Il 9 ottobre in Mozambico 17 milioni di persone saranno chiamate a votare per il parlamento e per il presidente della repubblica. Più di 330mila voteranno dall’estero. Tra i candidati non ci sarà il capo di stato uscente, Filipe Nyusi, del Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo, al potere dal 1975), che ha già compiuto due mandati. Sarà, invece, una corsa a quattro.

Il Frelimo ha puntato su un candidato di 47 anni, Daniel Chapo, ex presentatore di radio e tv, e docente di diritto costituzionale. Governatore della provincia di Inhambane, nel sud, può contare sul sostegno del partito che ha dominato la politica locale dai tempi dell’indipendenza e su numerosi endorsement, tra cui quello di Graça Machel, la vedova del primo presidente mozambicano, Samora Machel, e successivamente del leader sudafricano Nelson Mandela.

La Resistenza nazionale mozambicana (Renamo), che ha combattuto una lunga guerra con il Frelimo e ha firmato un nuovo accordo di pace con il governo nel 2019, schiera il suo attuale leader, Ossufo Momade, 63 anni. Momade ha detto apertamente di non voler tollerare brogli in queste elezioni perché, ha dichiarato, “non siamo necessariamente nati all’opposizione: vogliamo governare anche noi”. Secondo molti osservatori le elezioni amministrative dell’ottobre 2023 erano state ampiamente truccate dal Frelimo.

Le mani sul gas mozambicano
I giacimenti di gas hanno attirato investimenti stranieri in Mozambico, ma hanno fatto anche scoppiare una violenta insurrezione. A rimetterci sono sempre i civili

Attira molti consensi, soprattutto tra i giovani, il candidato indipendente Venâncio Mondlane, cinquant’anni, considerato l’astro nascente della politica mozambicana. Mondlane faceva parte della Renamo ma ne è uscito dopo che non è stato scelto come candidato presidenziale. Infine Lutero Simango, 64 anni, è il candidato del Movimento democratico del Mozambico, il terzo partito del paese.

Gli sfidanti di Chapo accusano il Frelimo di essere la causa dei problemi del paese, che negli ultimi anni è stato scosso da un enorme scandalo di corruzione legato all’acquisto di una flotta di pescherecci (lo scandalo dei tuna bond) e che deve affrontare un’insurrezione jihadista nella provincia settentrionale del Cabo Delgado, dove le multinazionali del gas (tra cui l’italiana Eni) hanno progetti miliardari.

In particolare, la questione del gas è tornata al centro del dibattito pubblico ed è stata tra i temi della campagna elettorale. Il presidente uscente Filipe Nyusi ha recentemente messo in relazione il risultato delle elezioni del 9 ottobre alla disponibilità (o meno) del gigante francese TotalEnergies a far ripartire il suo progetto per la produzione di gas naturale liquefatto (gnl), del valore di 20 miliardi di dollari, nel Cabo Delgado. Le attività si sono fermate nel 2021 a causa degli attacchi contro villaggi e installazioni petrolifere dei combattenti di Al Shabab, una milizia affiliata al gruppo Stato islamico, ma che porta avanti rivendicazioni molto locali, come quella di una più equa suddivisione dei proventi delle ricchezze naturali della regione. Dal 2017 l’offensiva jihadista ha causato quasi seimila morti, tra civili e combattenti, e centinaia di migliaia di sfollati, secondo i calcoli dell’iniziativa di monitoraggio del conflitto Cabo Ligado.

Negli ultimi anni la situazione era tornata relativamente sotto controllo dopo l’intervento di contingenti stranieri, in particolare delle truppe inviate dal Ruanda, ma a febbraio del 2024 sono ripresi gli attacchi.

Disposti a tutto

In discussione non c’è solo la volontà delle grandi aziende come TotalEnergies, ExxonMobil ed Eni di tornare a investire nella regione per far diventare il Mozambico un importante esportatore di gnl e, quindi, un paese potenzialmente più ricco. In questi giorni si parla soprattutto di cosa ha fatto il governo mozambicano pur di garantire la sicurezza alle aziende occidentali, e del livello di complicità di queste ultime in una serie di crimini commessi nel Cabo Delgado.

Un’inchiesta pubblicata dal sito statunitense Politico, firmata da Alex Perry, rivela che nell’estate del 2021, mentre l’esercito mozambicano affrontava i miliziani che minacciavano le installazioni petrolifere e del gas occidentali nella penisola di Afungi, un gruppo di soldati ha preso in ostaggio decine di abitanti dei villaggi della zona – si stima tra le 180 e le 250 persone – accusandoli di essere dei collaboratori degli insorti. Queste persone sono state rinchiuse per tre mesi in alcuni prefabbricati della TotalEnergies, alle porte del compound dell’azienda, dove sono state picchiate, torturate, affamate e uccise. Del gruppo iniziale sono sopravvissuti solo in 26.

Queste accuse gravissime chiamano in causa l’azienda francese, che secondo osservatori e attivisti locali non poteva non sapere cosa stava succedendo, visto che l’obiettivo era unicamente proteggere i suoi interessi. Chiamano in causa anche il sostegno dell’Europa al governo di Maputo. Il quotidiano portoghese Público ricorda che “l’Unione europea ha una missione militare in Mozambico, guidata dal Portogallo, per addestrare le forze speciali che combattono il terrorismo”. Dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Perry, la commissione europea ha fatto sapere di aver chiesto chiarimenti al governo mozambicano e ha ribadito il suo impegno a favore del rispetto dei diritti umani nel Cabo Delgado.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

Iscriviti a
Africana
Cosa succede in Africa. A cura di Francesca Sibani. Ogni giovedì.
Iscriviti
Iscriviti a
Africana
Cosa succede in Africa. A cura di Francesca Sibani. Ogni giovedì.
Iscriviti

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it