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Le carovane non si fermano

Una carovana di migranti a Villa Comaltitlán, nello stato messicano del Chiapas, il 3 dicembre 2024. (Jose Torres, Anadolu/Getty Images)

Il 1 dicembre alcuni gruppi di attivisti hanno reso noto che le autorità messicane avevano disperso due piccole carovane di migranti dirette verso nord, probabilmente in seguito a un accordo tra il presidente degli Stati Uniti e la presidente del Messico.

Uno dei due gruppi era partito da Tapachula, nello stato messicano del Chiapas, vicino al confine con il Guatemala, il 5 novembre, lo stesso giorno della vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali statunitensi. Era formato da circa 2.500 persone e in quasi quattro settimane di cammino aveva percorso circa 430 chilometri, raggiungendo Tehuantepec, nello stato di Oaxaca.

In questa città molti migranti sono stati fatti salire su autobus diretti a sud o in altre zone del paese dove potranno ricevere assistenza medica e dove sarà esaminato il loro status migratorio. Il secondo gruppo, formato da 1.500 migranti, era partito il 20 novembre ed è stato sciolto nella città di Tonalá, ancora in Chiapas. A queste persone le autorità hanno offerto un visto provvisorio che le autorizza a viaggiare per il Messico per venti giorni.

Lo stesso fine settimana un’altra carovana si è messa in marcia, ancora da Tapachula, con lo stesso obiettivo delle precedenti: arrivare il più vicino possibile alla frontiera con gli Stati Uniti prima che Trump si insedi alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. La maggior parte delle persone viene dal Venezuela, ma ci sono anche migranti dalla Colombia, da Haiti, dall’Honduras e dai paesi del Medio Oriente. Dopo tre giorni di cammino una parte del gruppo si è fermata, in difficoltà per il caldo, il dolore ai piedi e la stanchezza. Ma il portavoce della carovana ha detto all’agenzia Efe che la maggior parte di loro vuole proseguire per raggiungere Città del Messico e che è disposta a tutto, quindi le autorità messicane dovrebbero provvedere almeno fornendogli dell’acqua.

La paura di tutti è che il leader repubblicano mantenga le promesse fatte in campagna elettorale di chiudere la frontiera tra Messico e Stati Uniti e di respingere in massa tutti i migranti senza documenti.

Il 3 dicembre la presidente messicana Claudia Sheinbaum, del partito Morena (progressista), ha assicurato in conferenza stampa che il paese è preparato all’eventuale espulsione dei suoi connazionali. Saranno chiamati anche nuovi avvocati esperti in questioni migratorie per seguire i casi di queste persone. Sul tema Sheinbaum e Trump si erano parlati al telefono qualche giorno prima. In quell’occasione la leader messicana aveva assicurato che nell’ultimo anno il governo del suo predecessore, Andrés Manuel López Obrador, aveva già ridotto del 75 per cento l’arrivo di migranti al confine con gli Stati Uniti, rispondendo così alla minaccia di Washington di aumentare del 25 per cento i dazi su tutti i prodotti di importazione provenienti dal Messico se non fermerà “l’invasione” di migranti e droga negli Stati Uniti.

Anche se gli arrivi alla frontiera tra Messico e Stati Uniti sono diminuiti, tra gennaio e agosto di quest’anno più di 925mila persone sono entrate in Messico in modo irregolare attraverso il confine meridionale. Alcune città messicane, Tapachula ne è un esempio, sono diventate un limbo dove i migranti aspettano mesi in attesa che le loro domande siano esaminate e gli albergues, i centri di accoglienza, sono pieni oltre ogni limite con conseguenze pericolose sulla salute e sulla sicurezza. Mancano dati ufficiali, ma le organizzazioni per i diritti umani stimano che oggi a Tapachula, che ha 350mila abitanti, vivono almeno 50mila migranti. In città ci sono tre rifugi principali, che possono ospitare mille persone. Tutte le altre vivono in alberghi, tende, case o alle intemperie.

Il Messico controlla da anni i flussi dei migranti per conto degli Stati Uniti. Quando passano per i paesi dell’America Centrale le persone in viaggio verso nord ricevono semplicemente un documento che gli consente di attraversare il territorio, mentre in Messico devono affrontare una burocrazia complessa che limita la loro mobilità, oltre a essere esposti alle violenze e alle estorsioni dei narcotrafficanti. Le richieste di Trump al Messico di raddoppiare gli sforzi per impedire ai migranti di entrare negli Stati Uniti rischiano di aggravare la crisi umanitaria, spingendo sempre più persone a partire e dando più soldi e potere alla criminalità organizzata che si arricchisce sulla loro pelle.

Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.

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