Il Niger è uno dei paesi più militarizzati dell’Africa. Nell’ottobre del 2017 questo dato è salito all’attenzione di tutti quando quattro soldati delle forze speciali statunitensi e almeno quattro militari nigerini sono rimasti uccisi in un’imboscata. Da allora la presenza militare straniera non ha fatto che intensificarsi. Cosa fanno in Niger tutte queste forze armate? Che interessi hanno? Stanno raggiungendo i loro obiettivi?
Gli Stati Uniti non sono l’unico paese presente ad avere truppe in Niger: ci sono anche i soldati di Francia, Germania, Canada e Italia.
Nell’aprile di quest’anno il Niger ha ospitato le esercitazioni militari congiunte Flintlock, che hanno coinvolto 1.900 soldati di una ventina di paesi. L’obiettivo delle esercitazioni, patrocinate dagli Stati Uniti, era rafforzare la collaborazione tra le forze di sicurezza africane per proteggere i civili dalle violenze legate all’estremismo religioso.
La presenza militare straniera in Niger viene generalmente motivata in tre modi: lottare contro il terrorismo, prevenire le migrazioni degli africani in Europa e proteggere gli investimenti stranieri.
Il terrorismo nel Sahel
Nella regione del Sahel, che comprende anche il Niger, sono attivi alcuni gruppi estremisti islamici e per questo l’area è considerata la “nuova frontiera” delle operazioni della lotta globale al terrorismo. Oltre al Niger, gli Stati Uniti hanno una presenza militare in Mauritania, in Senegal, in Mali, in Burkina Faso, in Nigeria e in Ciad. Per quanto ne sappiamo, solo il Sudan e l’Eritrea non ospitano truppe statunitensi. Nel Sahel operano inoltre “attori esterni di secondo piano”, tra cui le forze armate dell’Unione europea, di Israele, della Colombia e del Giappone.
Il coinvolgimento statunitense nel Sahel risale ai tempi della guerra al terrorismo lanciata da Washington dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Nel 2003 gli Stati Uniti crearono la Pan Sahel initiative, coinvolgendo il Ciad, il Mali, la Mauritania e il Niger nell’addestramento di unità dell’esercito specializzate nel contrastare le minacce terroristiche e la diffusione del radicalismo. Nel 2004 l’iniziativa è stata sostituita dalla Trans-Sahara counterterrorism partnership, un’alleanza più ampia che comprende anche l’Algeria, il Burkina Faso, il Camerun, il Marocco, la Nigeria, il Senegal e la Tunisia.
Nel 2014 i capi di stato di Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad hanno firmato una convenzione per istituire il G5 Sahel, con l’obiettivo di garantire “sviluppo e sicurezza per migliorare la qualità della vita della gente”. Nel 2017 gli stessi capi di stato hanno dato vita alla forza congiunta del G5 Sahel, con il benestare dell’Unione africana e delle Nazioni Unite. Lo scopo di questa forza armata, il cui presidente di turno è il nigerino Mahamadou Issoufou, è più ampio rispetto a quello di altre operazioni in corso nella regione: oltre a migliorare la sicurezza lungo i confini condivisi, i suoi uomini devono anche promuovere la cosiddetta soft security (”sicurezza morbida”, cioè quelle misure – anche di natura preventiva – che servono a riportare la stabilità e un senso di normalità nelle aree colpite da conflitti).
Gli Stati Uniti hanno fornito supporto militare a ognuno degli stati del G5 Sahel e hanno promesso 60 milioni di dollari di aiuti bilaterali all’iniziativa.
Il Niger è circondato da paesi che sono focolai di instabilità
Il Niger si trova nel centro del Sahel. Purtroppo per i suoi abitanti, è circondato da paesi che sono focolai di instabilità. Storicamente il Niger è sempre stato la porta d’accesso al Nordafrica per i migranti originari dell’Africa subsahariana e negli ultimi anni è diventato uno dei più importanti paesi di transito per chi va in cerca di opportunità in Europa. È per questo che paesi come l’Italia hanno inviato le loro truppe in Niger, con l’obiettivo di fermare i migranti.
Le forze armate straniere in Niger addestrano soldati africani, fanno volare droni, costruiscono basi, compiono incursioni oltre frontiera e raccolgono informazioni. Queste attività sono finalizzate alla lotta al terrorismo e al controllo dei flussi migratori. Tuttavia l’Africa è considerata anche uno dei mercati dalle potenzialità maggiori, cosa che spiega l’espansione dei rapporti economici e commerciali, e questa può essere un’ulteriore motivazione per la presenza militare straniera sempre più diversificata in Niger e, più in generale, nella regione.
Dal canto suo, il governo di Niamey ha accolto a braccia aperte le truppe straniere. Il presidente Issoufou è felice di sostenere gli interessi di Washington nella regione finché gli Stati Uniti saranno disposti a sostenere il suo governo e ad addestrare le sue forze armate. Con l’aiuto statunitense Issoufou pensa di poter mantenere la promessa fatta in campagna elettorale di “sconfiggere i militanti estremisti islamici”.
I rapporti amichevoli tra Niger e Stati Uniti assumono un significato particolare anche alla luce delle tensioni tra Washington e il Ciad, vicino del Niger. Alla fine del 2017 il presidente statunitense Donald Trump aveva inserito il Ciad nella
lista di paesi colpiti dal divieto di viaggiare negli Stati Uniti, una mossa che ha stupito molti esperti di politica estera e ha evidentemente suscitato le ire del governo ciadiano. In seguito il divieto è stato abolito.
Conseguenze indesiderate
La presenza di forze militari straniere in Niger ha davvero permesso di contrastare il terrorismo e i flussi migratori? A che prezzo? Ci sono state ricadute impreviste e potenzialmente dannose? Alcuni sostengono che la presenza delle truppe straniere abbia avuto conseguenze negative sulla politica interna del Niger e che abbia favorito l’affermazione di un clima politico sempre più oppressivo.
Alcuni rappresentanti della società civile e i leader dell’opposizione politica denunciano la costruzione di nuove basi militari straniere, denunciando delle violazioni della costituzione. Secondo loro, la presenza militare straniera e la centralità attribuita al tema della sicurezza sono strumenti che servono a rafforzare un governo che non ha più sostegno interno. Le elezioni nigerine del 2016, in cui Issoufou ha conquistato un secondo mandato, pare siano state “caratterizzate da gravi irregolarità”.
La corsa alla militarizzazione del Niger desta ancora più preoccupazione in un paese dove le forze armate sono considerate “un’organizzazione profondamente politicizzata” e ostile al controllo delle autorità civili. Un esercito del genere potrebbe rivelarsi utile a un presidente che desideri consolidare il suo potere al di là di quanto concesso dagli strumenti democratici.
Nel febbraio di quest’anno i nigerini sono scesi in piazza scandendo slogan come: “Eserciti francesi, americani e tedeschi, andate via!”. Issoufou ha risposto bloccando altre manifestazioni simili nel mese di marzo. Ha difeso la misura affermando l’importanza di uno stato “democratico, ma forte”.
Non è ancora chiaro cosa succederà in futuro, soprattutto se – come rivela un articolo del New York Times – Washington starebbe valutando se ritirare la maggior parte delle truppe. Per chi si oppone alla presenza militare straniera in Niger non sarà mai troppo presto.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Da sapere
- Nel gennaio del 2018 è stata approvata dal parlamento italiano una missione militare in Niger (Misin), che dovrebbe occuparsi di addestramento e supporto dell’esercito nigerino nel contrasto di traffici illegali. I primi quaranta soldati italiani arrivati a marzo sono però rimasti accampati in una base statunitense a poche centinaia di metri dall’aeroporto di Niamey, senza avere ancora ricevuto il via libera dalle autorità del paese per operare. Il 20 settembre è stato reso noto da alcune agenzie di stampa, non smentite dal ministero, che il contingente è stato sbloccato e che entro novembre partiranno altri trenta militari italiani.
- Nella notte tra il 17 e il 18 settembre in Niger un gruppo armato ha rapito il religioso italiano Pierluigi Maccalli, della Società delle missioni africane (Sma). Il sequestro è stato inizialmente attribuito a miliziani jihadisti provenienti da oltre frontiera, ma potrebbe anche essere opera di gruppi peul radicalizzati, precisa un missionario della Sma.
Questo articolo è uscito su The Conversation.
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