. Risali spesso sulla terra per respirare. Continua ad allenarti. L’acqua e la terra e l’aria insieme sono sagge. Il tempo è infinito se hai la musica giusta. Il dramma basato solo sulla terra è ivoriano. Keniano.

84. A un certo punto, però, la terra ti convocherà là fuori perché tu renda conto del tuo allenamento.

85. Il mio corpo è caldo di zucchero. Non immagini la sensazione di zucchero quando il tuo cuore pompa il sangue a mille. Sgorga da un piccolo bollitore di stagno e spruzza tutto intorno i nervi del tuo cranio.

86. Wiki: Così Roog parlando fece l’universo.

87. Acqua! Aria! TERRA!

88. A leep descrive la scena del tempo primordiale nei termini seguenti.

89. Le parole balzano nello spazio, egli portava il mare sulla testa, il firmamento sulle spalle, la terra nelle mani.

90. Ora stai muovendo le gambe velocemente, hanno energia. Riesci a vedere la riva.

91. Youssou N’Dour sta parlando: “Se pensiamo alla storia, dobbiamo ricordare gli scritti di Cheikh Anta Diop sul ruolo dell’Africa nell’umanità in generale, e in particolare sul suo collegamento con l’antico Egitto. Dobbiamo riprendere quei testi di Cheikh Anta Diop per capire più di quanto io possa spiegare ora, ma sappiamo che ha aperto una strada. Il secondo punto è che ha scritto anche del rapporto tra l’islam… più precisamente tra un certo tipo di islam chiamato sufi e quello che si nota qui, nel modo in cui le persone praticano la loro spiritualità come fossero in estasi”.

92. Youssou: “Se consideriamo attentamente tutto questo… perché Diop sta attirando la nostra attenzione su queste somiglianze… vediamo che ciò che là viene chiamato sufi è simile ai talibé, che sono così disciplinati… alcuni piangono, altri cadono in uno stato quasi comatoso… ci sono dentro”.

93. L’Africa Rotola in su in giù.

94. “…che sono così disciplinati…”.

95. La prima sera in Senegal, sei anni fa, a una conferenza di Pen international, ti hanno portato, riluttante, al teatro del balletto nazionale. Io volevo andare a ballare. Ma l’Ospitalità Ufficiale Senegalese era molto testarda. Dopo una breve infatuazione da liceale, hai trovato Senghor (serer) piuttosto noioso. Per un africano nato dopo l’indipendenza, i teatri nazionali sono sinonimo di sonno e riti brutti. L’autobus ci ha messo una vita ad arrivare. Autobus in fila circondati da motociclette del governo. Una vita. Inchino, saluto.

Hai preso posto in un teatro ammuffito. Eccoli che arrivano. I Ballerini Africani con i loro Cazzo di Gonnellini. Come nelle Recite di Fine Anno al Liceo. Si muovevano rumorosi sul palco, passi vari di vecchie e barbose afro-regine. Afro-re, vecchi con il gesso nei capelli. Bastoni da passeggio.Aiii. Poi sono usciti due tizi con la kora. Io? La kora!? Ma figurati…Non sono mica male. Un po’ tipo Salif Keita. Un po’ tipo world music fatta per bene. Ma solo un brano, per favore. Loro strimpellavano. Poi Roog Sene, l’Immensità ha inondato il mondo di latte. Orgasmici Zampilli di Gioia Effervescente nella sala.

No, non eravamo noi che applaudivamo, non eravamo noi balzati in piedi, ma seduti nelle poltrone. Non era il tempo sospeso. Era il suono delle kora, così forte. Così FOOORTE che sarebbe indecente registrarlo.Ecco com’è architettato il mondo, anzi ecco come la kora ha architettato e creato l’universo, e come canti di numeri e parole hanno creato le anime.

Quella notte ho pianto.E ancora non soffrivo di diabete. Siamo usciti nel mondo insipido, strimpellando, delusi dalle cose della terra, decisi a innalzare la terra fino alle corde. Barcollo verso la riva. Sei pronto a intervistare Youssou N’Dour?

Questo articolo è stato pubblicato il 3 ottobre 2014 nel numero 1071 di Internazionale.

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