Nel 2022 almeno 177 persone sono morte per difendere il nostro pianeta, portando a 1.910 il numero totale degli omicidi segnalati dal 2012, quando l’ong britannica Global witness ha cominciato a documentare e a contare le uccisioni di chi si impegna in prima persona per la protezione dell’ambiente. Secondo l’ultimo rapporto, pubblicato il 13 settembre, in media l’anno scorso è stato ucciso un attivista ogni due giorni, come nel 2021.
Anche se il dato complessivo delle vittime è leggermente inferiore rispetto al 2021, quando sono state registrate duecento uccisioni, “questo non significa che la situazione sia migliorata in modo considerevole”, si legge nella presentazione del documento. “L’aggravarsi della crisi climatica e la crescente domanda di prodotti agricoli, combustibili e minerali non faranno che intensificare la pressione sull’ambiente e su coloro che rischiano la vita per difenderlo. Inoltre, per mettere a tacere gli attivisti si ricorre sempre più spesso a strategie non letali come la criminalizzazione, le molestie e gli attacchi digitali”.
In America Latina la situazione è particolarmente preoccupante: nel 2022 l’88 per cento degli omicidi di chi difende l’ambiente nel mondo è avvenuto nella regione. Dei diciotto paesi in cui Global witness ha documentato casi di violenza contro gli attivisti undici sono latinoamericani. La Colombia è in testa alla classifica globale con sessanta omicidi, quasi il doppio rispetto al 2021, quando erano morti trentatré attivisti.
Ancora una volta, si legge nel rapporto, a essere più colpite sono le comunità native, le popolazioni afrodiscendenti e i piccoli agricoltori, oltre alle persone che della protezione della natura hanno fatto il loro lavoro. Secondo Global witness, ci sono comunque segnali positivi: il presidente Gustavo Petro, che è entrato in carica ad agosto del 2022, si è impegnato esplicitamente a prendere misure concrete per la protezione di chi difende la natura. Mentre in un’intervista al quotidiano El Tiempo, la ministra per l’ambiente Susana Muhamad ha sottolineato che un passo fondamentale è la ratifica da parte della corte costituzionale colombiana dell’accordo di Escazú sulla protezione dell’ambiente.
In Brasile sono stati uccisi trentaquattro attivisti per l’ambiente, un peggioramento rispetto ai ventisei del 2021. Durante il governo dell’ex presidente Jair Bolsonaro la situazione per chi protegge la foresta pluviale più grande del mondo è peggiorata, perché con le sue politiche il leader di estrema destra ha aperto l’Amazzonia allo sfruttamento, alla distruzione e all’accaparramento delle sue materie prime, favorendo l’invasione illegale delle terre dei nativi e togliendo potere e competenze agli enti statali incaricati di vigilare sulla regione e sul rispetto dei diritti delle popolazioni indigene.
Il Messico, il paese con il maggior numero di omicidi nel 2021, ha registrato un calo significativo, passando da cinquantaquattro a trentuno nel 2022. Almeno sedici delle persone uccise erano native e quattro erano avvocati. Tuttavia, si legge nel rapporto, la situazione generale è sempre grave per chi difende la terra e l’ambiente e gli attacchi non letali – tra cui intimidazioni, minacce, trasferimenti forzati e molestie – continuano a ostacolare seriamente il loro lavoro. Infine con quattordici attivisti uccisi nel 2022, l’Honduras resta il paese con il più alto numero di omicidi pro capite del mondo. Sul paese centroamericano e sulla lotta di persone come Berta Cáceres, uccisa nel 2016 perché difendeva le risorse naturali e i diritti della comunità indigena lenca, su Internazionale abbiamo pubblicato questo video della Thomson Reuters Foundation.
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