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Gli Stati Uniti contro la Huawei

La sede della Huawei a Varsavia, Polonia, 25 gennaio 2019. (Maciek Nabrdalik, The ​New York Times/Contrasto)

Questo articolo è uscito nel numero 1293 di Internazionale.

Alla fine di gennaio il ministro degli esteri britannico Jeremy Hunt è arrivato a Washington per una serie di incontri su un tema scottante: l’amministrazione Trump ha chiesto agli alleati degli Stati Uniti di non affidare la realizzazione delle reti 5g, le reti di telecomunicazioni di prossima generazione, alla Huawei, la principale azienda cinese del settore. Ma Londra è disposta a mettere a rischio i suoi rapporti con Pechino per accontentare Washington?

Il Regno Unito non è l’unico paese a sentire questa pressione. Gli Stati Uniti hanno chiesto anche alle autorità polacche di non far costruire alla Huawei la rete 5g. L’amministrazione americana ha lasciato intendere che la futura presenza di sue truppe in Polonia – compresa la prospettiva di una base militare permanente – potrebbe dipendere dalla decisione di Varsavia. E la primavera scorsa una delegazione statunitense si è presentata in Germania, dove s’incrocia la maggior parte delle reti in fibra ottica europee e dove la Huawei vorrebbe costruire i commutatori che fanno funzionare il sistema. In sintesi, il messaggio era: i rischi per la sicurezza degli alleati della Nato superano di gran lunga qualsiasi vantaggio economico legato all’uso delle reti di telecomunicazioni cinesi.

Armi non convenzionali
Nell’ultimo anno, gli Stati Uniti si sono imbarcati in una discreta, ma a volte minacciosa, campagna mondiale per escludere la Huawei e altre aziende cinesi dalla più importante trasformazione delle strutture che controllano internet da quando è nata la rete, trentacinque anni fa. Secondo l’amministrazione Trump il mondo è impegnato in una nuova corsa agli armamenti, che chiama in causa la tecnologia più che le armi convenzionali, ma che è altrettanto pericolosa per la sicurezza degli Stati Uniti. In un’epoca in cui le armi più potenti, a parte quelle nucleari, sono controllate dai computer, il paese che dominerà la rete 5g avrà un vantaggio a livello economico, militare e d’intelligence per buona parte del secolo.

Il passaggio al 5g probabilmente sarà più una rivoluzione che un’evoluzione. La prima cosa che gli utenti noteranno sarà la velocità: i dati saranno scaricati quasi istantaneamente, perfino sugli smartphone. Il 5g è la prima rete costruita per servire i sensori, i robot, i veicoli che si guidano da soli e gli altri dispositivi che trasmetteranno enormi quantità di dati e permetteranno di gestire fabbriche, cantieri, intere città senza ricorrere all’intervento umano. Consentirà anche un uso maggiore della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale. Ma ciò che porta vantaggi agli utenti può favorire anche i servizi segreti e chi vuole lanciare attacchi informatici. Il sistema 5g è una rete di commutatori e rou-ter, ma fa maggiore affidamento su soft-ware complessi molto più adattabili e che si aggiornano continuamente, senza che gli utenti se ne accorgano, un po’ come gli smartphone che fanno gli aggiornamenti automaticamente mentre sono in carica. Significa che chi controlla le reti controlla anche il flusso d’informazioni, e potrebbe essere in grado di modificare, reindirizzare o copiare dati all’insaputa degli utenti.

Dalle interviste fatte a funzionari governativi di oggi e del passato, agenti dei servizi segreti e dirigenti di grandi aziende di telecomunicazioni emerge che le potenzialità del 5g hanno convinto l’amministrazione Trump che in questa corsa agli armamenti ci dev’essere un solo vincitore. E chi perde dev’essere tagliato fuori. La Casa Bianca sta preparando da mesi un ordine esecutivo, che dovrebbe essere emesso nelle prossime settimane, per vietare alle aziende statunitensi di usare componenti cinesi nelle reti di telecomunicazioni più sensibili. Questo va molto al di là delle norme in vigore, che ne vietano l’uso solo per le reti governative. Il nervosismo di Washington è alimentato dalla paura che i cinesi possano inserire nelle reti informatiche e in quelle delle telecomunicazioni una “porta sul retro” (back door) che consentirebbe ai loro servizi di sicurezza d’intercettare le comunicazioni dell’esercito, del governo e delle grandi aziende. Intrusioni simili sono già avvenute altre volte, anche a opera di hacker sospettati di lavorare per il governo di Pechino. Ora che i vari paesi del mondo stanno cominciando a decidere chi costruirà le loro reti 5g, l’ansia di Washington è cresciuta.

I rapporti tra le aziende cinesi e il governo di Pechino non sono paragonabili a quelli tra settore privato e governi nei paesi occidentali

Per le autorità statunitensi il metodo usato finora di cercare porte segrete nelle apparecchiature e nei software creati dalle aziende cinesi è sbagliato, come lo è verificare se esistono rapporti tra alcuni dirigenti aziendali e Pechino. Il problema principale, dicono, è la natura sempre più autoritaria del governo cinese, la confusa linea di separazione tra aziende e stato, e le nuove leggi che potrebbero consentire a Pechino di sorvegliare le reti costruite da aziende come la Huawei o forse perfino di assumerne il controllo. “È importante ricordare che i rapporti tra le aziende cinesi e il governo di Pechino non sono paragonabili a quelli tra settore privato e governi nei paesi occidentali”, sostiene William R. Evanina, che dirige il National counterintelligence and security center statunitense. “La legge sull’intelligence del 2017 impone alle aziende cinesi, ovunque operino, di collaborare con i servizi segreti di Pechino”.

Strategia più ampia
La particolare attenzione che la Casa Bianca sta dedicando alla Huawei rientra nella politica di Washington verso Pechino, che ha portato all’aumento dei dazi sui prodotti cinesi, ai limiti imposti agli investimenti e alle accuse di hackeraggio e spionaggio informatico rivolte contro cittadini cinesi. Il presidente Trump ha accusato la Cina di “derubare gli Stati Uniti” e di voler diventare più forte a spese dell’America. Le opinioni di Trump, combinate con la mancanza di prove solide del coinvolgimento della Huawei in attività di spionaggio, hanno spinto alcuni paesi a chiedersi se l’obiettivo di questa campagna sia davvero difendere la sicurezza nazionale o piuttosto impedire alla Cina di acquisire un vantaggio. I funzionari del governo statunitense non vedono molta differenza tra i due obiettivi. “Il presidente ha stabilito che superare questo problema è importante, non solo per ristabilire un equilibrio economico e per costringere la Cina a rispettare le regole, come tutti gli altri, ma anche per scongiurare uno squilibro di potere politico e militare in futuro”, dice il consulente di Trump per la sicurezza nazionale John R. Bolton. “Per il presidente i due aspetti sono strettamente collegati”.

Cablare il mondo
Washington sta avvertendo i suoi alleati che i prossimi sei mesi saranno cruciali. Vari paesi cominciano a mettere all’asta le radiofrequenze per le nuove reti 5g e stanno decidendo con chi firmare contratti multimiliardari per la costruzione dei sistemi di commutazione. La Commissione statunitense per le comunicazioni ha da poco annunciato di aver concluso la sua prima asta per l’attribuzione delle frequenze 5g più alte. Per il governo cinese è l’occasione per cablare il mondo, in una fase in cui i paesi europei, asiatici e africani sono sempre più legati alla sua potenza economica. “Sarà una rivoluzione ancora più importante di quella dell’elettricità”, dice Chris Lane, specialista in telecomunicazioni del centro di analisi Sanford C. Bernstein di Hong Kong. “Tutto sarà collegato e il sistema nervoso centrale di queste città intelligenti sarà il 5g”.

Nessuna prova
Finora, i timori nei confronti della Huawei sono quasi del tutto ipotetici. Secondo alcuni funzionari statunitensi ci sarebbero documenti riservati che legano l’azienda cinese a possibili attività di spionaggio, ma nessun documento è stato reso pubblico. Altre persone ben informate sulla campagna contro l’azienda dicono che non c’è nessuna prova concreta, solo un forte timore per il crescente dominio tecnologico della Huawei e per le leggi cinesi che le impongono di soddisfare le richieste di Pechino. Il fondatore dell’azienda, Ren Zhengfei, nega che sia mai stata coinvolta in attività di spionaggio: “Amo il mio paese. Sostengo il Partito popolare cinese, ma non farei mai nulla che possa danneggiare un altro paese”.

Nel 2018 l’Australia ha escluso la Huawei e a un’altra azienda cinese, la Zte, dalla fornitura di apparecchiature per il 5g. Altri paesi sono indecisi se seguire il suo esempio e rischiare così di far infuriare Pechino, che potrebbe impedirgli di accedere al mercato cinese in continua espansione e privarli dei prodotti Huawei, più economici degli altri. Le autorità del Regno Unito fanno notare che la Huawei ha già investito molto sulle vecchie reti, affidandone la costruzione e la gestione ai britannici. Secondo loro l’azienda cinese non si farà da parte, gestirà le reti di almeno mezzo mondo e dovrà essere in qualche modo collegata a quelle degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma il colosso britannico delle telecomunicazioni Bt punta a strappargliene una fetta: ha dichiarato che era già nei suoi piani quando ha acquisito un’azienda che usava le apparecchiature Huawei (secondo le autorità statunitensi, la Bt ha comprato l’azienda dopo che i servizi segreti britannici l’avevano avvertita dei possibili rischi). Anche il gruppo Vodafone, che ha sede nel Regno Unito, ha dichiarato che per il momento sospenderà l’acquisto di materiale dalla Huawei per la sua rete 5g.

In trent’anni la Huawei si è trasformata da piccolo rivenditore
di componenti per cellulari di fascia bassa a colosso globale

Vari governi hanno assistito con preoccupazione alle rappresaglie della Cina contro i paesi che la ostacolano. A dicembre in Canada su richiesta degli Stati Uniti è stata arrestata un’alta dirigente della Huawei, Meng Wanzhou. Meng, che è la figlia di Ren, è stata accusata di aver truffato le banche per aiutare l’azienda ad aggirare le sanzioni contro l’Iran. In seguito Pechino ha arrestato due cittadini canadesi e ne ha condannato a morte un altro, precedentemente condannato a quindici anni di detenzione per traffico di droga. “La situazione dell’Europa è interessante, perché i suoi paesi sono costretti a schierarsi”, dice Philippe Le Corre, del centro studi Carnegie endowment for international peace. “Si trovano nel mezzo della contesa. Tutti i governi devono prendere una decisione. La Huawei è ovunque”.

A dicembre il governo polacco ha arrestato due figure importanti: un ex funzionario dei servizi segreti, Piotr Durbajlo, e un dipendente della Huawei, Wang Weijing. Finora è la prova più consistente del collegamento tra l’azienda cinese e le attività di spionaggio. Un ex alto funzionario dei servizi polacchi ha dichiarato che Wang, subito licenziato dalla Huawei, è accusato di lavorare per i servizi segreti di Pechino. Secondo i diplomatici statunitensi era lui il contatto di Durbajlo, che avrebbe aiutato i cinesi a entrare nelle reti di comunicazione più protette del governo polacco. Per un alto funzionario americano, questo è un tipico esempio di come il governo cinese infiltra le sue spie all’interno della vasta rete globale della Huawei: queste persone potrebbero accedere alle reti di comunicazione e svolgere attività di spionaggio all’insaputa delle aziende coinvolte. La Huawei ha dichiarato che Wang ha “screditato” l’azienda e che le azioni dell’ormai ex dipendente non hanno niente a che fare con le attività del gruppo. Secondo il suo avvocato, Bartolomiej Jankowski, Wang è rimasto vittima della battaglia in corso tra Stati Uniti e Cina.

Le autorità statunitensi e britanniche avevano cominciato a dubitare dell’integrità della Huawei dopo che, analizzando il suo codice sorgente alla ricerca di back door, i loro esperti di sicurezza informatica avevano scoperto che l’azienda poteva accedere ad alcune reti dalla sua sede di Shenzhen. Dopo un esame più attento si era stabilito che il codice installato dall’azienda nel suo software di controllo delle reti non era un malware. E non era nemmeno nascosto. Sembrava far parte di un sistema per aggiornare le reti a distanza e diagnosticare eventuali problemi. Ma in alcuni casi poteva anche dirottare il traffico dei centri dati, da cui le aziende controllano le loro reti. Oggi il fatto che questo software esista è usato per sostenere la tesi secondo cui gli hacker e i servizi segreti cinesi potrebbero sfruttare le attrezzature della Huawei per infiltrarsi in milioni di reti. Funzionari e studiosi statunitensi denunciano inoltre che le aziende cinesi di telecomunicazioni avrebbero temporaneamente dirottato alcune parti di internet, deviando il traffico degli Stati Uniti e del Canada verso la Cina. Secondo uno studio a cui ha partecipato Chris C. Demchak, docente dello United States naval war college, nel 2016 il traffico dal Canada alla Corea del Sud sarebbe stato dirottato per sei mesi verso la Cina. Per le autorità statunitensi quell’attacco sarebbe stato ripetuto.

Nel 2018 le aziende di telecomunicazioni statunitensi At&t e Verizon hanno smesso di vendere i telefoni Huawei nei loro negozi dopo che l’azienda cinese aveva cominciato a usare microchip di sua fabbricazione al posto di quelli prodotti negli Stati Uniti o in Europa. Per l’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) con quei microchip l’azienda cinese potrebbe controllare tutte le componenti importanti delle sue reti, mentre l’Nsa non potrebbe più contare sui fornitori europei e statunitensi per essere avvertita di eventuali malware o attività di spionaggio. In trent’anni la Huawei si è trasformata da piccolo rivenditore di componenti per cellulari di fascia bassa a colosso globale in uno dei più importanti settori tecnologici del secolo. Nel 2018 ha soffiato alla Apple il posto di secondo maggior produttore di smartphone al mondo. Richard Hu, che dirige il reparto commerciale dell’azienda, ha dichiarato: “Anche senza il mercato statunitense, diventeremo il numero uno al mondo” entro la fine di quest’anno o al massimo nel 2020.

Ascesa inarrestabile
La Huawei è stata fondata nel 1987 da Ren, un ex ingegnere dell’Esercito popolare di liberazione diventato uno degli imprenditori cinesi di maggior successo. I funzionari statunitensi sostengono che l’azienda ha cominciato imitando, o rubando, tecnologie americane. Nel 2003 la Cisco System citò in giudizio la Huawei accusandola di aver copiato il suo codice sorgente (poi le due parti hanno trovato un accordo senza andare in tribunale). Ma la Huawei non si è limitata a copiare. Ha aperto centri di ricerca (uno in California) e ha stretto collaborazioni con importanti università in tutto il mondo. Nel 2018 ha registrato un fatturato di 100 miliardi di dollari, il doppio della Cisco e molto di più dell’Ibm. La sua capacità di produrre apparecchi ben fatti a un costo più basso delle sue concorrenti occidentali ha scalzato dal settore aziende un tempo dominanti come la Motorola e la Lucent.

L’attività di spionaggio, però, funziona a doppio senso. Come ha rivelato l’ex dipendente dell’Nsa Edward Snowden, nel 2010 l’agenzia americana si infiltrò segretamente nella sede centrale della Huawei in un’operazione il cui nome in codice era Shotgiant. Alcuni documenti dimostrano che l’Nsa stava cercando le prove, mai trovate, che la Huawei era segretamente controllata dall’esercito cinese e che Ren non aveva mai lasciato il suo posto da militare. Ma i documenti resi pubblici da Snowden dimostrano che l’Nsa aveva anche un altro scopo: studiare la tecnologia della Huawei e cercare porte segrete. In questo modo, quando l’azienda avesse venduto materiale ai paesi nemici dell’America, l’Nsa avrebbe potuto prendere di mira le loro reti informatiche e telefoniche e sorvegliarle o, in caso di necessità, sferrare attacchi informatici. In altre parole, gli americani volevano fare alla Huawei la stessa cosa di cui l’accusano ora.

Dopo il clamore sollevato nel 2013 dal predominio della Huawei nel mercato britannico, la potente commissione d’intelligence e sicurezza del parlamento del Regno Unito ne aveva proposto la messa al bando, anche alla luce degli attacchi informatici cinesi contro il governo di Londra. La proposta sarebbe stata respinta, ma è stato introdotto un sistema che imponeva all’azienda di mettere il suo hardware e il suo codice sorgente a disposizione del Government communication headquarters (Gchq), l’agenzia governativa che si occupa di sicurezza e spionaggio. Lo scorso luglio, il National cyber security center britannico ha dichiarato pubblicamente per la prima volta che i dubbi sulle attuali pratiche della Huawei e la complessità delle nuove reti 5g rendono difficile individuare le vulnerabilità.

Più o meno nello stesso periodo, durante una serie di incontri riservati con i dirigenti delle compagnie di telecomunicazioni, l’Nsa doveva decidere se permettere alla Huawei di partecipare al bando per la realizzazione di alcune parti delle reti 5g statunitensi. At&t e Verizon dicevano che sarebbe stato utile lasciare alla Huawei un “banco di prova” negli Stati Uniti, perché così avrebbe dovuto rivelare il codice sorgente del suo software, senza contare che questo avrebbe anche fatto scendere il prezzo delle reti. Michael S. Rogers, all’epoca capo dell’Nsa, non era d’accordo e la Huawei è stata bloccata.

Una campagna globale
Nel luglio del 2018 bisognava prendere una decisione e i rappresentanti di Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda (i Five eyes, un’alleanza di servizi d’intelligence) hanno tenuto il loro incontro annuale a Halifax, in Nuova Scozia. All’ordine del giorno c’erano le aziende di telecomunicazioni cinesi, la Huawei e le reti 5g, e si è deciso di provare a impedire all’azienda di costruire nuove reti in occidente. Gli alti funzionari statunitensi stanno cercando di far capire ai loro alleati in tutto il mondo che la guerra con la Cina non è solo commerciale ma è una battaglia per difendere la sicurezza delle principali democrazie del mondo e dei paesi chiave della Nato. Il 29 gennaio i direttori delle agenzie d’intelligence statunitensi hanno presentato al senato la loro relazione annuale e tra le minacce hanno citato gli investimenti nelle reti 5g delle società di telecomunicazioni straniere.

Alla Polonia, dicono persone ben informate, è stato recapitato il messaggio che i paesi che usano le reti di telecomunicazioni cinesi non sono sicuri per le truppe americane. I polacchi l’hanno recepito, visto che il loro presidente, Andrzej Duda, a settembre è andato alla Casa Bianca per presentare il progetto di costruzione di una base militare da due miliardi di dollari, definita scherzosamente, ma non troppo, Fort Trump. Secondo l’ex capo dei servizi segreti polacchi, il colonnello Grzegorz Maleki, è comprensibile che gli Stati Uniti vogliano limitare i rischi per i loro soldati. “Il controllo delle reti 5g è uno strumento potenzialmente pericoloso”, spiega Maleki, che ora presiede il consiglio d’amministrazione dell’istituto polacco per la sicurezza e la strategia. “Per la Polonia garantire la sicurezza di quelle truppe è più importante di qualsiasi altra cosa”.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito nel numero 1293 di Internazionale. Era stato pubblicato sul New York Times.

Da sapere
I guai della Huawei nel Regno Unito

Il 14 luglio 2020 il governo di Boris Johnson ha annunciato che vieterà l’acquisto del nuovo sistema prodotto dalla Huawei destinato alle reti 5G a partire dal 2021. Gli operatori saranno obbligati a disfarsene del tutto entro il 2027. A gennaio Londra aveva già deciso di limitare la quota di mercato della Huawei nel Regno Unito al 35 per cento e di escludere l’azienda dai settori più sensibili della rete per questioni di sicurezza. L’annuncio dell’esclusione della Huawei dalla fornitura del 5G, accolta con soddisfazione da Washington che da tempo faceva pressioni su Londra e sugli altri suoi alleati, ha suscitato l’ira di Pechino, che ha promesso “misure per salvaguardare i legittimi interessi delle aziende cinesi”.


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