In Africa la crisi della democrazia aggrava quella alimentare
Il nome di Thierno Mamadou Diallo sarà dunque il primo di una lunga lista di annunci di morte provenienti dall’Africa occidentale? Una vittima collaterale e innocente di una guerra combattuta a seimila chilometri dal suo paese? Il diciannovenne guineano è caduto sotto i colpi esplosi con ogni probabilità dalla polizia a Conakry il 1 giugno scorso, a margine di una protesta spontanea contro un improvviso aumento del prezzo del carburante.
Per decisione del governo, il prezzo di un litro di benzina alla pompa era salito quella mattina da diecimila franchi guineani (gnf), che equivalgono a circa un euro, a dodicimila. A questo prezzo, se un guineano che guadagna il salario minimo decidesse di spendere tutto il suo stipendio in carburante, potrebbe acquistare a malapena 36 litri di benzina. La giunta militare al potere teme più di ogni altra cosa che la popolazione in ginocchio possa infiammare le strade e rimettere in discussione il suo potere illegittimo.
Come molti altri stati, la Guinea sta subendo i contraccolpi economici della guerra in Ucraina e delle sanzioni internazionali contro la Russia. “Oltre ai danni causati dalla pandemia di covid-19, l’invasione russa dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio, ha aggravato il rallentamento economico globale”, ha avvertito la Banca mondiale a inizio giugno. I prezzi dei cereali e del petrolio sono saliti alle stelle, minacciando di aumentare la fame nei paesi poveri. Gli economisti della Banca mondiale prevedono che questo ritmo di aumento dei prezzi continuerà fino al 2023-2024.
“A causa dei danni congiunti della pandemia e della guerra, quest’anno i livelli di reddito pro capite nei paesi in via di sviluppo saranno inferiori di quasi il 5 per cento rispetto a quanto previsto prima del covid. Per molti paesi sarà difficile uscire dalla recessione”, ha dichiarato l’istituzione. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, teme scenari ancora peggiori e ha parlato di “un uragano di carestie”.
Déjà-vu
A inizio giugno la Banca mondiale prevedeva un aumento del 42 per cento del prezzo del petrolio entro il 2022. Sulla base di questi choc inflazionistici, Agritel, una società di consulenza francese specializzata in strategie agricole, evoca un doloroso precedente. Nel 2007 e nel 2008 si verificarono rivolte alimentari in diverse parti del mondo, da Haiti alle Filippine e in particolare in Africa. Agritel osserva che, in dollari, ovvero a dollaro costante, i prezzi del grano si aggirano oggi intorno ai 440 dollari per tonnellata. Quindici anni fa il prezzo era di appena dieci dollari più alto.
Naturalmente i paesi africani produttori di petrolio stanno in parte beneficiando dell’aumento dei prezzi. “Ma questo non è certo il caso di tutti i paesi importatori africani”, osserva Agritel. L’aumento del prezzo del petrolio porta automaticamente a quello dei costi di produzione di fertilizzanti e pesticidi, nonché dei costi legati all’uso di macchinari agricoli e al loro trasporto.
Ritroviamo, oggi come nel biennio 2007 2008, un sovrapporsi di cause strutturali che pesano sull’offerta: distruzione dei terreni coltivabili, aumento della domanda, peggioramento delle condizioni climatiche, e così via. Per non parlare del caos congiunturale legato alla paralisi dei porti ucraini del mar Nero, dai quali partiva il 95 per cento dei cereali di questo paese, che è il secondo produttore mondiale.
In Guinea, Burkina Faso, Mali e Ciad le giunte militari al potere non hanno la legittimità politica per gestire le tensioni sociali
Il caso guineano sopra citato solleva questioni che possono essere trasposte a diversi paesi del Sahel e dell’Africa occidentale. È difficile per questi stati, che sono tra i più poveri del mondo, assorbire gli choc quando la maggior parte della popolazione vive alla giornata. Ma per Guinea, Burkina Faso, Mali e Ciad esiste una difficoltà supplementare: la mancanza di legittimità dei poteri militari, insediatisi con colpi di stato, nel gestire questa situazione sociale già tesa, che la guerra in Ucraina sta spingendo sull’orlo del collasso.
Per arginare le proteste a Conakry, la giunta salita al potere il 5 settembre 2021 ha semplicemente vietato il diritto di organizzare manifestazioni pubbliche “di natura tale da compromettere la tranquillità sociale e il corretto svolgimento delle attività” durante i tre anni che avrebbero dovuto precedere il ritorno dei civili al potere. I militari hanno anche vietato ai panettieri di aumentare il prezzo del pane. E per farlo hanno ridotto il peso di ogni pagnotta vendendola allo stesso prezzo unitario. Il Fronte nazionale per la difesa della costituzione, il collettivo che ha orchestrato la mobilitazione contro un terzo mandato presidenziale per l’ex presidente Alpha Condé nel 2019-2020, ha denunciato “l’atteggiamento dittatoriale” della giunta.
In Ciad, Mahamat Idriss Déby Itno, che ha “preso il potere” alla fine del regno del padre (1990-2021), interrotto dall’uccisione di quest’ultimo in battaglia nell’aprile 2021, ha appena dichiarato lo “stato di emergenza alimentare”. Questa decisione, che equivale a un appello per ricevere aiuti internazionali, mostra la mancanza di lungimiranza di un governo di transizione che si occupa solo degli affari correnti e reprime ogni forma di protesta. La situazione sociale in Mali, un paese sottoposto a sanzioni economiche dai tempi del colpo di stato militare dell’agosto 2020, continua a peggiorare, aggravata dalla violenza dei gruppi armati che stanno rendendo impossibile l’attività agricola in intere regioni.
Ciò che accomuna queste giunte militari è che prosperano sulle rovine di sistemi politici corrotti e falliti, con istituzioni deboli ispirate a modelli occidentali - spesso francesi - generalmente inadeguati. Tuttavia, nonostante i militari giurino di essere al potere solo per salvare la nazione, è difficile scorgere nei loro piani futuri qualcosa di diverso dal desiderio di mantenere ciò di cui si sono impadroniti. Anche se non hanno ancora scatenato “un uragano di carestie”, le giunte non sono probabilmente le più attrezzate per gestire una crisi di una gravità mai vista in Africa da diversi decenni.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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