Voi ve lo ricordate l’ultimo concerto che avete visto prima del lockdown? Io sì. Era il 28 febbraio 2020 e quella sera al Monk, a Roma, dovevano suonare i Calibro 35. Fino a poche ore prima non era chiaro se il concerto ci sarebbe stato o no. In Lombardia e in Veneto c’erano diversi focolai di covid-19, alcuni comuni erano già stati messi in quarantena e i concerti nel nord Italia si erano fermati, mentre nel resto d’Italia la vita era ancora normale. Molte persone avevano aspettato l’ultimo momento per comprare i biglietti e fuori dal locale si era creata una coda lunga. Tanti, dopo aver resistito un po’ al freddo, erano dovuti tornare a casa: biglietti esauriti.

I Calibro 35 sono saliti sul palco alle dieci e hanno suonato un paio d’ore, presentando il loro nuovo disco Momentum e suonando pezzi del loro repertorio passato. Verso la fine dello show sono saliti sul palco anche due ospiti speciali: Rancore e Daniele Silvestri, che hanno cantato Argento vivo.

A quasi un anno di distanza, gli spettacoli al Monk, come in tutti gli altri locali, sale da concerto piccole e grandi, sono fermi. E nessuno sa quando e come ripartiranno. Il danno economico per il settore è enorme. Secondo l’annuario della Siae, pubblicato a novembre 2020, nel primo semestre del 2020 la spesa del pubblico per la musica dal vivo è diminuita di 1,8 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2019. Secondo i calcoli del Sole 24 Ore si tratta del 72,9 per cento in meno, con una spesa al botteghino calata di più di 847 milioni (-66,9 per cento).

E le prospettive per i prossimi mesi non sono rosee, se guardiamo anche a quello che sta succedendo all’estero: il festival di Glastonbury, che si sarebbe dovuto tenere a giugno, il 21 gennaio ha annunciato la cancellazione dell’edizione 2021. E sarà probabilmente il primo di una serie di grandi festival che salteranno per il secondo anno di fila.

Nel nostro paese, per il momento, l’unica cosa certa è Sanremo, che si terrà dal 2 al 6 marzo. Alcuni esponenti del mondo della musica e del teatro hanno contestato la scelta di non rinviare il festival della canzone italiana e soprattutto l’ipotesi, ancora non confermata, di farlo con il pubblico presente in sala, in un momento in cui i teatri sono chiusi e i concerti sono fermi. Ma non tutti gli addetti ai lavori sono d’accordo su questo fronte.

Emiliano Colasanti, fondatore dell’etichetta 42 Records (I Cani, Cosmo, Any Other), è il manager di Colapesce, che si esibirà a Sanremo insieme a Dimartino con il brano Musica leggerissima. Cosa ne pensa delle polemiche? “Sanremo è un programma televisivo con dentro la musica. Se si pensa che sia uguale a un festival, a un concerto o a uno spettacolo teatrale forse c’è un problema. A me che sia con il pubblico o meno non interessa, ma sono undici mesi che il nostro settore è paralizzato. Provare a organizzare un concerto con i test rapidi, al chiuso, un po’ come ha fatto il Primavera sound con la ricerca Prima-Cov, è la stessa cosa che volevano fare con Sanremo. Quindi secondo me è sbagliato mettersi in un angolo e invitare al boicottaggio. Non ci rendiamo conto che una cosa del genere, fatta da uno show con la visibilità di Sanremo, sarebbe una possibilità buona per tutti. Una cosa utile almeno per cominciare a fare i concerti nei teatri in primavera. Non si può più stare fermi ad aspettare, è giusto provare a immaginare soluzioni per fare le cose in sicurezza”.

Previsioni difficili
Nonostante la situazione complicata, alcuni locali (quelli che non hanno chiuso definitivamente) provano a resistere. “Stiamo cercando di diversificare le nostre attività. Apriamo di giorno e puntiamo soprattutto sulla ristorazione, come già abbiamo fatto l’estate scorsa sfruttando il nostro giardino”, spiegano durante un collegamento su Zoom Maria Quintieri, Raniero Pizza e Yuri Toccacelli, responsabili della direzione artistica del Monk.

“Inoltre abbiamo inaugurato uno spazio per il coworking aperto a lavoratori e studenti. A partire da aprile invece speriamo di riuscire a fare qualcosa con mascherine e distanziamento, ma in questo momento fare previsioni è veramente difficile. Per i concerti senza distanziamento invece ci sarà da aspettare, forse ancora per un anno e mezzo. In particolare per gli artisti stranieri si parla del 2022, o al limite dell’autunno 2021. Del resto finché gran parte della popolazione non sarà vaccinata non si potrà tornare nei club, a teatro e nei cinema come facevamo prima”.

Come va il dialogo con le istituzioni? “Per fortuna qualcosa, anche se poco, si muove. In questi mesi il comune di Roma ha stanziato dei fondi e ora stiamo cercando di sbloccare delle pratiche burocratiche per averne degli altri. Anche dal ministero della cultura sono arrivati segnali confortanti: il 2 gennaio il ministro Dario Franceschini ha annunciato che stanzieranno altri cinquanta milioni di euro per il Fondo unico dello spettacolo, tutelando per la prima volta anche settori finora esclusi dagli aiuti pubblici, come la musica contemporanea e d’autore, il jazz e i live club. Purtroppo non siamo in Germania, dove il governo offre un grande sostegno agli operatori dello spettacolo”, aggiungono i gestori del Monk.

Un’estate già vista
“La situazione è grave, soprattutto per le aziende indipendenti che organizzano concerti. Passo la maggior parte del mio tempo a mettere in piedi date che magari dovrò posticipare di nuovo”, spiega Giorgio Riccitelli, fondatore della Radar concerti e responsabile per l’Italia della piattaforma per la vendita di biglietti Dice. “Da una parte ci sono le multinazionali, un settore che è fermo da un anno, ma se lo può permettere anche perché ha nelle casse i soldi dei voucher, e dall’altra c’è un settore che senza continuità di lavoro rischia di chiudere per sempre. Noi indipendenti dalle istituzioni non abbiamo avuto il sostegno che ci serviva. Se guardiamo il decreto 34, quello dei cosiddetti ristori destinanti al mondo dei concerti e della musica leggera, vediamo che alle multinazionali è arrivata una fetta sproporzionata degli aiuti pubblici. La Live nation da sola ha preso quasi tre milioni di euro. E ai promoter più piccoli sono rimaste le briciole. Inoltre il recovery plan, pur stanziando otto miliardi di euro, accorpa cultura e turismo, e questo porta a doverci dividere la torta con ristoratori e gestori di hotel, che fanno un lavoro completamente diverso dal nostro. Non ha senso”.

Come sarà l’estate prossima per la musica dal vivo quindi? Secondo Riccitelli, molto simile a quella del 2020. “Si potranno rifare concerti con i posti seduti e distanziati, con capienze ridotte. Com’è successo nel 2020, molti eventi staranno in piedi grazie ai contributi pubblici, mentre i grandi eventi, quelli sopra le diecimila persone, non ci saranno proprio. Per quanto mi riguarda, cercherò di fare cose lontano dai grandi centri, ripetendo l’esperimento del festival Musica tra le nuvole all’anfiteatro del Venda di Galzignano Terme (Padova). Quest’anno ho in mente di farlo due volte, a luglio con musicisti stranieri e a settembre con gli italiani. E poi organizzerò di nuovo il Cinzella in Puglia, dove in teoria dovrebbero suonare gli Idles, ma viste le condizioni non sono ancora sicuro della loro presenza”.

Radar concerti fa parte di Promoter indipendenti uniti (Piu), un coordinamento tra promoter non legati alle multinazionali dello spettacolo dal vivo, nato per rispondere alle difficoltà legate alla pandemia. Questo gruppo sta preparando una proposta da presentare alle istituzioni: “Vorremmo ripetere in Italia lo studio Prima-Cov del Primavera sound: si tratta di fare un concerto senza distanziamento, ma con le mascherine e tutte le misure di sicurezza, con un tampone rapido fatto agli spettatori prima di entrare e un tampone rapido a due settimane di distanza. Vogliamo dimostrare che i concerti sono sicuri, con l’obiettivo di salvare l’estate e permettere eventi con un massimo di duemila persone all’aperto. Bisogna puntare sui test e sul far ripartire i concerti. Investire sullo streaming, con iniziative come la ‘Netflix della cultura italiana’, non ha senso, la soluzione dello streaming è già superata”.

Dischi su Twitch
“In realtà tutti abbiamo incassato di meno, anche le multinazionali, che hanno molti dipendenti in cassa integrazione. Non credo si siano arricchite poi così tanto”, sostiene Emiliano Colasanti. “Quello che è sicuro è che Assomusica, l’associazione di categoria che dovrebbe rappresentare tutti, ha tutelato soprattutto le aziende più grandi e ha fatto veramente poco per aiutare i pesci piccoli. Inoltre le multinazionali stanno approfittando della situazione per provare a portare via musicisti italiani alle aziende indipendenti con offerte al rialzo. Per carità, possono perché il mercato è libero, però il tempismo con cui lo fanno è un po’ spiacevole”.

Com’è cambiato invece il ruolo delle case discografiche durante la pandemia? Secondo Colasanti la pandemia è stata una specie di grande esperimento, che ha creato molte difficoltà, ma ha anche costretto la sua etichetta a provare strade nuove.

“Sicuramente in questi mesi abbiamo lavorato molto di più rispetto al solito. Passiamo le giornate a fare riunioni, per poi probabilmente fare altre riunioni perché i piani nel frattempo salteranno. Noi, dopo un primo momento di disorientamento, abbiamo scelto di continuare a pubblicare album, a partire da quello di Marco Giudici, che secondo me era perfetto per i mesi di lockdown, e quello di Colapesce e Di Martino. In realtà tante cose le abbiamo spostate e stiamo ancora decidendo se farle uscire o no, perché non si sono bloccati solo i concerti, ma tutta la filiera della promozione discografica: non si può andare in radio a fare un live, le interviste si fanno solo a distanza e non è certo la stessa cosa”.

“Il paradosso è che oggi l’unico modo che hai per far parlare di te è pubblicare un album, ma la vita dei dischi è ancora più breve di prima”, prosegue Colasanti. “Per questo le etichette hanno sperimentato altri modi di raggiugnere il pubblico: si sono messe a produrre podcast, hanno aperto profili su Twitch per creare un universo autosufficiente da associare alla promozione. È il tentativo di far nascere un sistema che si autodetermina. È paragonabile a quello che sta succedendo nel mondo dei live, dove servizi di vendita di biglietti come Dice e Songkick sono diventati servizi di concerti in streaming. La pandemia ci ha costretto ad adattarci a un mondo nuovo, incerto e mutevole”.

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