Gli esiti delle elezioni presidenziali in Bielorussia hanno provocato la più grave crisi politica del paese. I giovani cresciuti in epoca post-sovietica considerano Aleksandr Lukašenko un uomo del passato, estraneo ai loro valori e alla loro visione del mondo. L’età media in Bielorussia è circa quarant’anni, di cui 26 passati sotto il governo della stessa persona. La mancata alternanza al potere, la stagnazione in tutte le sfere della società, l’assenza di ascensori sociali, l’impossibilità per i candidati alternativi di accedere al processo elettorale e gli arresti degli oppositori politici negli ultimi mesi hanno fatto aumentare l’esasperazione della popolazione.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la brutale repressione delle proteste del 9 e 10 agosto. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale per le strade di Minsk si è sentito il rumore degli spari. Secondo varie fonti, le prime settimane di protesta a Minsk e in altre città avrebbero radunato tra le 400mila e le 600mila persone. In alcune fabbriche ci sono stati scioperi ma la diminuzione della produzione è stata quasi insignificante. Le autorità hanno reagito alle proteste con la repressione. Secondo i dati raccolti dalle organizzazioni per i diritti umani, dall’inizio delle manifestazioni a oggi sono state arrestate più di 30mila persone, e otto sono morte. I prigionieri politici sono circa duecento.

Il conflitto civile e la radicalizzazione della protesta derivano da una profonda frattura nella società bielorussa. Sopravvissuto alle manifestazioni delle prime settimane, il regime è riuscito a non soccombere evitando che sfociassero in una rivoluzione. A settembre e ottobre le autorità bielorusse hanno discusso la questione degli emendamenti costituzionali attraverso un referendum popolare seguito da nuove elezioni parlamentari e presidenziali. La necessità di un dialogo politico interno e di trasformazioni era auspicata anche da Mosca. Ma Aleksandr Lukašenko, avendo subodorato che la situazione si stava stabilizzando e un certo calo di partecipazione alle proteste, ha cambiato idea. Al posto del referendum costituzionale per l’adozione degli emendamenti, pianificato per la primavera del 2021, ha proposto che fosse il parlamento a ridistribuire i poteri del presidente. Una manovra con cui Lukašenko fa capire che non ha alcuna intenzione di andarsene.

C’è da dire che questo mantenimento dello status quo non va molto a genio neppure a chi contava sul graduale spegnersi delle proteste. A tale proposito è stata significativa la recente visita in Bielorussia del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov che, porgendo i saluti di un Putin ancora ben disposto, ha fatto presente al vicino che Mosca è in attesa delle riforme costituzionali.

Finché Aleksandr Lukašenko resterà a capo dello stato, sarà difficile per la Bielorussia attirare nuovi investimenti

Per Mosca la crisi politica bielorussa è stata in parte inattesa, anche se gli esperti già nel mese di giugno avevano preannunciato le proteste di massa che di lì a poco sarebbero cominciate. Il sostegno di Mosca ha evitato a Lukašenko uno scenario rivoluzionario simile agli eventi di Kiev del 2014, a prezzo però della sua reputazione tra i bielorussi. L’istituto di sondaggi Belorusskaja analiticeskaja masterskaja (Baw) a novembre ha rilevato un calo del sostegno all’alleanza con la Russia dell’11 per cento rispetto a settembre.

Per superare la crisi sono necessarie risorse finanziarie significative. Il governo non ha fonti di finanziamento, né la volontà politica di fare riforme economiche. Se l’occidente inasprisse le sanzioni, la Bielorussia si troverebbe di fronte a spiacevoli conseguenze come la limitazione dei prestiti esteri, e alla conseguente riduzione delle riserve valutarie in oro. Nei prossimi mesi Minsk rischia una crisi finanziaria e valutaria e una minaccia di default. La fuga del capitale umano e finanziario relativo al settore informatico e l’accesso limitato alle risorse di credito porterebbero a un’instabilità a livello macroeconomico. E questo causerebbe un’inflazione elevata, la svalutazione della moneta nazionale e perfino una possibile crisi del sistema bancario. A causa della crisi politica, il rating di credito toccherebbe livelli bassissimi. L’elevato costo di servizio del debito pubblico del paese crescerebbe ulteriormente, portando all’aumento della pressione fiscale, alla diminuzione delle spese statali e al crollo della quantità e della qualità dei servizi offerti dallo stato.

Finché Aleksandr Lukašenko resterà a capo dello stato, sarà difficile per la Bielorussia attirare nuovi investimenti e la possibilità di scambio nei mercati esteri occidentali le sarà preclusa. La crisi economica può provocare una nuova crisi politica e instabilità sociale, e quindi una nuova ondata di proteste già a partire dalla prossima primavera. La Russia può tamponare in parte il debito estero di Minsk per evitare il collasso della sua valuta, ma questo non risolverebbe i problemi di Lukašenko in una società che ormai non si fida più di lui (il prestito rilasciato a Vladimir Janukovič nel dicembre del 2013 non era riuscito a salvarlo).

In Russia è diffusa l’opinione che Lukašenko, così indebolito, potrebbe propendere per una “profonda integrazione” e finalmente firmare le roadmap per arrivare a un’unione statale tra i due paesi. Ma molto probabilmente non andrà così. Qualsiasi contratto internazionale firmato da un’autorità illegittima può essere messo in dubbio da parte della società bielorussa e provocare agitazioni antirusse. Questo potrebbe perfino portare all’imposizione di nuove sanzioni da parte dell’occidente nei confronti della Russia.

La crisi politica si potrebbe superare con il trasferimento dei poteri nel rispetto dei meccanismi costituzionali. Questo percorso darebbe finalmente il via alle riforme economiche e politiche. Tuttavia, la mancata adozione delle modifiche alla costituzione creerà una crescente sfiducia della società nei confronti delle istituzioni.

Una soluzione ottimale potrebbe essere lo svolgimento di un referendum sugli emendamenti costituzionali con la redistribuzione dei poteri dal presidente al parlamento, al governo e agli organi amministrativi locali. La legge fondamentale, una volta rinnovata, necessiterebbe di elezioni presidenziali e parlamentari anticipate, trasparenti e aperte.

La Russia è interessata come nessun altro a un rapido epilogo della crisi politica in Bielorussia, soprattutto in vista delle elezioni parlamentari del 2021. Mosca è l’unica in grado di garantire l’incolumità a Lukašenko, nel caso di una sua uscita di scena. Senza dubbio il dittatore terrà duro fino all’ultimo. Ma a spese di chi? La Russia l’ha già salvato in agosto e in settembre, minando così la propria reputazione in Bielorussia. Gli ennesimi tentativi di Lukašenko di prendere tutti per il naso e averla vinta stavolta possono finire male per lui. Il desiderio di restare a capo dello stato fino al 2025 ha tutta l’aria di una pretesa più che mai avventata e presuntuosa.

(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Echo Movsky.

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