Mentre i miliziani del Movimento 23 marzo (M23), sostenuto dal Ruanda, continuano ad avanzare minacciando Bukavu, il capoluogo della provincia del Sud Kivu, si moltiplicano le iniziative di pace per fermare i combattimenti nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Il 7 e l’8 febbraio si è svolto un vertice in Tanzania convocato da due organizzazioni regionali di cui fanno parte anche Ruanda e Rdc, al termine del quale è stato chiesto un cessate il fuoco immediato e incondizionato.
Il 12 febbraio sono intervenuti gli inviati della Conferenza episcopale nazionale del Congo insieme a quelli della Chiesa di Cristo in Congo (protestanti), che sono andati a Goma per incontrare Corneille Nangaa, l’uomo che si presenta come il leader politico dei ribelli e il capo di un’organizzazione chiamata Alleanza del fiume Congo, nata nel 2023 in opposizione al presidente congolese Félix Tshisekedi.
In un’intervista rilasciata il 9 febbraio a Colette Braeckman, inviata del quotidiano belga Le Soir nella Goma occupata dall’M23, Nangaa ha insistito sul fatto che la ribellione – agli occhi di molti, ampiamente manovrata dal governo di Kigali – deriva in realtà da una crisi interna congolese, scatenata dall’assenza dello stato in questa parte del paese e dalla discriminazione dei congolesi di etnia tutsi. Nangaa, ex presidente della commissione elettorale che nel 2018 contribuì a portare al potere Tshisekedi, oggi sostiene che quest’ultimo sia a capo di un regime di incompetenti e corrotti.
Dichiara inoltre che il sostegno ruandese al suo movimento non è decisivo (“non sono il portavoce del Ruanda”, dice) e che tutta “la fissazione sulla questione dei minerali è propaganda di Kinshasa”. Propaganda che sembra aver in parte funzionato, considerato che l’Unione Europea ha temporaneamente interrotto le importazioni di minerali dal Ruanda: secondo un rapporto delle Nazioni Unite, infatti, le esportazioni ruandesi di coltan riguardano principalmente minerali estratti a Rubaya, in Rdc, occupata dall’M23 nell’aprile 2024.
Se Nangaa è una figura nota della politica congolese, che solo recentemente ha voltato le spalle al governo di Kinshasa, il comandante militare dell’M23, Sultani Makenga, è invece un combattente di lungo corso, da tempo una spina nel fianco per le autorità congolesi. Uno di quei professionisti della guerra che da decenni hanno trovato libertà di manovra nell’est del paese, e che si arricchiscono con la predazione e il contrabbando di ricchezze minerarie.
Molto più riservato, ha rilasciato poche interviste nel corso degli anni, ma alcune informazioni sulla sua vita le abbiamo.“Le origini di questo complesso conflitto possono essere comprese attraverso la storia di un uomo, il leader dell’M23 Sultani Makenga, accusato di vari crimini di guerra”, scrive Wedaeli Chibelushi sul sito della Bbc.
“Ripercorrere la sua vita fino a questo momento significa guardare a decenni di guerre, interventi stranieri e di bramosie per le preziose risorse minerarie del paese”.
Makenga è nato nel 1973 a Masisi, nell’est della Rdc in una famiglia di etnia tutsi. A 17 anni lasciò la scuola per unirsi al Fronte patriottico ruandese (Rpf), un gruppo ribelle in Ruanda, che all’epoca era governato dal leader hutu Juvénal Habyarimana. Makenga e l’Rpf combatterono per anni contro l’esercito hutu ruandese, fino al genocidio del 1994 (in cui furono uccisi 800mila tutsi e hutu moderati) dopo il quale l’Rpf, guidato tra gli altri da Paul Kagame, riuscì a rovesciare il regime di Kigali.All’inizio Makenga fu assorbito nel nuovo esercito ruandese, ma fu imprigionato per non aver seguito alcuni ordini e fu liberato solo per partecipare all’invasione della Rdc nel 1998.
I combattimenti terminarono ufficialmente nel 2003, ma Makenga continuò a militare nei gruppi armati che si opponevano al governo congolese. A un certo punto partecipò a un programma di disarmo e di integrazione dei combattenti ribelli nelle forze armate congolesi, ma dopo poco tempo disertò per unirsi alla nascente ribellione dell’M23.
Cattive compagnie
Nel novembre 2012 era a Goma quando l’M23 riuscì a conquistare la città, ma il successo fu di breve durata. Due giornalisti di The East African, Ignatius Ssuna e John Doldo IV, andarono a incontrare Makenga nel 2013, in una base militare improvvisata tra le colline del Nord Kivu, subito dopo che si era arreso alle truppe ugandesi.
Lo descrivono come un “uomo imponente” e di poche parole. “A parlare sono state le sue azioni contro un governo che lo considera un reietto, che hanno attirato l’attenzione di tutta la regione, se non del mondo intero”, scrivevano. Lui e altri membri del gruppo – tra cui i famigerati comandanti Bosco Ntaganda, condannato a trent’anni di carcere dalla Corte penale internazionale, e Laurent Nkunda, agli arresti domiciliari in Ruanda – furono accusati di gravi crimini come il reclutamento di bambini soldato e stupri di massa.
Tredici anni dopo Makenga combatte ancora e su di lui pende una condanna a morte emessa da un giudice congolese. “Durante l’ultima avanzata dell’M23, Makenga non si è quasi mai fatto vedere in pubblico”, nota la Bbc. “Lascia i discorsi e le dichiarazioni pubbliche al suo portavoce e a Nangaa. Ma resta comunque un personaggio chiave, che dietro le quinte si concentra sulle strategie”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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