Il territorio di Krasnojarsk è la seconda regione della Russia per superficie (2,3 milioni di chilometri quadrati, più di sette volte l’area dell’Italia), ma i suoi abitanti non arrivano a 3 milioni. Una buona parte (1,1 milioni) vive nella capitale della regione, gli altri sono dispersi su un territorio enorme. Alcuni nell’estremo nord, altri in villaggi abitati da popolazioni nordiche autoctone o in villaggi russi sparsi sulle rive dell’Angara e dello Enisej. Luoghi in cui si sono stabilite le comunità dei vecchi credenti, una comunità scismatica ortodossa separatasi dalla chiesa russa alla metà del seicento, dopo la riforma del patriarca Nikon.

Sulle sponde del Dubčes, affluente dello Enisej, c’è il villaggio di Sandakčes, considerato il centro spirituale dei vecchi credenti di tutto il mondo. Da queste parti ci sono eremi e monasteri nascosti nella taiga di cui quasi nessuno conosce l’esistenza. “Qui siamo lontani da tutto”, racconta Olga Suvorova, attivista di Krasnojarsk, che lavora con le comunità di vecchi credenti. “Una volta alla settimana, o anche solo una volta al mese, capita di veder atterrare un elicottero. I centri abitati sono isolati da sempre. Un volo di andata e ritorno da Čulkovo (nel bacino dello Enisej) a Turuchansk (un centro della Siberia nordoccidentale) costa circa 7mila rubli (83 euro). Per che vive qui sono molti soldi”.

Čulkovo è una delle comunità del cosiddetto bacino del meridiano dello Enisej (meridiano perché il fiume costituisce un confine naturale tra Siberia orientale e occidentale). Fu stabilita alla fine del secolo scorso dai vecchi credenti, che valorizzarono la campagna abbandonata. I suoi abitanti non si nascondono nella taiga, ma non si può neanche dire che si tengano in contatto con il mondo. In tempi normali lo fanno solo per intrattenere rapporti commerciali, vendendo o scambiando i loro prodotti in cambio di altre merci o beni di cui hanno bisogno. Dai centri un po’ più grandi, dove si trova pressoché tutto, capita anche che le persone non si allontanino per anni.

Qui non viene nessuno
Da queste parti mantenere il distanziamento sociale è cosa naturale. Čulkovo e Turuchansk sono distanti 300 chilometri, e mille dividono Čulkovo da Krasnojarsk, il capoluogo della regione. Ma quando a metà marzo le autorità russe hanno imposto le misure di contenimento per arginare la diffusione del nuovo coronavirus, anche questi territori hanno dovuto adeguarsi.

Ora gli abitanti del posto non vivono “liberamente come vorrebbero”, dice Nikolaj Šljachov, amministratore dell’insediamento rurale di Verchneimbatskoe, che comprende anche Čulkovo. Malenkoe Verchneimbatskoe (495 abitanti, secondo i dati aggiornati a gennaio del 2019) vive da un mese secondo le regole stabilite dai decreti federali e regionali. Fin dal 16 marzo il governatore Aleksandr Uss ha raccomandato la chiusura delle scuole e anche la cancellazione degli eventi culturali e sportivi. Poi è arrivato l’ordine di chiudere gli asili e di fermare i servizi e le attività culturali che prevedessero l’assembramento di piccoli gruppi, inoltre è stato chiesto ai cittadini di non frequentare i locali dove generalmente si svolgevano queste attività.

“Le scuole qui sono chiuse, e anche le biblioteche. Solo i negozi di alimentari sono aperti. Tanto qui da noi non viene nessuno. Ma le misure preventive sono state prese. Facciamo quello possiamo per andare incontro alla Madre Russia”, dice Nikolaj Šljachov. Agli abitanti del villaggio è stato anche chiesto di mettersi in isolamento, anche se da queste parti controllare il rispetto delle regole sarà più difficile che a Turuchansk, che può contare su una forza di polizia. A Verchneimbatskoe è difficile vedere un poliziotto per strada.

“Io vado a Sandakčes ed entro in monastero, perché penso che questo virus sia una punizione divina”

Le autorità chiedono semplicemente alle persone di essere più attente, di non creare assembramenti e di non uscire in strada la sera. Nikolaj Šljachov, insomma, può stare tranquillo. La situazione nel territorio di sua competenza è tranquilla, se si esclude l’unico motivo di preoccupazione di tutti gli abitanti: “Noi non abbiamo paura, temiamo solo che se il virus dovesse arrivare anche qui potrebbe fare molti danni, perché non abbiamo i ventilatori per curare chi si ammala. E se non moriamo, verranno fuori altri problemi. Perché da qui si può andar via solo con l’elicottero, e il centro regionale dista più di 300 chilometri, cioè almeno un’ora di volo. E non è sempre possibile imbarcarsi, bisogna fare i conti con le situazioni più disparate”, spiega Šljachov.

Gli abitanti della regione vorrebbero che i collegamenti aerei con le città fossero interrotti del tutto, continua Šljachov. E invece stanno continuando regolarmente: “L’elicottero atterra il martedì. Oggi infatti è venuto e poi è ripartito verso sud. Tornerà indietro domani. E domani dalla città qualcuno partirà e atterrerà qualcuno all’aeroporto di Podkamennaja Tunguska. Si viaggia in questo modo. Anche a Turuchansk si riempiono le corriere provenienti da Krasnojarsk. In generale finora la pandemia non ha avuto effetti sul traffico aereo. Forse perché nella nostra regione non ci sono molti contagiati (secondo i dati aggiornati al 14 aprile, le persone che si sono ammalate di covid-19 erano 131). Se ne discute, certo, dicono che se la situazione peggiorerà interromperanno i collegamenti, ma finché non si arriverà a una situazione critica non cambierà niente”.

Isolamento mentale
Oggi in linea di massima questi voli sono solo per chi si trovava a Krasnojarsk, o in altre città della regione, e vuole tornare a casa. Niente viaggi di piacere, niente gite turistiche. Ma gradualmente il flusso dovrebbe ridursi a zero: nessuno va più in città, e questo significa che nessuno torna. Indipendentemente dalla fondatezza o meno di questi timori, spiega Nikolaj Šljachov, le persone del posto non sono troppo diffidenti con chi è tornato da poco. Pensano che se la situazione nella regione dovesse diventare davvero pericolosa sarebbero introdotte misure di controllo più severe, e che se per ora non è stato fatto vuol dire che evidentemente non c’è motivo di preoccuparsi.

Il problema è che nei piccoli villaggi, lontani centinaia di chilometri dalla civiltà e situati in luoghi difficilmente raggiungibili, le scuole, le biblioteche e i centri culturali hanno un ruolo chiave nella vita degli abitanti. E spesso, spiega Olga Suvorova, garantiscono l’unico legame con il mondo esterno. “Ho parlato con gli abitanti di Čulkovo: hanno l’elettricità nelle scuole per due ore al giorno. Accendono il generatore quando è ancora buio, così le scuole hanno la luce. E se c’è la luce nelle scuole significa che c’è anche il collegamento telefonico. Se la luce non c’è, non c’è neanche la didattica, né i collegamenti con Čulkovo. Vuol dire che ottanta persone si ritrovano completamente isolate. Con questi presupposti mi chiedo se abbia senso mettere in quarantena questa scuola di quattro classi”, conclude la donna.

“Il sale c’è, la farina c’è, i cereali ci sono, e anche il cibo in scatola. Fino a fine maggio resisteremo”

Hanno avuto simili difficoltà, secondo Suvorova, anche i villaggi abitati dalle popolazioni autoctone. In quei luoghi le scuole – che prima dell’epidemia attiravano pedagoghi esperti provenienti da tutta la Russia – sono state chiuse. Uno dei collaboratori della scuola locale (a Čulkovo) mi ha detto: “Siamo tutti molto perplessi. Perché hanno chiuso la scuola? Dopotutto questa è una comunità religiosa con i suoi dogmi. Quando i bambini cominciano ad andare a scuola iniziano a crescere e a guardarsi intorno. Ora invece siamo obbligati a lasciarli a casa, con il risultato che la religione ha la meglio”.

I villaggi dei vecchi credenti possono distinguersi tra loro sia da un punto di vista dogmatico sia per il livello di chiusura, perciò sarebbe scorretto metterli tutti sullo stesso piano. Ma le comunità del cosiddetto bacino del meridiano dello Enisej per tradizione vivono davvero separate dal resto del mondo, quindi in questa situazione il loro modo di vivere non viene violato, spiega Alena Storoženko, professore dell’Università statale di Tuva, esperta di storia delle chiese di vecchio rito in questa regione. “Nei villaggi dei vecchi credenti si cerca comunque di mantenere il più possibile la distanza. Queste persone non a caso hanno scelto di allontanarsi dagli altri. Il loro obiettivo principale è ridurre al minimo le interazioni con il mondo esterno. Per questo si può dire che l’isolamento fa parte della loro mentalità”, spiega la studiosa.

Per favore, non si offenda
Anche se la loro cultura e il loro credo religioso prevedono la separazione dal mondo, i vecchi credenti non restano sempre chiusi nelle loro comunità. A Krasnojarsk molti partecipano attivamente alla vita sociale. Olga Suvorova conosce molte di queste persone. “Quello che sta succedendo oggi a causa del virus li tocca da vicino. Per loro è una punizione di Dio, una risposta a tutto ciò che l’umanità sta facendo alla natura, come una reazione all’imperante modello di vita delle persone. Conosco dei vecchi credenti che vivono a Krasnojarsk. La maggior parte continua a vivere come sempre, ma ieri una di loro mi ha telefonato e mi ha detto: ‘Io vado a Sandakčes ed entro in monastero, perché penso che questo virus sia una punizione divina’”.

Secondo Alena Storoženko i vecchi credenti reagiscono alle notizie sul nuovo coronavirus con sensibilità diverse, come succede alle persone che vivono in altre comunità. Ma in generale la loro visione del mondo e la loro fede gli permettono di affrontare l’emergenza con una generale tranquillità: “I vecchi credenti non vedono grandi novità. Convivono da sempre con l’idea di dovere essere pronti a situazioni del genere”.

Nikolaj Šljachov segue le notizie sul virus con attenzione, ma è sicuro che nel complesso gli abitanti di questa parte della Russia sono ottimisti. Di una crescita reale dei contagi nella regione si potrà eventualmente parlare a maggio. A Mosca i contagiati sono già molti, quindi non si può escludere che chi oggi ritorna in Siberia possa portare con sé l’infezione, sostiene Šljachov. E aggiunge subito: “Ma la prego, non si offenda”.

Gli insediamenti situati nelle zone remote sono molto più al sicuro rispetto al resto del paese, soprattutto se consideriamo le specificità delle condizioni climatiche, spiega Viktor Maleev, studioso dell’Accademia russa delle scienze. “Alcune zone rurali restano isolate per lunghi periodi, tanto più ora che lo scioglimento delle zimniki (strade che possono essere percorse solo in inverno, con il ghiaccio) e le esondazioni impediranno alle persone di spostarsi. Probabilmente non potranno arrivare neanche i generi alimentari. In questi luoghi il rischio di contagio è sicuramente molto basso. D’altra parte, molto dipenderà anche dal comportamento degli abitanti. Perché, se è vero che il virus ha poche possibilità di diffondersi, bisogna anche considerare che in queste regioni i disinfettanti sono insufficienti”, conclude lo studioso.

Nel frattempo, con l’arrivo della primavera e dell’estate i rischi potrebbero aumentare man mano che si rimetteranno in moto i collegamenti con il resto della Russia. O anche gli spostamenti dovuti all’acquisto di prodotti di prima necessità. Perciò potrebbe essere necessario adottare ulteriori misure di sicurezza.

A ogni modo sulle rive dell’Enisej sperano che non succeda, e confidano nell’assenza di collegamenti stradali e ferroviari con il resto del mondo. I collegamenti via terra con la parte continentale sono ormai inesistenti, visto che a marzo è stata chiusa la zimnik usata per il trasporto dei prodotti alimentari. Di scorte, dice Nikolaj Šljachov, ce ne sono a sufficienza: “Il sale c’è, la farina c’è, i cereali ci sono, e anche il cibo in scatola. Fino a fine maggio resisteremo, spero che le provviste bastino fino a quel momento”. Poi, ripensandoci un attimo, aggiunge: “Se servirà, però, ce la faremo anche fino a fine luglio”.

(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)

Questo articolo è uscito sul quotidiano russo Izvestija.

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