“Noi venezuelani viviamo in una condizione permanente di preapocalissi: la nostra storia è sempre sul punto di esplodere. Ora non è diverso. Poche ore prima del 10 gennaio, quando è previsto che avvenga il cambio di governo, la leader dell’opposizione María Corina Machado annuncia che esce dalla clandestinità e convoca la popolazione in piazza. Da parte sua, il governo riempie le strade di soldati e poliziotti armati”, ha scritto il giornalista e scrittore Alberto Barrera Tyska sul País l’8 gennaio. “Edmundo González Urrutia (che si considera il legittimo vincitore) chiede ai militari di essergli leale in quanto nuovo capo di stato, mentre Maduro ordina all’esercito di reprimere qualsiasi manifestazione popolare. Si diffondono voci e speculazioni, e in questo film non mancano russi, cinesi, americani e iraniani. In un solo giorno tutto può cambiare o tutto può continuare uguale, peggiorando. Questa storia ha davvero un finale?”.
La tensione è alta in Venezuela. Tra poche ore Maduro, al potere dal 2013 dopo la morte di Hugo Chávez, dovrebbe insediarsi per un terzo mandato consecutivo senza la presenza di altri importanti leader stranieri, senza aver mai mostrato i dati elettorali che, secondo l’opposizione, proverebbero la sua sconfitta alla elezioni dello scorso 28 luglio e in un clima di militarizzazione e repressione crescente.
González Urrutia ha assicurato che arriverà nel paese, nonostante su di lui penda un mandato d’arresto, che giurerà come presidente e poi entrerà a palazzo Miraflores, sede della presidenza, anche se nello condizioni attuali sembra inimmaginabile che questo possa succedere. Il governo ha intensificato i controlli e gli arresti: negli ultimi giorni sono stati arrestati attivisti, oppositori e giornalisti. Il 7 gennaio alcuni uomini incappucciati hanno arrestato a Caracas il genero di Urrutia mentre accompagnava i figli a scuola, che hanno assistito alla scena.
E il 9 gennaio, durante la protesta antigovernativa nella capitale, l’opposizione ha denunciato che la leader María Corina Machado è stata brevemente arrestata e poi rilasciata. Il governo ha smentito la notizia, accusando l’opposizione di volersi fare solo pubblicità e Machado di dipingersi come vittima di una repressione che non esiste.
Secondo Tyszka, se si consolida la frode elettorale il Venezuela sarà “meno un paese e più la proprietà di una piccola potente oligarchia che, in base ai suoi interessi, usa la nazione come sua tenuta, miniera, fabbrica, azienda, banca, carcere. È uno scenario problematico per la regione, perché porterebbe a un aumento della migrazione, e molto scomodo per la comunità internazionale, perché tradisce il fallimento della diplomazia e porta paesi come il Brasile, la Colombia e il Messico a essere complici di un presunto ‘governo di sinistra’”.
Nelle prossime ore in Venezuela potrebbe succedere di tutto o potrebbe non succedere niente. Ma come ha scritto la giornalista Luz Mely Reyes, c’è la sensazione che oggi sia l’ultima opportunità: “Anche se tutti sappiamo che il paese non finisce con il 10 gennaio, allo stesso tempo c’è la certezza che il tempo della democrazia sta finendo”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana
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