Nascita di una dittatura
Alle elezioni presidenziali del 4 febbraio il presidente Nayib Bukele ha ottenuto una vittoria schiacciante e governerà il Salvador per altri cinque anni. Ancora prima di aspettare la proclamazione dei risultati ufficiali da parte del tribunale supremo elettorale, sui social network, dove è molto attivo, il leader populista ha dichiarato di aver ottenuto l’85 per cento delle preferenze e un minimo di 58 deputati su sessanta in parlamento, “un record nella storia democratica del mondo”, ha scritto su X (ex Twitter).
Il sito indipendente El Faro ha raccontato che poco prima delle 22.30, in assenza di risultati disponibili, Bukele si è affacciato al balcone del palazzo presidenziale per rivolgersi a una folla di persone riunite per ascoltarlo. “Il popolo salvadoregno si è espresso e vuole continuare sulla strada che stiamo percorrendo”, ha detto. “El Salvador vuole commerciare con tutti, noi vogliamo che vengano, che visitino il paese, che ci conoscano. Ma non saremo i loro lacchè, abbiamo già provato le loro ricette per cinquant’anni”.
Nella recente storia democratica del paese non c’era mai stata tanta opacità nel conteggio preliminare dei voti. Secondo El Faro, l’inefficienza del tribunale ha fatto passare in secondo piano le altre irregolarità della giornata e quelle che alcuni giornali e organizzazioni indipendenti denunciavano da settimane, come la distribuzione di generi alimentari (donati dalla Cina) da parte del governo e gli annunci elettorali in tv pagati con i soldi pubblici nei giorni precedenti al voto. In particolare, la strategia comunicativa del presidente si è basata su un’informazione falsa, cioè che l’unico modo per mantenere il paese al sicuro e non far uscire di prigione i presunti affiliati alle bande criminali era rieleggendolo e dandogli la maggioranza in parlamento.
Durante la campagna elettorale ci sono stati anche molti attacchi contro giornalisti nazionali e internazionali: dal 5 gennaio l’Asociación de periodistas de El Salvador ha documentato 164 attacchi contro giornalisti, la maggior parte avvenuti nella giornata del 4 febbraio. Più del 60 per cento delle aggressioni sono state limitazioni all’esercizio giornalistico, le restanti sono state dichiarazioni stigmatizzanti di funzionari pubblici o dello stesso presidente contro professionisti dell’informazione.
Bukele, 42 anni, è un leader estremamente popolare in Salvador e in molti paesi della regione. La sua vittoria era scontata per vari motivi, non solo perché l’opposizione è divisa, indebolita, ormai praticamente inesistente. L’assenza di avversari politici spiega in minima parte il suo enorme successo e l’altissimo consenso di cui gode dopo il primo mandato. Dal 2019, quando si è insediato al governo, Bukele ha prima trattato in segreto una tregua con le principali bande criminali attive nel paese, la Mara salvatrucha (Ms-13) e il Barrio 18. Poi il 27 marzo 2022, dopo un fine settimana particolarmente violento, ha decretato lo stato d’emergenza.
Questa misura straordinaria, che è ancora in vigore, autorizza l’esercito a presidiare le strade di tutte le città salvadoregne fermando chiunque sia sospettato di appartenere a un’organizzazione criminale, senza che ci sia un capo d’accusa o un mandato d’arresto. In quasi due anni sono state arrestate circa 75mila persone, presunti terroristi o affiliati alle bande. Bukele ha anche ordinato la costruzione in tempi record di un megacarcere di massima sicurezza in grado di ospitare fino a 40mila detenuti. Le immagini dei prigionieri praticamente nudi, con catene ai polsi e alle caviglie, hanno sollevato l’indignazione e le critiche delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani.
Nonostante le violazioni di diritti fondamentali, gli arresti arbitrari, le condanne con processi sommari e le condizioni dei detenuti – spesso isolati e senza la possibilità di avere comunicazioni con i propri familiari – Bukele ha raggiunto il suo obiettivo: le bande criminali sono scomparse dalle strade del Salvador. Il governo le ha smantellate, minando il loro dominio sul territorio, i loro mezzi di finanziamento e la loro struttura gerarchica. Le basi dei vari gruppi sono rimaste scollegate dai boss che davano ordini dalle carceri e questo ha trasformato le bande in strutture frammentate che non riescono ad agire a livello nazionale.
Oggi le strade sono più sicure, la violenza non è più la preoccupazione principale degli abitanti e i commercianti, gli autisti del trasporto pubblico, i cittadini comuni, un tempo oggetto di estorsioni da parte della criminalità organizzata, sono liberi di lavorare e muoversi senza la paura di essere minacciati o di ritorsioni. Questo risultato, tangibile e sotto gli occhi di tutti, spiega l’altissima popolarità di Bukele, che ora nel suo secondo mandato dovrà fare i conti con un’economia in crisi.
Intanto, ha scritto El Faro in un editoriale all’indomani del voto, la breve stagione democratica del paese cominciata dopo la fine della guerra civile negli anni novanta, sta per finire: “Tecnicamente El Salvador si trasformerà in una dittatura a partire dal 1 giugno 2024, quando Bukele darà il via a un secondo mandato incostituzionale e non ci sarà più nessuna istituzione a impedirglielo”. La conclusione è un invito alla resistenza e all’impegno civico in difesa della democrazia: “I cittadini con una vocazione democratica, quelli che sono ancora capaci di indignarsi per il saccheggio criminale dello stato o per le migliaia di innocenti imprigionati e torturati nelle prigioni del bukelismo, dovranno trovare il modo d’incanalare questa vocazione, quest’indignazione e questa sete di giustizia. E di risvegliare le coscienze di tutti gli altri. Si sta instaurando una dittatura. Siamo chiamati a resistere”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.
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