“Itmahrag!” (Festeggiamo! ), sembra gridare il coreografo francese Olivier Dubois al pubblico del gran finale di Romaeuropa, il festival di arte, teatro, danza e musica contemporanee che si è svolto dal 14 settembre al 21 novembre. Con il suo spettacolo di danza intitolato per l’appunto Itmahrag, Dubois invita a partecipare a uno spettacolo stupefacente che libera l’energia esplosiva di danzatori e musicisti egiziani di mahraganat, una musica elettronica distorta, che scatena balli energici, violenti, ispirati alla danza dei coltelli, e che oggi è vietata in Egitto.
Il mahraganat è nato nei sobborghi più popolari del Cairo e si è affermato durante la rivoluzione del 2011. Unisce il shaabi, la musica pop suonata in occasione di feste di strada o di matrimoni, con l’elettronica e l’hip-hop, creando ritmi incandescenti attraverso altoparlanti che distorcono il suono. Denigrato dalla borghesia egiziana per la sua volgarità, il mahraganat è stato attaccato per i suoi toni dal presidente Abdel Fattah Al Sisi, che ha fatto arrestare tre cantanti.
Verità e sconforto
Olivier Dubois è un ballerino con un fisico da lottatore che ha scatenato nelle sue interpretazioni per Angelin Preljocaj, il Cirque du Soleil o Sasha Waltz un’energia fuori dal comune. Il magazine Dance Europe l’ha eletto tra i migliori danzatori al mondo nel 2011. Fiero allievo di Jan Fabre, da coreografo ha abituato il pubblico a grandi momenti di verità in scena, senza temere di seminare sconforto in sala.
Prima della rappresentazione a Roma, Olivier Dubois spiega il suo rapporto simbiotico con i “cattivi ragazzi” del Cairo e racconta come si è deciso a portare il mahraganat in scena: “Da piccolo viaggiavo molto con i miei genitori. La prima volta che sono stato in Egitto però ho sentito qualcosa di diverso e dall’età di 17 anni in poi ci sono sempre tornato. Oggi ho un appartamento lì e vivo tra il Cairo e Parigi. Intrattengo una relazione amorosa con questa città, è allo stesso tempo molto intima ed evidente. Sarà il caos, il calore umano, un’organizzazione misteriosa della vita sociale, un rapporto con il tempo radicalmente diverso”.
Dubois ha visto il movimento mahraganat nascere ed esplodere dopo la rivoluzione del 2011, grazie a una gioventù pasoliniana senza politica o meta. L’anno scorso si è deciso a lanciare il progetto, e sono cominciate le audizioni per formare un gruppo di due cantanti e cinque danzatori.
La vera sfida era quella di portare sul palcoscenico artisti che lavorano normalmente in strada o su YouTube, spiega ancora Dubois: “La cosa più faticosa è stata mettersi d’accordo sul lavoro da distribuire, la tournée ci ha cambiati tutti. Anche gli altri sono diventati molto esigenti e ora siamo sulla stessa linea. Siamo d’accordo sul fatto che lavorare sodo accresce la libertà artistica”. E aggiunge con umorismo: “Ovviamente reggerà tutto finché riuscirò a fare tardi quanto loro e metterli a letto!”.
Scherzano, riordinano il set, spostano sedie e proiettori parlando in arabo, senza traduzione. L’esperienza sarà vera, una festa senza regole sta per cominciare
Mentre gli spettatori in sala si stanno ancora sedendo, i sette artisti sono già sul palcoscenico, le luci sono forti. Scherzano, riordinano il set, spostano sedie e proiettori parlando in arabo, senza traduzione. L’esperienza sarà vera, una festa senza regole sta per cominciare. Poi, sempre in arabo egiziano, gli interpreti chiedono al pubblico già leggermente teso che cerca di cogliere il senso: “C’è qualcuno qua che ci capisce?”. La domanda suona forte, non solo retorica.
Anche le persone che parlano l’arabo, in Egitto, sembrano non volere capire questa gioventù tradita dopo la rivoluzione del 2011. È una gioventù che vive ai margini, ma che rappresenta la maggioranza: l’età media degli egiziani è di 24 anni. Per una città di 22 milioni di abitanti, i “quartieri periferici” a cui gli artisti fanno riferimento presentandosi in inglese sono di fatto immense città, giovanissime, dove il mahraganat è pane quotidiano.
Altri circuiti
Il mahraganat non è nato come genere politico, ma la paura che incute al regime l’ha reso un fenomeno politico centrale in Egitto. La sua influenza sulla cultura popolare egiziana è immensa: è stato diffuso dal cinema, che ne ha fatto grande uso, fino a conquistare i giovani di tutto il paese e del mondo arabo.
Il 14 febbraio 2021 allo stadio del Cairo gli artisti mahraganat Hassan Shakoosh e Omar Kamal hanno cantato Bent El Giran (la figlia del vicino). Il protagonista racconta il suo amore per una ragazza che abita accanto a lui, se dovesse essere rifiutato la sua vita perderebbe ogni senso. L’amore deluso, canta, lo spingerebbe “a ubriacarsi e fumare hashish”.
Il giorno dopo il capo del sindacato dei musicisti, il cantante Hany Shaker, ha negato la licenza artistica che permette di esibirsi in pubblico in Egitto a tutti i cantanti mahraganat, annunciando misure legali contro chiunque violi questa decisione. Il giorno dopo ancora il ministero dell’istruzione ha vietato il mahraganat nelle scuole egiziane.
Quello che inquieta il regime è anche l’autonomia finanziaria degli artisti, che non dipendono dai circuiti culturali ufficiali come gli altri: per le star del mahraganat i guadagni provengono da YouTube e dai loro canali internet. Artisti come Hamo Bika e Mohamed Ramadan guadagnerebbero rispettivamente 1,9 e 4,5 milioni di dollari all’anno grazie a YouTube.
L’intento artistico di Itmahrag però non è documentaristico. Dubois ha lavorato per trasformare l’energia esplosiva dei suoi interpreti, li ha anche spinti a riappropriarsi di canzoni di culto come Al Atlal di Umm Kulthum, invitandoli a “sedersi sulla tradizione, non rispettarla, non averne paura”. Come racconta il coreografo: “Volevo considerare tutti come performer completi, ho fatto cantare i danzatori, ballare i cantanti. Siamo tornati alle radici antiche di questa danza: una danza dei coltelli di Alessandria. Quando ballano con i coltelli veri per strada, si sente un vero rischio, e questo mi fa impazzire, amo prendere rischi, vivere situazioni incandescenti”.
Dopo le presentazioni e gli scherzi all’inizio dello spettacolo, la violenza sale sul palco. Fumogeni, scontri tra ragazzi, corpi lanciati gli uni contro gli altri, tempi che si dilungano. La violenza scatenata dei corpi di questi giovani maschi porta Dubois a mischiare le carte e interroga il loro rapporto con la mascolinità: si alternano gesti violenti di “cattivi ragazzi” e balli lascivi ispirati alla sensualità della danza orientale femminile. La loro energia spiazza: non è ben definita e Dubois non gli pone alcun argine. Per lui “la gioventù del mondo intero si può riconoscere in queste pure espressioni”.
Di fatto, senza proporre didascalie, senza intermediazione apparente tra i suoi performer e il pubblico, il coreografo è riuscito a scatenare un’energia potentissima in scena, una vera festa.
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