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La repressione del dissenso in Israele

Il kibbutz Kissufim, nel sud di Israele, il 21 ottobre 2023. (Francisco Seco, Ap/LaPresse)

Israel Frey è un giornalista ultraortodosso di sinistra, esperto di conflitto israelo-palestinese. Ha 36 anni e porta la tradizionale barba e i riccioli ai lati del viso. Una settimana dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud d’Israele la sua casa alla periferia di Bnei Brak, una città a maggioranza ultraortodossa a est di Tel Aviv, è stata assalita da una folla inferocita che gridava “traditore”. Frey è dovuto scappare insieme alla moglie e ai figli di tredici e otto anni ed è ancora rifugiato a casa di un amico.

Qualche giorno prima il giornalista aveva recitato una preghiera durante una veglia organizzata a Tel Aviv per commemorare le vittime del massacro di Hamas. Oltre a ricordare i 1.200 morti israeliani, Frey aveva rivolto un pensiero anche alle donne e ai bambini palestinesi uccisi dai bombardamenti dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Un video editato della preghiera, in cui sembrava che Frey avesse celebrato solo le vittime palestinesi, era stato diffuso su internet, insieme all’indirizzo di casa sua.

La storia di Frey è raccontata in un articolo scritto sul New Yorker dall’intellettuale e attivista russa-statunitense Masha Gessen insieme a quella di molte altre persone, israeliane e in grande maggioranza palestinesi, attaccate pubblicamente, sospese dal lavoro, licenziate, insultate e arrestate per aver criticato, soprattutto sui social network, l’operato dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, aver espresso vicinanza alle vittime palestinesi o aver diffuso contenuti considerati vicini alla causa palestinese.

Scrive Gessen: “Gran parte della vita civica israeliana è in pausa al momento. Le università hanno posticipato l’inizio dell’anno scolastico, i tribunali non fanno udienze, tranne che per casi urgenti come gli arresti. Molte persone detenute per sospetto tradimento potrebbero non essere mai incriminate, ma i tribunali stanno infliggendo punizioni efficaci arrestandole. Il centro legale Adalah sta seguendo più di 170 casi, la maggior parte dei quali riguarda cittadini palestinesi d’Israele, che rappresentano il 20 per cento della popolazione”.

Della persecuzione dei cittadini palestinesi in Israele e a Gerusalemme Est parla anche un articolo di Haggai Matar, il direttore del sito israeliano +972 Magazine: “A Gerusalemme la polizia israeliana ferma palestinesi a caso per strada per controllare i loro social network alla ricerca di casi di ‘incitamento’ alla violenza. La polizia ha anche annunciato che vieterà tutte le manifestazioni per un cessate il fuoco”. Violente folle di destra hanno attaccato studenti arabi in due campus e lavoratori in varie aziende, mentre il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha distribuito migliaia di fucili d’assalto a squadre di sicurezza civili formate di recente in decine di città e insediamenti.

In Cisgiordania, prosegue Matar, “coloni, soldati e un numero crescente di milizie congiunte – dove i due gruppi sono indistinguibili – hanno aumentato la loro campagna di pulizia etnica nell’area C, il 60 per cento del territorio occupato dove si trovano gli insediamenti israeliani e dove l’esercito ha il pieno controllo”. Almeno quindici comunità palestinesi sono state sradicate nell’ultimo mese e secondo l’Onu almeno 155 palestinesi sono stati uccisi da soldati o coloni.

Intanto la guerra prosegue per la sesta settimana. I timori per un ampliamento del conflitto in Medio Oriente restano alti. Il 12 novembre gli Stati Uniti hanno condotto dei bombardamenti nell’est della Siria contro strutture ritenute legate all’Iran e ai suoi alleati. È il terzo attacco in meno di tre settimane. Continuano anche le tensioni tra l’esercito israeliano e la milizia sciita Hezbollah lungo il confine tra Israele e Libano.

I leader arabi e musulmani riuniti in un vertice straordinario a Riyadh, in Arabia Saudita, l’11 novembre hanno chiesto la fine immediata delle operazioni militari nella Striscia di Gaza, respingendo la giustificazione di Israele che afferma di agire per autodifesa. Nel comunicato finale chiedono alla Corte penale internazionale di indagare “i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità che Israele sta commettendo” nei territori palestinesi.

Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.

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