Il 2 dicembre 2020 il Marocco, uno dei primi produttori di cannabis al mondo, ha votato a favore della proposta di togliere la cannabis dalla lista delle sostanze più pericolose, e per questo sottoposte a controlli più rigidi, in quanto membro della commissione per le droghe narcotiche delle Nazioni Unite. Dopo il voto, il governo di Rabat ha approvato l’11 marzo una proposta di legge che apre alla legalizzazione della cannabis per scopi terapeutici, rilanciando un dibattito di lunga data nel paese.
Cosa significa per il Marocco legalizzare la cannabis per uso medico? In un’intervista su Skype l’antropologo Khalid Mouna dell’università Moulay Ismail di Meknès, attualmente all’istituto universitario Iae di Nantes, grande esperto di questioni riguardanti la cannabis, parla di “una rivoluzione”, che però “andrà avanti molto lentamente”.
Il testo di legge, attualmente all’esame del parlamento, prevede la creazione di un’agenzia nazionale di regolamentazione, che dovrà far crescere un circuito agricolo e industriale dove si rispettino dei parametri, con “cooperative di agricoltori dotate di autorizzazioni” che coltivino “varietà di piante certificate”. L’obiettivo del governo, si legge nella proposta di legge, è “convertire i raccolti illegali che distruggono l’ambiente in attività legali sostenibili che creano valore e posti di lavoro”.
L’apertura voluta dall’esecutivo ha rilanciato dibattiti che vanno avanti da un secolo nel paese. In un’edizione recente il settimanale Tel Quel, sostenendo entusiasticamente la parziale depenalizzazione, titola “Fateci sballare fino in fondo”, facendo un gioco di parole con kiffer (amare, godere) e kif, usato per indicare un derivato dell’hashish molto popolare in Marocco. Radio 2Mm ha aperto i suoi microfoni a Khalid Tinasti, segretario generale della Global commission on drug policy, per spiegare i vantaggi della legalizzazione. Noonpost pubblica un reportage sui coltivatori impoveriti, mentre sul sito Medias24 un gruppo di esperti discute delle ricadute positive a livello sociale ed economico della proposta di legge.
Un dibattito antico
Fuori del coro, anche all’interno del proprio partito, Abdelillah Benkirane, leader del Partito della giustizia e dello sviluppo (Pjd, islamista), grida all’immoralità e minaccia di dimettersi. In tutta risposta, mezzi d’informazione come il sito Article19 ricordano che la cannabis è da sempre usata nella medicina tradizionale araba. Ibn Sina, conosciuto in Europa come Avicenna, include questa pianta nel suo Canone della medicina. “Far tornare la cannabis una risorsa medica, che la scienza islamica ha usato e promosso per secoli, serve anche a decolonizzare il proibizionismo marocchino, che è influenzato da quello occidentale”, si legge sul sito marocchino.
La questione risale in effetti al periodo coloniale, durante il quale nel paese fu introdotto un proibizionismo che ricalcava quello europeo, spiega in un’intervista su Skype l’antropologo Khalid Mouna. “Ai tempi del protettorato, i francesi inizialmente fecero pressione sul sultano perché liberalizzasse il mercato e il kif finanziasse la loro campagna coloniale. Nel 1934 i francesi misero a punto un regolamento sulla vendita di questa sostanza. I prodotti della cannabis provenienti dalla parte di Marocco occupata dagli spagnoli erano considerati di contrabbando”. L’epoca del proibizionismo comincia solo nel 1954 con un dahir (decisione del sultano) promosso dalla Francia, dietro pressioni dell’Egitto. “A quell’epoca il paese era il più grande produttore di cannabis”, osserva Mouna. “Oggi ci troviamo di fronte a una situazione simile. I paesi del nord sono stati i primi a legalizzare. La California ha cominciato già nel 1996. C’è un chiaro squilibrio con i paesi produttori, che si trovano nel sud del mondo”.
La cannabis è la più diffusa sostanza psicotropa al mondo e il suo mercato è terribilmente disomogeneo, spiega Mouna: se parliamo di cifre – ma si tratta solo di stime fatte a partire dai dati sui sequestri di droga – nel 2014 il mercato legale valeva 14 miliardi di dollari rispetto a un giro d’affari illegale da 140 miliardi di dollari. Preme anche sottolineare quanto rapidamente “si stia espandendo il mercato legale. E anche in questo il Marocco arriva molto in ritardo”.
Il mercato mondiale sta di fatto conoscendo una crescita annuale del 30 per cento, mentre quello europeo del 60 per cento, si legge in una nota del ministero dell’interno marocchino, secondo il quale legalizzando in parte la cannabis si potranno “migliorare le condizioni di vita degli agricoltori e proteggerli dalle reti del narcotraffico”.
Uno studio della società Grand View Research ha stimato che il giro d’affari globale della marijuana legale potrebbe raggiungere i 55,8 miliardi di dollari nel 2025 (circa 50 miliardi di euro), cinque volte di più rispetto al 2015.
La cultura della cannabis ha nei fatti ritardato l’esodo rurale in una regione montagnosa e isolata
La legalizzazione potrebbe cambiare l’orizzonte di vita di circa 90mila famiglie – questa è la stima del governo di Rabat – che vivono nel Rif, una regione del nord del paese, e che dipendono per la loro sussistenza dalla produzione illegale di cannabis. A livello sociale questa coltura ha in un certo senso frenato l’esodo da una regione rurale montagnosa e isolata, dove oggi c’è una densità piuttosto elevata – circa duecento abitanti per chilometro quadrato – in particolare nelle province di Taounate, Al Hoceima, Chefchaouen, Ouazzane e Tétouan.
Khalid Mouna, autore del libro Le bled du kif, ha condotto molte ricerche nel Rif. Secondo lui la proposta di legge deriva anche da anni di fallimenti nei tentativi di diversificare le colture in questa regione. Il rilievo montagnoso non è propizio ad altre coltivazioni, come per esempio quella delle mele, che pochi anni fa si è rivelata un insuccesso. Secondo Mouna, in questa regione periferica “la cannabis è un fattore di stabilità sociale da decenni. È quindi naturale che la notizia sia stata accolta con cautela dagli abitanti del Rif, timorosi di finire in un circuito di cui non conoscono le regole. Gli ex venditori illegali dovranno firmare contratti con lo stato. Tutti dovranno lentamente apprendere nuovi codici”.
Con la legalizzazione torneranno alla luce anche vecchie dispute irrisolte, legate alle divisioni delle terre o alla questione ambientale. La produzione di cannabis oggi si basa su uno sfruttamento molto intensivo delle terre e delle risorse idriche, in una regione che soffre per la carenza d’acqua. L’uso di fertilizzanti potenzialmente tossici e la deforestazione potrebbero danneggiare per sempre l’ecosistema, fa notare Mouna. Anche in questo caso le autorità dovranno stabilire regole “che tengano conto dell’ambiente, visto che avranno il monopolio sul tipo di semi che i coltivatori potranno usare”.
Si tratta anche di capire quanto i contadini saranno interessati a trasformare le loro colture, per passare dalla cannabis a uso ricreativo a quella per scopi terapeutici.
L’antropologo ricorda che nel mercato illegale “la maggior parte degli esportatori sono stranieri e i veri guadagni li ottengono loro, non i contadini. Il sogno d’incontrare l’intermediario giusto è molto radicato nell’immaginario di questi contadini. Ognuno spera d’incontrare il venditore internazionale che lo renderà ricchissimo”.
Un’altra trappola della legalizzazione, come si è visto in Colombia o in Nepal, è che per i piccoli contadini “le grandi aziende farmaceutiche potrebbero prendere il posto dei baroni della droga”. È cruciale quindi ricordare che la cannabis in Marocco ha anche usi tradizionali, e che in alcuni paesi africani questa pianta viene usata nell’erboristeria tradizionale, allo stesso modo della menta. “Bisogna valorizzare l’uso cosmetico e medicinale di questo prodotto nell’industria marocchina, uso che non è ancora sparito, come invece è successo in Europa”, continua Mouna.
Malgrado tutti questi interrogativi, conclude l’antropologo, la diversificazione del mercato è di certo un’ottima notizia, attesa da tempo: paesi come il Libano o Israele avevano già legalizzato la cannabis terapeutica, senza aspettare la decisione dell’Onu. Oggi Israele è molto interessato a quello che succede in Marocco, dove potrebbe aprirsi un nuovo mercato per i suoi semi.
Il Marocco si posiziona come leader in Africa, conclude Mouna: “Nel paese ci sono già aziende farmaceutiche molto dinamiche. La legalizzazione potrebbe permettergli di fare un ulteriore balzo in avanti”.
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