Gli idrocarburi fossili non servono solo a produrre energia: sono anche l’ingrediente di base della plastica e di molti altri composti chimici usati nei beni di uso comune come i cosmetici e i prodotti per la pulizia. Una parte del carbonio contenuto in questi prodotti finisce inevitabilmente per tornare nell’atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico.

Ma se per decarbonizzare il settore dell’energia, cioè renderlo indipendente dagli idrocarburi fossili, esistono già alternative praticabili, per l’industria dei materiali fare a meno dei composti basati sul carbonio è molto più difficile.

Il carbonio infatti è un elemento estrememante reattivo capace di formare molti tipi di molecole utili dalle proprietà insostituibili. Se al momento decarbonizzare questo settore è impossibile, però, si può almeno cercare di defossilizzarlo.

“Il problema infatti non è il carbonio in sé, ma la fonte da cui proviene”, scrive Graham Lawton su New Scientist. Invece di estrarlo dal petrolio, perpetuando un’economia lineare che trasforma le risorse in rifiuti, è possibile adottare un sistema circolare, non solo riciclando la plastica ma recuperando l’anidride carbonica emessa dalle attività umane.

Un aiuto dai batteri

Questo processo, chiamato cattura e uso dell’anidride carbonica (Ccu), è simile alla cattura e sequestro (Ccs), ma invece di essere immagazzinato, il gas raccolto è usato per produrre nuovi composti utili.

Le tecnologie esistenti sono costose e richiedono molta energia, ma i progressi della fermentazione microbica potrebbero offrire la soluzione.

Alcune aziende stanno già usando la fermentazione per trasformare l’anidride carbonica catturata in etilene, che viene poi usato per produrre poliestere per l’industria tessile, e il processo è in grado di sintetizzare molti altri tipi di composti basati sul carbonio.

I prodotti defossilizzati sono ancora leggermente più costosi di quelli realizzati a partire dagli idrocarburi fossili, ma se fossero resi riconoscibili, per esempio attraverso un marchio, molti consumatori attenti alla sostenibilità potrebbero essere disposti a pagare la differenza, conclude Lawton.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta

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