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Cos’è l’Unifil e perché non piace a Israele

Caschi blu dell’Unifil a Marjayoun, nel sud del Libano, l’8 ottobre 2024. (Afp)

“Una grave violazione del diritto internazionale umanitario”. Così l’Unifil (United Nations interim force in Lebanon, la forza d’interposizione delle Nazioni Unite in Libano) ha condannato gli attacchi compiuti dall’esercito israeliano il 10 e l’11 ottobre contro le sue postazioni del sud del Libano, che hanno causato alcuni feriti. “Gli attacchi contro le forze di pace potrebbero essere crimini di guerra”, ha avvertito il 13 ottobre un portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Quella stessa mattina due carri armati israeliani avevano fatto irruzione in una base dell’Unifil a Ramyah.

In un video pubblicato sempre il 13 ottobre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto a Guterres il “ritiro immediato” dalle “zone di combattimento” nel sud del Libano della missione Unifil, accusata di “fornire uno scudo umano ai terroristi di Hezbollah”. L’Unifil ha respinto la richiesta e, dopo consultazioni con tutti i paesi che contribuiscono al suo contingente, ha annunciato che continuerà a monitorare l’area. I quaranta paesi che partecipano alla missione hanno diffuso una dichiarazione congiunta il 12 ottobre nella quale “condannano fortemente i recenti attacchi” contro il contingente di pace, chiedendo che “queste azioni smettano immediatamente” e siano “sottoposte a indagini adeguate”. Il giorno prima i governi di Italia, Francia e Spagna avevano definito gli attacchi “ingiustificabili”.

Secondo L’Orient-Le Jour, le proteste degli stati europei che partecipano all’Unifil dimostrano che “questi attacchi sono premeditati e pianificati” e non si tratta di “semplici errori, incidenti o operazioni limitate”. Vari diplomatici libanesi che hanno parlato con il quotidiano confermano che dal punto di vista israeliano la presenza della forza di pace è “un ostacolo all’offensiva militare” e vogliono liberarsene per condurre attacchi più violenti contro il sud del Libano “senza limiti e soprattutto senza testimoni”. “In piena guerra le forze di pace non hanno davvero un loro posto, neanche gli osservatori”.

In un articolo su The Conversation, le accademiche Vanessa Newby e Chiara Ruffa commentano: “Per 44 anni, la presenza delle forze di pace delle Nazioni Unite nel Libano meridionale ha fornito una misura necessaria per la prevedibilità e la stabilità su una linea di faglia internazionale che ha il potenziale per scatenare una guerra più ampia in Medio Oriente. Il suo valore spesso è stato accendere i riflettori internazionali sugli eventi sul terreno e fornire assistenza umanitaria alla popolazione locale”.

La missione Unifil, il cui mandato è rinnovato ogni anno dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, è attiva su un’area del Libano meridionale che si estende dal confine con Israele per quasi 29 chilometri verso nord fino al fiume Litani. Il suo quartier generale si trova a Ras Naqoura, vicino alla frontiera con Israele. È stata creata nel 1978, nel pieno della guerra civile libanese, dopo che Israele aveva invaso per la prima volta una parte del sud del Libano affermando di voler proteggere il nord del suo territorio dai combattenti dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).

La diplomazia libanese, preoccupata dalle ambizioni territoriali di Tel Aviv, si era battuta per l’approvazione della risoluzione 425 al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che il 19 marzo 1978 impose il ritiro delle forze israeliane. Il principale mandato assegnato all’Unifil era proprio assicurare questo allontanamento, che però non si verificò per i successivi vent’anni. Nel 1982 le truppe israeliane raggiunsero Beirut, da dove si ritirarono nel 1985. Tel Aviv però conservò il controllo di una striscia di confine fino al 2000.

Contributi e attriti

In un articolo di ricostruzione, la corrispondente di Le Monde da Beirut, Laure Stephan, ricorda che nel corso degli anni ottanta i soldati della missione subirono vari attacchi dai gruppi palestinesi. Ma a dargli più filo da torcere fu l’Esercito del Libano del sud, una milizia armata da Tel Aviv e che rispondeva direttamente ai suoi ordini, incaricata in particolare di gestire la “cintura di protezione”, la striscia di territorio lungo la frontiera. Gli attacchi condotti dalla milizia, con il sostegno e il coordinamento dell’esercito israeliano, avevano l’obiettivo di cacciare l’Unifil. Ma non ci riuscirono. La presenza dei caschi blu permise di assicurare una relativa sicurezza agli abitanti del Libano meridionale.

Per tutti quegli anni, racconta The Conversation, l’Unifil ha fornito servizi medici, elettricità, generatori, corsi di lingua, aiuti finanziari e acqua alle comunità locali. Inoltre ha contribuito a bonificare milioni di metri quadrati di terreno dalle mine antipersona e dalle bombe a grappolo, rendendoli coltivabili. David Schenker, ricercatore al Washington institute for Near East policy, conferma al sito indipendente Npr che negli anni la missione dell’Unifil è andata oltre il suo mandato e i soldati sono diventati “un motore economico fondamentale nel sud del Libano”, contribuendo allo sviluppo locale, per esempio fornendo computer alle scuole o costruendo campi da calcio. Inoltre ha svolto anche un ruolo di mediazione tra Israele e Libano: prima del 2023 i soldati dell’Unifil s’incontravano circa una volta al mese con militari israeliani e libanesi per discutere le questioni calde del momento.

Non sono mancati però gli attriti. I combattenti libanesi che dagli anni ottanta conducevano una guerriglia contro la presenza israeliana nel sud del paese – prima i comunisti e i miliziani del movimento sciita Amal e poi soprattutto affiliati di Hezbollah – hanno preso di mira anche l’Unifil, considerata, ricorda Le Monde citando il giornalista britannico David Hirst, “come uno strumento dell’‘arroganza globale’ per la protezione d’Israele”.

Quando le truppe israeliane si ritirarono dal territorio libanese nel maggio del 2000, la missione dell’Onu fu incaricata di far applicare un’altra parte della risoluzione 425: aiutare il governo di Beirut a ripristinare la sua autorità nella zona di frontiera. Dopo la guerra di trentaquattro giorni tra Israele e Hezbollah nell’estate del 2006, il contingente fu rafforzato, passando da duemila a diecimila uomini, sotto il comando europeo, oggi spagnolo.

A quel punto adottò anche un nuovo mandato sulla base della risoluzione 1701 dell’Onu, che mise fine alle ostilità, stabilendo che solo le forze per il mantenimento della pace dell’Onu e l’esercito libanese potevano essere dispiegate nel sud del Libano. L’Unifil in particolare aveva l’obiettivo di “proteggere i civili davanti alla minaccia imminente della violenza fisica”. La risoluzione consentì così il dispiegamento dell’esercito libanese lungo la frontiera fino ad allora controllata da Hezbollah, che però continuò a essere attiva nell’area.

Da allora le tensioni tra Israele e Hezbollah sono continuate, ma fino all’ottobre del 2023 la situazione al confine è rimasta sotto controllo. L’Unifil era incaricata soprattutto di svolgere attività umanitarie, anche se poteva “decidere tutte le azioni necessarie relative al dispiegamento delle sue forze, al fine di assicurare che la zona delle sue operazioni non sia usata per atti ostili”. In passato i caschi blu erano già stati presi di mira, soprattutto dai combattenti di Hezbollah. L’ultimo incidente risale al dicembre del 2022, quando un soldato irlandese è stato ucciso e altri tre sono stati feriti nell’attacco contro il loro veicolo. Dal 1978 la missione ha perso 334 uomini, in maggioranza soldati.

In un altro articolo su L’Orient-Le Jour, Jeanine Jalkh si chiede se la risoluzione 1701 non sia ormai diventata obsoleta: “Anche se ha garantito quasi 17 anni di relativa stabilità nel sud del Libano, il mancato rispetto della risoluzione ha permesso a Hezbollah di sviluppare il suo arsenale, diventato più potente rispetto al 2006, e di costruire solide linee di difesa lungo il confine. Da parte sua Israele, che già si preparava alla guerra contro il partito sciita, non ha mai esitato a ostacolare la risoluzione e a solcare i cieli libanesi con il pretesto di missioni di osservazione”.

Per The Conversation, però, nonostante tutte le sfide e le difficoltà che deve affrontare, l’Unifil ha ancora un importante ruolo da svolgere nel sud del Libano: “Mentre la nebbia della guerra avvolge tutti i protagonisti, l’Unifil ha la capacità di portare l’attenzione del mondo sul conflitto in corso, contribuendo a dare un limite alle parti. In questo momento è fondamentale che una forza internazionale sia testimone degli eventi sul campo e fornisca assistenza umanitaria di base, monitorando e denunciando potenziali violazioni e garantendo, quando possibile, un riparo alla popolazione locale per aiutare gli sfollati che rimangono nell’area delle sue operazioni”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.

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