Grandi manovre tra Arabia Saudita e Israele
Negli ultimi giorni ha tenuto banco la questione del riavvicinamento tra Arabia Saudita e Israele, con la mediazione degli Stati Uniti. A margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il 20 settembre il presidente statunitense Joe Biden ha incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, mentre il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, soprannominato Mbs, rilasciava un’intervista al canale statunitense Fox News. “Ogni giorno ci avviciniamo un po’”, ha detto Mbs.
Il 26 settembre due avvenimenti inediti hanno rafforzato la prospettiva di una normalizzazione dei rapporti tra i due grandi alleati mediorientali degli Stati Uniti. Per la prima volta da quando Israele ha occupato il territorio nella guerra del 1967, una delegazione saudita è andata in Cisgiordania e poche ore dopo il ministro del turismo israeliano, Haim Katz, è atterrato in Arabia Saudita in occasione di un incontro dell’Onu, nella prima visita pubblica di un esponente del governo israeliano nel paese del Golfo.
Parlando ai giornalisti, l’inviato saudita Nayef al Sudairi ha promesso che la causa palestinese sarà al centro di qualsiasi accordo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele, cercando di fornire rassicurazioni dopo che il presidente palestinese Abu Mazen aveva detto di avere forti dubbi sui paesi arabi che stringono legami con Israele. Al Sudairi ha ribadito che al centro delle discussioni in corso c’è l’iniziativa araba, presentata da Riyadh nel 2002, che prevede la normalizzazione delle relazioni con Israele in cambio del suo ritiro dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est, dalla Striscia di Gaza e dalle alture del Golan. Condizioni difficili da far accettare al governo più religioso, nazionalista ed estremista della storia d’Israele. Da parte sua l’Arabia Saudita chiede garanzie di sicurezza e un maggiore sostegno militare da Washington, oltre alla cooperazione nello sviluppo di un proprio programma nucleare civile.
Le discussioni intorno a un possibile accordo per normalizzare le relazioni tra Arabia Saudita e Israele vanno avanti da mesi. Il contesto regionale è in rapida trasformazione, soprattutto dopo che Arabia Saudita e Iran hanno ripristinato le relazioni a marzo. E per Biden sarebbe un importante risultato di politica estera da portare in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Un riavvicinamento tra i due alleati di Washington sarebbe un modo per consolidare gli accordi di Abramo mediati dall’amministrazione di Donald Trump nel 2020, che hanno normalizzato i rapporti tra Israele e alcuni paesi arabi.
In un articolo su Haaretz, Gideon Levy commenta: “Quello con l’Arabia Saudita è un accordo marcio con un regime marcio. I motivi che ci sono dietro sono complessi, i partner ambigui, le possibilità vaghe. Soprattutto è un’altra strada per aggirare i palestinesi, come era già successo con gli accordi di Abramo. Se l’accordo sarà firmato, i palestinesi saranno di nuovo lasciati da parte a sanguinare, abbandonati al loro destino, soli e indifesi. L’apartheid li sconfiggerà. Ma l’apartheid li ha già sconfitti molto tempo fa, con o senza l’accordo con i sauditi. L’apartheid vincerà in ogni caso, perché Israele lo vuole”.
Su The New Arab, Imad K. Harb, a capo del settore ricerca e analisi dell’Arab center a Washington, individua i nodi principali della vicenda: “Data la sua centralità nel mondo arabo, l’Arabia Saudita non può semplicemente abbandonare quello che per decenni è stato un cardine fondamentale della sua legittimità tra gli arabi e i musulmani”, cioè la questione palestinese. È probabile però che per ottenere le altre concessioni dagli Stati Uniti, Riyadh possa scendere a compromessi e fare dei passi indietro su alcuni punti, come il ritorno dei rifugiati palestinesi e il ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967.
L’Autorità Nazionale Palestinese potrebbe accettare queste variazioni in cambio di alcune condizioni che avrebbe proposto durante la visita di una sua delegazione in Arabia Saudita all’inizio di settembre, tra cui il blocco degli insediamenti israeliani, più autorità sull’area della Cisgiordania (che è sotto il controllo israeliano), finanziamenti per 200 milioni di dollari l’anno e la ripresa dei negoziati di pace. “Ma anche questa lista annacquata di richieste che l’Arabia Saudita potrebbe nascondere difficilmente sarà accettata dal governo di destra di Israele”.
In fondo, quindi, il fattore determinante per la riuscita dell’accordo è “una combinazione di due condizioni”, scrive Harb. “La prima è la capacità dell’amministrazione Biden di convincere il congresso a guardare all’Arabia Saudita oltre Mohammed bin Salman, la seconda è la disponibilità del governo israeliano ad abbandonare il suo programma nazionalista religioso per controllare la terra dal fiume Giordano al mar Mediterraneo”.
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