“Una storia profondamente sciamanica. Perché mai luce fu così folgorante e mai fu così oscura come questi fuochi”, dove “forze ancestrali o essenze del mondo onirico” si confondono e confrontano tra loro. Così scrivevo nel 2019 in un lungo articolo dedicato all’arte di Lorenzo Mattotti commentando Fuochi, un racconto uscito a puntate nel 1984 sulla rivista Alter, quando l’autore era trentenne.
In occasione del quarantennale dalla pubblicazione, Mattotti festeggia i suoi settant’anni grazie alla ristampa di Logos Edizioni – comprensiva di una tiratura speciale numerata in grande formato con bauletto – che sta ripubblicando l’intera opera a fumetti del Mattotti maturo. L’occasione perfetta, quindi, per (ri)scoprire un capolavoro assoluto e, per chi scrive, anche una delle opere più importanti e forti viste in questi quarant’anni tra cinema e fumetto.
A essere rappresentata magistralmente non è soltanto l’antitesi tra oscurità e luce: è una luce fatta di oscurità, che ci fa vedere il buio nella sua verità – eccezionalmente, poiché può essere un viaggio senza ritorno. Di questo è impregnata, di questo è figlia la luce in Fuochi. Sono bagliori dirompenti, incontrollati, inarrestabili, sprigionati dal magma densissimo dell’oscurità. La nostra. L’oscurità che cerchiamo di non vedere, dalla quale scappiamo, perché è quella da cui l’intero genere umano fugge, al contrario delle culture antiche che l’armonizzavano con la natura e la vita concreta.
Ma al contempo, pur essendo chiaramente impregnata di panteismo, la forte componente spirituale del racconto è dell’ordine della Rivelazione, con la “r” maiuscola nel suo senso religioso, propria dei grandi mistici. O ancora, per spostarci in oriente, non lontana dall’attraversamento delle tenebre che permette a Siddhartha di diventare Buddha. In questo caso, però, la rivelazione è senza Nirvana, o meglio, una volta raggiunto questo è anche dolore, proprio come la rivelazione cristiana è una Stigmate. Altra graphic novel capolavoro, quindi, quella realizzata da Mattotti con lo scrittore Claudio Piersanti. Aiutati dal fascino ipnotico e profondo che ancora suscita, Fuochi è un attraversamento delle tenebre bello come un paradiso, reso inquieto a tal punto da dover attendere un “Caronte” ad accompagnarci – il quale, naturalmente, non giunge mai.
È la rivelazione religiosa unita alla crudezza, se non alla crudeltà, del sapere sciamanico, del “segreto rivelato dal colore” – per riprendere la citazione presente nella quarta di copertina della precedente edizione dell’opera, pubblicata da Einaudi – che è esattamente l’opposto di quello imposto oggi da gran parte del fumetto e del cinema popolare; levigato, saturato, uniforme, privo di qualsiasi interiorità e profondità. In Fuochi, invece, il colore cela il segreto più oscuro.
La sua rilettura è ancor più preziosa e importante oggi, poiché la dialettica che sta alla sua base è ancora più articolata di quella fin qui espressa. E se nel 1984 era impregnata della paura per un possibile olocausto atomico e del dibattito suscitato dal romanzo di George Orwell su una società governata da un “Grande Fratello”, vi ritroviamo rappresentate, tra il metaforico e l’allegorico, le inquietudini, le paure e l’oscurità che si profilano ancor più marcate nel mondo d’oggi: Fuochi è, insomma, di nuovo un “racconto epicentro”, per riprendere il sottotitolo di un’altra delle opere fondanti nella carriera di Mattotti, Il signor Spartaco, viaggi di un epicentrico.
Ma prima di essere maggiormente specifici vale la pena soffermarsi sulla trama. La Anselmo II, una corazzata che appartiene alla marina dello stato immaginario di Sillantoe, giunge nei pressi dell’isola di Sant’Agata per esplorare e valutare la pericolosità effettiva della popolazione indigena. Ben presto, strani bagliori e fuochi irrompono nella notte. Questi fenomeni paranormali, dovuti a entità sconosciute e del tutto indefinite, devastano l’ordine militare costituito e in estensione l’ordine costituito tout-court, di cui quello militare è la metafora. Il “nemico”, invisibile e inafferrabile, prende possesso dei marinai che muoiono misteriosamente o si ammalano di strane febbri: in riferimento a questo, non si può non pensare a Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, autore molto amato da Mattotti di cui nel 2019 ha adattato, con un film di animazione, La straordinaria invasione degli orsi in Sicilia, fiaba per ragazzi scritta a suo tempo per il Corriere dei Piccoli.
In particolare, il tenente Assenzio, protagonista dell’opera, sembra posseduto da quelle strane, misteriose, inquietanti figure e da quei fuochi indomabili. E allo stesso modo, anche chi legge resta stregato: “Il fumetto non è più lo stesso rispetto a quel che era prima dell’uscita di Fuochi. Fin dalla prima immagine, il lettore è immerso in un’altra dimensione, quella della magia. La prima tavola mostra la prua di una corazzata che fuoriesce da due masse indistinte che si suppone essere delle scogliere. La corazzata è netta, tracciata con precisione, mentre le scogliere sono delle superfici colorate che aggrediscono lo sguardo. L’intera storia che verrà è già contenuta in questa tavola inaugurale. Tutto si tiene in questo contrasto tra il rigore della nave, con tutto quel che sottintende, e il caos del paesaggio circostante , l’isola di Sant’Agata”.
Così comincia uno dei testi più importanti e illuminanti fra quelli usciti nei primi anni dalla pubblicazione dell’opera, scritto da Francesco Sisci per la rivista di critica Les cahiers de la bande dessinée (numero 68 di marzo-aprile 1986) al momento della sua uscita in Francia, che elesse Fuochi come libro “indispensabile”. La dialettica è enunciata fin da subito: una contraddizione tra il grigiore e la rigidità dell’estetica industriale, in particolare dell’arte costruttivista – soprattutto quella sovietica – e l’esplosione dei colori rappresentata dall’isola e dai suoi spiriti, che fa di questo viaggio infernale un paradisiaco viaggio sensoriale verso la conoscenza, facendo uscire il mondo dallo schematismo. Ma attenzione: quella a cui si aggrappa Assenzio nella tavola finale, ormai pittore marginale come un Van Gogh, è la luce vera: “Non voglio più fuochi che rischiarino la notte. Nella mia mente voglio il giorno”.
Poiché anche Assenzio è tramutato in un fantasma sull’isola, uno spettro, o un tramite con essi. Diventare definitivamente uno spirito libero, liberandosi dalle vesti di automa omologato, ha avuto un caro prezzo. Ma nessuno come lui ha viaggiato nel magma misterioso dell’arte: da quella primitiva ai grandi della pittura occidentale, con artisti sempre al confine fra astrazione e figurativo come Vallotton, Bonnard, Hopper, Monet, Cézanne e Mirò. E poi gli astrattisti veri e propri come Kandinsky e Mark Rothko. “Arde arte in Fuochi”, scrive nella prefazione il cineasta e scrittore Johnny Costantino. Ed è proprio così.
Se forze ancestrali o essenze del mondo onirico, riti tribali e incubi febbricitanti, aurora e crepuscolo, luce e tenebra sono la stessa cosa e si equivalgono, è perché la materia pittorica degli ultimi due secoli viene qui ricongiunta alle pitture rupestri o all’arte primitiva – cioè la cosiddetta art négre, come vengono chiamate l’arte africana, oceanica o, asiatica . In altre parole, se la modernità è in osmosi con la dimensione ancestrale e primordiale dell’essere umano e dell’arte, è perché Fuochi è fatto di questa sostanza, che si configura come una forma di realtà.
È un nuovo mondo, o mondo altro, che trasfigura la trasfigurazione. In sintesi, la realtà trasfigurata dai grandi pittori dell’ottocento e del novecento – (pre)scelti da un Mattotti quasi in stato di trance – in opere potenti e visionarie sono a loro volta trasfigurate. Il mondo in cui si muovono i personaggi di Mattotti è così un condensato dell’arte quasi astrale, un po’ come una nana bianca: nulla a che vedere con i più o meno vuoti cataloghi di citazioni tipici del postmoderno, che Mattotti ha frequentato e abbandonato velocemente, limitandolo ad alcuni momenti simbolici. Qui siamo nella rievocazione e nella fusione, che troveranno molti anni dopo compimento estremo in Oltremai (2013), un altro capolavoro fondato sull’oscurità.
In questo momento storico in cui la guerra pervade il mondo a tutti i livelli, al pari dello schematismo dei ragionamenti e dell’estetica priva di pensieri e sensibilità, Fuochi – poiché l’opera si fonda più di tutto sulla dialettica tra razionalità, intesa come asservimento e svuotamento dell’individuo, e irrazionalità, vista come spiritualità laica e libertà totale per le vie dello spirito – ci ricorda che solo mediante l’attraversamento lento e paziente delle imperfezioni, della complessità del mondo e della sua memoria recente e ancestrale, l’essere umano riuscirà a restare tale.
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