Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2019 sul numero 1290 di Internazionale.

Mentre preparavo le mie razioni per i successivi cinque giorni, ho cominciato a chiedermi in cosa mi fossi imbarcata. Erano anni che sentivo parlare di diete del digiuno e delle loro promesse: fianchi più stretti, mente più lucida, minore rischio di cancro, di malattie cardiache e di diabete e una vita più lunga e più sana. Ma poi c’è la fame. Quando ho fame mi sento stanca e nervosa, e non divento proprio simpatica.

Perciò avevo sempre evitato questo tipo di diete: la 5/2, in cui si digiuna per due giorni alla settimana e si mangia normalmente gli altri cinque; quella 16/8 dove si può mangiare solo in un arco di otto ore e si deve digiunare per 16; il digiuno a giorni alterni. Ditene una a caso, probabilmente qualcuno l’ha provata.

Poi ho sentito parlare di una delle ultime tendenze, la dieta che mima il digiuno. Se bisogna credere al marketing, è il santo Graal: tutti i benefici del digiuno senza lo svantaggio della fame. L’azienda dietro questa dieta è stata addirittura la prima a ottenere un brevetto per estendere il periodo di vita sana prima che insorgano malattie.

E allora, potevo davvero avere la botte piena e la moglie ubriaca? Ho deciso di fare un tentativo, e cercare di arrivare alla verità sul digiuno.

Il mio entusiasmo per la promessa di un digiuno senza i morsi della fame è precipitato quando è arrivato il kit

Sappiamo da decenni che ridurre le calorie può avere effetti benefici, se non sulle persone quanto meno negli animali. Molti studi hanno accertato che gli organismi, dai lieviti unicellulari ai roditori, invecchiano più lentamente e vivono più a lungo quando l’apporto calorico scende al 40 per cento di quello consumato da un gruppo di organismi che mangia normalmente. La riduzione costante di calorie, però, non si è mai veramente diffusa tra gli esseri umani, anche perché i risultati non hanno ancora avuto conferma nei primati. E poi per le persone è difficile limitare molto la loro dieta e abbastanza a lungo da scoprire se effettivamente allunga la vita.

Modalità d’emergenza
Il digiuno è praticato nelle religioni di tutto il mondo da millenni, ma è diventato di moda tra i consumatori cinque anni fa, sull’onda di studi sugli animali e sulle persone sovrappeso che sembravano dimostrare che saltare i pasti potesse avere molti effetti benefici per la salute. Ci sono sempre più prove che il digiuno periodico mette il corpo in una sorta di modalità d’emergenza che gli permette di risparmiare energia, fare delle riparazioni e aumentare la lucidità mentale per risolvere il problema di procurarsi il cibo.

“Se accettiamo che il paleolitico è stato l’ambiente in cui si sono definiti quasi tutti gli adattamenti umani moderni, compresi quelli dietetici, i cacciatori-raccoglitori si sono adattati per periodi alternati di abbondanza e di carestia”, spiega Stanley Ulijaszek, un antropologo nutrizionista dell’università di Oxford. “Questa per noi potrebbe essere una condizione più naturale dei ‘tre pasti al giorno’”. Oltre alla perdita di peso, i sostenitori del digiuno intermittente affermano che potrebbe contribuire a proteggerci dal cancro, dal diabete e da malattie come il parkinson e l’alzheimer.

Il mio entusiasmo per la promessa di un digiuno senza i morsi della fame è precipitato quando è arrivato il kit. Avrei dovuto vivere con due buste di minestra al giorno più qualche cracker, delle olive ed eventualmente una barretta di frutta secca. Ai miei occhi somigliava molto alla fame. Questa specifica dieta è una creatura di Valter Longo, un gerontologo della University of Southern California a Los Angeles. La tesi di fondo è che mangiare molto poco appena una volta al mese – anche se per cinque giorni – può mimare gli effetti del digiuno osservati negli animali, arrivando addirittura a invertire le conseguenze dell’invecchiamento. Il sito web dell’azienda creata da Longo, la ProLon, afferma che la dieta che mima il digiuno “ha dimostrato con test clinici di indurre nel corpo la modalità di protezione e ringiovanimento”, fornendo allo stesso tempo abbastanza calorie da evitare svenimenti. Chiunque può beneficiare di queste pulizie di Pasqua delle cellule, sostiene Longo: “Anche se la tua dieta è eccellente e fai molta attività fisica, il corpo invecchia comunque e le cellule accumulano danni”.

Grazie agli studi condotti sugli animali, sappiamo parecchio su quello che succede nel corpo quando il cibo scarseggia. La mancanza di nutrienti scatena un processo detto di “autofagia”, in cui le cellule si spezzano e le parti danneggiate o malfunzionanti vengono riciclate e usate come carburante. Si pensa che questo sistema possa essersi evoluto per massimizzare la probabilità di sopravvivere all’inedia.

L’autofagia si verifica a bassi livelli nelle cellule sane, ma diventa meno efficiente quando invecchiamo. Un’autofagia “pigra” intasa l’interno delle cellule ed è stata messa in relazione con molte malattie legate all’età, cancro compreso, e con lo stesso processo dell’invecchiamento. Secondo alcuni ricercatori, l’aumento di malattie come il cancro e il diabete di tipo 2 ha molto a che fare con il fatto che in gran parte del mondo le persone non soffrono più la fame.

I primi risultati erano arrivati da ricerche sui topi, ma nel 2017 Longo e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio condotto su un centinaio di persone che avevano seguito la dieta detta mima digiuno per cinque giorni al mese per un periodo di tre mesi o che per lo stesso periodo avevano seguito la loro dieta normale. Il secondo gruppo poi aveva provato la dieta mima digiuno. Quando la seguivano, queste persone perdevano peso e grasso corporeo e avevano una pressione più bassa e livelli inferiori di un ormone chiamato fattore di crescita insulino-simile 1 (Igf-1), che si ritiene abbia un ruolo nell’invecchiamento e nell’insorgenza di alcune malattie. Anche i livelli dei marker infiammatori e del colesterolo erano più bassi.

Per il mio piccolo esperimento, prima di cominciare la dieta avevo fatto alcune analisi del sangue, misurando i livelli di Igf-1, colesterolo e proteina reattiva C (Pcr, un marker infiammatorio). All’Oxford centre for diabetes, endocrinology and metabolism mi avevano anche fatto un’analisi della composizione corporea per misurare eventuali effetti sulla massa grassa.

Fredrik Karpe, che dirige il centro, era a dir poco scettico. “È molto importante studiare bene le indicazioni sulla salute quando gli interventi fanno tante promesse”.

Una questione cruciale è quanto tempo bisogna digiunare per avviare quei processi. Dopotutto, sappiamo che non mangiare per un periodo prolungato è molto dannoso per la salute. Purtroppo la risposta non è chiara. In una recente rassegna degli effetti del digiuno sulla salute, Benjamin Horne, dell’Intermountain heart institute di Salt Lake City, nello Utah, ha concluso che nessuna ricerca è riuscita a individuare la linea di demarcazione tra digiuno e inedia, e che probabilmente tale linea varia in modo significativo a seconda delle condizioni fisiche di ciascun individuo.

Un altro effetto del digiuno è che il corpo comincia a esaurire il glucosio nel sangue e le riserve di glicogeno nel fegato, il che provoca un cambio nel metabolismo: il fegato comincia a convertire i grassi in corpi chetonici che muscoli e cervello usano come carburante, un processo detto chetosi. È per questo che il digiuno provoca quasi sempre una perdita di peso fra il 2,5 e l’8 per cento. Ma non sappiamo quanto tempo bisogna digiunare perché abbia inizio la chetosi. Secondo Longo ci vogliono almeno tre giorni, e i digiuni più brevi, come quello della dieta 5/2, non sono sufficienti.  

Mark Mattson della Johns Hopkins university di Baltimora, nel Maryland, che studia gli effetti del digiuno sul cervello, non è d’accordo: “Il fegato ha una riserva di glicogeno pari a circa 700 calorie, e l’attività quotidiana in casa ne brucia una settantina all’ora” mi spiega. Se non mangi, “sono circa dieci ore”. Se aggiungiamo dell’attività fisica, il cambio metabolico può verificarsi ancora più in fretta, mi dice. Una corsa energica può bruciare 100 calorie in 10 minuti. Infilate le scarpe da ginnastica qualche ora dopo l’ultimo pasto e non ci vorrà troppo a ottenere la chetosi, conclude Mattson, e io mi chiedo perché invece mi sia imposta un digiuno di cinque giorni.

Un altro merito attribuito al digiuno da cui in passato mi ero quasi lasciata tentare era quello dell’effetto cognitivo. Chi digiuna si vanta sistematicamente di pensare con maggiore lucidità e di avere una migliore capacità di concentrazione. Ulijaszek ha osservato qualcosa di simile con i cacciatori-raccoglitori dei nostri giorni. Mentre cercava cibo con i wopkaimin della Papua Nuova Guinea negli anni ottanta, lo studioso si accorse che non cominciavano mai la giornata facendo colazione perché quando andavano a caccia preferivano avere fame. “Dicevano di avere i piedi più leggeri e di essere più sensibili a quello che li circondava”, racconta Ulijaszek.

L’evidenza di autofagia e rigenerazione è puramente circostanziale. E non sappiamo se le nuove cellule sono più sane

Ma a tutt’oggi non sono state svolte ricerche controllate sul rapporto tra digiuno e capacità cognitiva negli esseri umani, e le uniche indicazioni su quello che potrebbe verificarsi arrivano dai topi. Il gruppo di Mattson ha scoperto che il passaggio alla chetosi stimola il cervello favorendo il rilascio di una sostanza chimica, il Bdnf, che promuove nuovi collegamenti tra i neuroni e li induce a fabbricare più mitocondri, che a loro volta generano energia.

Questa potrebbe essere la chiave per spiegare la lucidità mentale di cui parla chi digiuna. L’équipe sta conducendo uno studio randomizzato con dei volontari per scoprire se queste modifiche cerebrali e gli effetti associati si riscontrano anche negli esseri umani. I primi risultati sono attesi per l’inizio del 2019.

Cervello in tilt
La lucidità mentale di certo non è un’esperienza che ho provato. Il mio cervello è andato in tilt all’inizio del secondo giorno e ho quasi sempre dovuto rinunciare a lavorare per tornarmene a letto. Dopo il terzo giorno le gambe mi facevano male come se avessi l’influenza, a quanto sembra un indizio di chetosi. È difficile credere che una cosa che mi ha fatto sentire una vera schifezza possa farmi bene, soprattutto perché i risultati delle mie analisi prima del digiuno dimostrano che ero già metabolicamente sana: avevo bassi livelli di colesterolo “cattivo”, ottimi livelli di glicemia e trigliceridi e bassissimi livelli di grasso addominale, quella cosa che si attacca ai nostri organi e può essere un fattore di rischio per le patologie cardiovascolari e il diabete. L’analisi della composizione corporea aveva mostrato un bel po’ di grasso (il 30 per cento), ma quasi tutto concentrato sui fianchi e sulle cosce, una condizione che è stata collegata a un minore rischio di malattie cardiache e diabete.

Dopo cinque giorni di digiuno non era cambiato niente. L’analisi della composizione corporea dimostrava che avevo perso poco più di un chilo, di cui 584 grammi di massa magra e solo 168 grammi di grasso. E questo era piuttosto sorprendente, perché uno dei meriti più decantati della dieta mima digiuno è che prenderebbe di mira il grasso addominale proteggendo la massa magra. Secondo Longo, la chetosi non consuma la ciccia visibile e traballante, solo il grasso intorno agli organi. Dal momento che già in partenza avevo poco grasso addominale, ho consumato la massa magra, sostiene.

“Dal punto di vista della salute generale, lo ritengo un esito piuttosto negativo”, afferma Karpe. “La metà dei tuoi cambiamenti ha riguardato i muscoli. Le regioni grasse non sono cambiate un granché. Non è quello che volevi”.

Vantaggi discutibili
È possibile che la perdita di massa magra fosse dovuta ad autofagia? I topi di mezza età sottoposti alla dieta di Longo sembravano sicuramente essersi in qualche modo ripuliti: il fegato, i reni e il cuore si erano ridotti durante il digiuno e avevano avuto un calo temporaneo del numero di certi tipi di cellule sanguigne. Tutto era tornato come prima dopo qualche giorno di dieta normale, con un aumento dei livelli dei marker di rigenerazione epatica e qualche segnale di rigenerazione muscolare. La tesi è che le cellule decrepite eliminate erano state rimpiazzate da una loro versione più nuova e scintillante.

Negli esperimenti condotti sugli esseri umani, però, l’evidenza di autofagia e rigenerazione è puramente circostanziale. E non sappiamo se le nuove cellule siano più sane di quelle andate perdute. Longo ammette che è un problema su cui stanno ancora lavorando.

Anche per quanto riguarda i marker sanguigni della salute e della longevità i miei risultati erano decisamente poco significativi. L’unica differenza evidente era l’ormone Igf-1. Negli esperimenti della ProLon i volontari hanno visto una significativa riduzione dell’Igf-1, che a detta di Longo è rimasta evidente tre mesi dopo il ritorno alla dieta normale. Ma se questo significhi più longevità è tutt’altro che chiaro. Studi epidemiologici hanno messo in relazione con la morte precoce livelli sia alti sia bassi di Igf-1, con alti livelli di Igf-1 legati a un maggiore rischio di tumore e bassi livelli di Igf-1 legati a patologie cardiovascolari.

Ovviamente il mio esperimento solitario non è molto scientifico, ma mi ha lasciato perplessa: per quelli di noi che sono sani in partenza, il digiuno offre davvero benefici a parte il fatto che inevitabilmente si tagliano un po’ di calorie e si perde un po’ di peso?

Michelle Harvie, la ricercatrice dell’università di Manchester che ha ideato la dieta 5/2, chiarisce che stando alle ultime ricerche semplicemente non lo sappiamo. “Le diete intermittenti sono un metodo collaudato per perdere peso; non conosciamo benefici o danni per le persone normopeso o sottopeso”, dice.

Molti dei primi studi sulle diete del digiuno interessavano volontari sovrappeso. Perfino nello studio di Longo, su cento volontari sani, due terzi avevano cominciato con un indice di massa corporea superiore a 25, quindi la maggioranza assoluta di loro era sovrappeso o obesa. Perciò, se è vero che certi indicatori di salute come indice di massa corporea, grasso addominale e pressione sanguigna si erano ridotti in modo significativo dopo tre digiuni nell’arco di tre mesi, non è chiaro se questo si possa attribuire al semplice fatto che quelle persone avevano perso peso.

Digiunare significa anche mangiare molte meno proteine e molti meno grassi animali, entrambi ricondotti al cancro, perciò anche questo potrebbe spiegare gli effetti riscontrati negli esperimenti.

Quando una persona ha un buon peso, i suoi meccanismi di pulizia cellulare funzionano bene da soli, dice Karpe. “In qualunque sistema fisiologico normale, in una persona sana e magra, che mangia bene, svolge attività fisica, fa quello che al corpo piace fare, tutte queste cose funzionano. È per questo che le persone sane, che fanno moto e mangiano cose normali, vivono più a lungo di chi è sovrappeso”. Susan Jebb, una nutrizionista dell’università di Oxford, è d’accordo. “Che io sappia non ci sono prove di alta qualità relative al digiuno intermittente fatto da persone non sovrappeso”.

Solo il tempo ci dirà se gli esseri umani ottengono benefici dal digiuno che non siano la perdita di peso. Perciò non posso fare a meno di pensare che le promesse stampate sulla scatola della ProLon spedita da Longo, “un ringiovanimento dall’interno”, siano ancora premature.

Per il momento non siamo sicuri che il corpo elimini le cellule danneggiate e le sostituisca con qualcosa di meglio.

Per quanto mi riguarda, ora che so che gran parte del mio grasso corporeo è immagazzinato lontano dagli organi e che le mie analisi del sangue sono perfettamente nella norma, credo che mangerò come ho sempre fatto e correrò i miei rischi. Sì, il mio corpo probabilmente potrebbe cavarsela con meno vino e cioccolata, ma ha senso soffrire la fame per una ricompensa che forse non si materializzerà mai? La vita è troppo breve.

(Traduzione di Giuseppina Cavallo)

Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2019 sul numero 1290 di Internazionale.

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