Lo Zambia è rimasto al buio. Oltre a dover fare i conti con la peggiore siccità della sua storia recente, non riesce più a produrre elettricità. Anche se ha a disposizione il fiume Zambesi e il grande impianto idroelettrico della diga di Kariba, costruita negli anni cinquanta creando il più grande lago artificiale del mondo, il paese non ha più l’acqua necessaria ad azionare gli impianti. La crisi è così grave che nelle città la corrente manca per giorni consecutivi e quando torna è solo per poche ore al giorno. Come racconta l’agenzia statunitense Associated Press, molte attività commerciali sono in ginocchio e non tutti possono permettersi di azionare i costosi generatori a diesel.
La diga di Kariba, dove al momento funziona solo una turbina su sei, generalmente fornisce l’80 per cento della corrente necessaria ai 21 milioni di abitanti del paese (in realtà, anche prima dei recenti problemi solo il 43 per cento aveva un collegamento stabile alla rete elettrica). Oggi l’impianto produce meno del 10 per cento dell’energia che sarebbe in grado di generare. Le altre fonti hanno un peso minore: solo il 13 per cento dell’elettricità deriva dal carbone e il 3 per cento da altre fonti (pulite e non).
Il governo di Lusaka ha incoraggiato i privati e le imprese a investire sull’energia solare, ma molti zambiani non possono permettersi i pannelli solari. Anche il governo ha fatto ricorso ai generatori alimentati a diesel negli ospedali e in altri edifici pubblici. Allo stesso tempo ha promesso di sfruttare di più le centrali a carbone.
Un campanello d’allarme
La situazione nello Zambia è un campanello d’allarme per tutto il continente. L’Africa è notoriamente la regione del mondo che produce la minor percentuale di emissioni inquinanti, contribuendo in minima parte al riscaldamento globale, ma è molto vulnerabile ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi.
L’attuale siccità, alimentata dal fenomeno meteorologico del Niño, ha interessato tutta l’Africa meridionale: ha già costretto lo Zambia e altri quattro paesi della regione (Lesotho, Malawi, Namibia e Zimbabwe) a dichiarare lo stato di calamità naturale e a chiedere aiuto per le proprie popolazioni affamate.
Allo stesso tempo, ha messo in evidenza le criticità dell’affidarsi all’acqua per produrre l’energia. L’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) stima che in tutta l’Africa subsahariana 600 milioni di persone non hanno ancora un accesso stabile all’elettricità, che sarebbe invece necessario per garantire lo sviluppo di queste popolazioni e per combattere la povertà.
Al momento nel continente gli impianti idroelettrici forniscono il 17 per cento dell’energia, ma l’Aie prevede che questa percentuale salga al 23 per cento entro il 2040. Nel frattempo le risorse idriche diventano più inaffidabili non solo nello Zambia, ma anche in paesi come il Mozambico, il Malawi, l’Uganda, l’Etiopia (che ha ultimato l’imponente diga Gerd) e la Repubblica Democratica del Congo. E questo è un bel rompicapo per i governi africani.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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