Era l’8 aprile del 1994. Kurt Cobain era morto da tre giorni nella sua casa di Seattle. Quando un elettricista che si trovava lì per fare alcuni lavori lo trovò, di fianco al corpo del leader dei Nirvana c’era un fucile, quello con cui si era sparato alla testa, e un biglietto d’addio che citava My my, hey hey (Out of the blue) di Neil Young: “It’s better to burn out than to fade away”, è meglio bruciare che svanire lentamente. Era la fine di un’era, il crepuscolo del grunge, un movimento che aveva portato la musica alternativa a scalare le classifiche, a trasformare le camicie da boscaioli in oggetti di tendenza, un sound che aveva spazzato definitivamente via gli anni ottanta. Sul canale musicale Mtv, che in quegli anni era il principale veicolo di promozione dei dischi insieme alle radio, andavano in rotazione video di brani che oggi sarebbe difficile immaginare in testa alle riproduzioni di Spotify: Smells like teen spirit degli stessi Nirvana, Black hole sun dei Soundgarden, Jeremy dei Pearl Jam. Dopo la morte di Cobain, però, la musica alternativa statunitense stava per entrare in una profonda crisi d’identità.

Dall’altra parte dell’oceano, nel Regno Unito, l’atmosfera era diversa: una nuova ondata sciovinista stava montando. C’erano alcune band in rampa di lancio che potevano, secondo gli inglesi, far dimenticare presto il grunge: gli Suede, i Blur, le Elastica, tutte e tre provenienti dalla scena londinese. Sul fronte politico, l’epoca conservatrice inaugurata da Margaret Thatcher sembrava ormai alle spalle, e si stava preparando un’altra riscossa, quella del Partito laburista, che nel 1997 avrebbe portato alla guida del paese Tony Blair.

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L’11 aprile del 1994, una settimana dopo la morte di Kurt Cobain, uscì Supersonic, il primo singolo di una nuova band britannica chiamata Oasis. Gli Oasis non facevano parte della scena londinese: erano ragazzi della classe operaia di Manchester, quasi tutti alle prime armi con la musica. Erano guidati da due fratelli: il cantante Liam Gallagher, 22 anni, e il chitarrista e autore dei pezzi Noel Gallagher, 27 anni.

In seguito quei ragazzi della working class avrebbero pubblicato due dischi fondamentali del rock anni novanta: Definitely maybe (il 29 agosto 1994) e (What’s the story) Morning glory? (il 2 ottobre 1995). Due album che saranno probabilmente al centro della scaletta dei concerti dell’estate 2025 nel Regno Unito (con date a Cardiff, Manchester, Londra, Edimburgo e Dublino), che vedranno la band tornare insieme a quindici anni dallo scioglimento. Liam e Noel Gallagher, dopo che per anni non si sono parlati e si sono scambiati frecciate e accuse, a sorpresa hanno fatto pace. Ci saranno altre date fuori dall’Europa in seguito ma, almeno per il momento, non è prevista nessuna tappa in Italia. L’annuncio, tra l’altro, è arrivato il 27 agosto, mentre il loro scioglimento risale al 28 agosto 2009.

La reunion degli Oasis è un avvenimento storico per la musica britannica, ma non solo per quella. E radunerà diverse generazioni di spettatori: le persone che erano giovani negli anni novanta, quelle che lo erano nei primi duemila e quelle che nel 1994 non erano ancora nate, ma si sono avvicinate alla band di Manchester attraverso internet e i servizi di streaming. Se un tempo gli Oasis erano protagonisti dei video di Mtv, infatti, oggi lo sono dei meme su Instagram e TikTok, dove le loro interviste dagli archivi vengono rimasticate quotidianamente, rendendoli delle rockstar appetibili anche per la generazione Z. Che tornino insieme solo per soldi oppure no non è importante, perché quello del 2025 sarà un fenomeno di costume di ampia portata. Sarà interessante viverlo in prima persona, per chi riuscirà nell’impresa di trovare i biglietti, ma sarà anche bello osservarlo da fuori. Per il Regno Unito, in particolare, si tratta di una cosa enorme. La popolarità dei fratelli Gallagher nel paese è difficile da comprendere se non si vive lì.

Per capire perché oggi questa reunion è così importante, però, bisogna tornare indietro a quegli anni. La storia degli Oasis comincia nel salotto di una casa alla periferia di Manchester.

I burini di Burnage

È il 1983. Noel Gallagher è seduto sul divano e sta guardando la tv. Alla trasmissione Top of the pops c’è una band esordiente: si chiamano The Smiths e stanno suonando This charming man. Noel ha 16 anni, ed è un ragazzo di origini irlandesi cresciuto a Burnage, un quartiere operaio nel sud di Manchester insieme alla madre, Peggy, al padre, Tommy, e ai fratelli Paul e Liam. Tommy è un alcolizzato e picchia la moglie, ma mette le mani addosso anche a Paul e a Noel. Anche per questo, forse, Noel balbetta molto.

La città un tempo celebrata come culla della rivoluzione industriale e del movimento operaio britannico è in crisi, fiaccata soprattutto dalle riforme del governo Thatcher. È un posto marginale, dove la disoccupazione e i tassi di criminalità crescono. Noel Gallagher ha ricordato: “Quelli erano gli anni della Thatcher: la gente stava in fila con il papà per il sussidio di disoccupazione”. Noel è un ragazzo solitario, introverso e si caccia spesso nei guai: ha problemi di condotta a scuola e commette piccoli furti e reati di poco conto. Liam, il fratello minore, non è da meno. La vita dei Gallagher è caotica. Come ha raccontato John Harris nel suo libro The Last party: britpop, Blair and the demise of English rock, Noel ha definito la sua famiglia “The Burnage hillbillys”, i burini di Burnage.

Gli Smiths sono una band di estrazione popolare e, tranne il batterista Mike Joyce, sono anche loro dei ragazzi di Manchester figli di irlandesi. La maggior parte delle persone è colpita dal cantante, Morrissey, ma Noel è rapito dal chitarrista, Johnny Marr. Anche lui, da qualche anno, suona la chitarra, una vecchia acustica a sei corde che ha trovato in casa. Era di suo padre. Scrive anche qualche canzone. “Quel giorno ho pensato che volevo diventare come Johnny Marr”, ha ricordato.

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Nel 1988, Noel, stavolta insieme a Liam, fa un’altra esperienza che si rivelerà decisiva per la nascita degli Oasis: i due fratelli vanno all’International 2 Club. Lì si tiene un concerto organizzato per raccogliere fondi per contrastare una campagna del partito conservatore contro l’omosessualità. Noel e Liam non sono particolarmente attivi dal punto di vista politico ma, come molte persone della classe operaia inglese, votano i laburisti. All’International 2 Club suonano i James, ma quello che interessa ai due ragazzi di Burnage è il gruppo spalla: gli Stone Roses. Anche gli Stone Roses sono una band locale e fanno parte di una scena che viene definita Madchester, che ha il suo epicentro nella discoteca The Haçienda, un locale fondato negli anni ottanta e frequentato dallo stesso Noel. Il Madchester è un genere che mescola il rock e l’indie con la dance. Quelli sono anche gli anni dell’esplosione della scena rave britannica: a Manchester da tutto il paese arrivavano ragazzi pronti a fare festa 24 ore al giorno, in un’atmosfera di euforia collettiva e positività indotta anche dall’uso di droghe sintetiche come l’ecstasy.

Proprio quella sera, sotto effetto dell’anfetamina, Noel conosce il chitarrista degli Inspiral Carpets, un’altra band della scena Madchester. Scopre che il gruppo sta cercando un cantante, e decide di fare un provino. Lo scartano, ma lo prendono come roadie, uno dei tecnici che accompagnano il gruppo in tournée. Negli anni successivi Noel comincia a girare il mondo. Durante uno di questi tour diventa amico di Mark Coyle, un chitarrista e ingegnere del suono che pochi anni dopo sarà decisivo per il destino degli Oasis.

Nel frattempo il giovane Liam scopre un po’ per caso la passione per la musica. Prima si avvicina all’hip-hop, e addirittura fa un po’ di break dance. Ma dopo quel concerto degli Stone Roses nel 1988, conquistato dall’arroganza e dallo stile del frontman della band Ian Brown, ha deciso che vuole fare il cantante.

Nel 1991 Liam entra in un gruppo che si chiama The Rain, in omaggio al lato b di un singolo dei Beatles. Della band fanno parte il chitarrista Paul Arthurs, detto Bonehead, il bassista Paul McGuigan e il batterista Tony McCarroll. Insieme cominciano a lavorare su alcune canzoni. A Liam non piace il nome The Rain e convince gli altri a cambiarlo in Oasis. La parola gli viene probabilmente dal poster di un tour degli Inspiral Carpets appeso nella camera sua e di Noel. Non ha un significato particolare, semplicemente suona bene.

L’11 agosto 1991 gli Oasis fanno il loro primo concerto al Boardwalk, un locale per band emergenti di Manchester. Allo show si presenta anche Noel. Dopo l’esibizione va da Liam, e gli propone di entrare negli Oasis, ma a una sola condizione: sarà lui a scrivere tutte le canzoni. Liam accetta.

Un colpo di fortuna

Noel Gallagher istituisce una ferrea disciplina: si prova cinque giorni a settimana in una saletta nel sottoscala del Boardwalk. Un giorno Noel arriva in sala prove con una canzone nuova, che s’intitola Live forever. Quando la fa ascoltare al resto della band, lo prendono in giro. “È impossibile che sia una tua canzone, è troppo bella”, gli dice Bonehead.

Nel 1992 gli Oasis fanno il loro primo concerto con Noel, ovviamente nel solito locale. Ma il colpo di fortuna decisivo arriva nel maggio del 1993. Nella loro sala prove c’è anche un gruppo femminile, che si chiama Sister Lovers. Le Sister Lovers sono riuscite a farsi ingaggiare per un concerto a Glasgow, in Scozia, in un locale che si chiama King Tut’s Wah Wah Hut. Invitano gli Oasis ad andare con loro. La band affitta un furgoncino per arrivare fino a Glasgow. Però né Noel né Liam guidano, perché non hanno la patente. Quando arrivano al King Tut’s gli Oasis hanno una brutta sorpresa: nessuno li ha inseriti nel programma della serata. Dopo aver insistito, la band convince il proprietario del locale a fargli fare solo quattro pezzi.

Gli Oasis suonano Rock’n’roll star, Bring it on down, Up in the sky e una cover quasi in stile Sex Pistols di I am the warlus dei Beatles. Ad ascoltarli ci sono pochissime persone, ma ce n’è una più importante delle altre. È Alan McGee, il fondatore della Creation, una delle case discografiche indipendenti del Regno Unito, che ha pubblicato album di band come i Primal Scream, i My Bloody Valentine e i Jesus and Mary Chain. McGee rimane colpito dagli Oasis e li convince a firmare con la Creation. E cominciano a lavorare al loro primo disco.

Nel frattempo la scena britannica si sta scuotendo. La rivista Vanity Fair dedica un numero speciale alla nuova swingin’ London, raccontando che ogni anfratto abbandonato della città e ogni fabbrica in disuso stanno per diventare un club, una galleria d’arte o un ristorante alla moda.

Il giornalista, dj e conduttore radiofonico Luca De Gennaro qualche mese fa ha pubblicato Generazione alternativa, un libro molto interessante che racconta come negli anni novanta la musica underground abbia conquistato le classifiche e rivoluzionato il mercato. E ricorda come in quel periodo la voglia di riscossa britannica fosse fortissima.

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I giornalisti delle riviste britanniche s’inventano un termine che tiene insieme tutte le nuove band: british, britannico, e pop. Nasce il britpop. Riviste come Melody Maker, Q e il New Musical Express dedicano copertine ai nuovi eroi della musica. Anche i tabloid scandalistici non parlano d’altro. E si gettano le basi per la rivalità che accenderà gli anni successivi: quella tra Blur e Oasis.

Nel gennaio del 1994 gli Oasis vanno nel sud del Galles per mettere su nastro i brani sotto la supervisione del produttore Dave Batchelor. Le session sono un disastro. A febbraio gli Oasis si spostano in Cornovaglia, nel Sawmills studio, e registrano i pezzi strumentali tutti insieme nella stessa stanza. I feedback delle chitarre sembrano fuori controllo, e si crea una specie di muro di suono. L’essenza del sound degli Oasis stavolta è intatta, ma dare una forma compiuta a quelle registrazioni sembra quasi impossibile.

Nel frattempo il gruppo continua a fare concerti, e comincia a dare prova delle sue intemperanze. A volte gli Oasis sono brillanti e spassosi, altre, soprattutto quando sono fatti o ubriachi, scatenano risse da bar. Il loro primo tour europeo dimostra subito che la disciplina non è il loro punto forte. Un giorno, dopo aver scatenato il caos su un traghetto diretto ad Amsterdam, tutto il gruppo (tranne Noel) viene arrestato. E Liam e Noel diventano famosi soprattutto per i loro litigi continui.

Uno dei più surreali e divertenti di questi battibecchi, che contiene diversi riferimenti anche a questa storia del traghetto, avviene nell’aprile del 1994 nel corso di un’intervista con il giornalista del New Musical Express John Harris, nella quale Liam sostiene che farsi arrestare sia “rock’n’roll”, mentre Noel lo insulta e gli dice di stare zitto. Nel 1995 l’intervista sarà addirittura pubblicata come singolo, con il titolo Wibbling rivalry, rivalità traballante, e arriverà al cinquanteduesimo posto della classifica britannica.

Come spiega il comico e musicista Valerio Lundini, che ho intervistato in un bar di Roma, gli Oasis hanno sempre avuto una capacità innata di maneggiare la comunicazione, di trasformare ogni intervista in qualcosa d’imprevedibile, quasi situazionista.

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Nell’aprile del 1994 la Creation sta per gettare la spugna. Le session fatte finora dal gruppo non sono state convincenti e i soldi per farne altre scarseggiano, anche perché i conti della Creation sono in rosso. A quel punto l’etichetta fa la mossa della disperazione: chiama Owen Morris e gli dà carta bianca, dicendogli “fa’ quel che vuoi con questi nastri”. Morris va a fare il mixaggio a Manchester nello studio di Johnny Marr, proprio il chitarrista degli Smiths che Noel guardava in tv a 16 anni, con l’obiettivo di rendere Definitely maybe più rumoroso possibile. Funziona: finalmente i pezzi suonano bene.

La prima volta

L’11 aprile esce Supersonic. Il brano è stato scritto e registrato in un solo giorno nel dicembre dell’anno precedente. Noel Gallagher sostiene di aver composto la canzone in mezz’ora, inserendo nel testo una serie di frasi nonsense come “mi sento supersonico, dammi del gin tonic” oppure “puoi navigare insieme a me sul mio sottomarino giallo”, citando Yellow submarine dei Beatles, un gruppo per il quale gli Oasis hanno sempre avuto una passione ossessiva. Il comico, presentatore e musicista Francesco Mandelli ricorda molto bene la prima volta che ascoltò Supersonic.

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Il 30 agosto del 1994 la Creation pubblica Definitely maybe. Alan McGee è ottimista, ma la realtà supera perfino le sue aspettative. Diventa l’album d’esordio più venduto nella storia della musica britannica, raggiungendo 86mila copie solo nella prima settimana. I pezzi, grazie a una commistione riuscita tra pop lennoniano, psichedelia (come nell’ottima Columbia), melodie figlie degli Smiths e degli Stone Roses ed echi del punk (nell’aggressivo singolo Bring it on down) conquistano le radio. Sulla sua copertina la rivista The Face definisce gli Oasis i “Sex Beatles”, alludendo al quartetto di Liverpool e ai Sex Pistols. Nei piccoli locali i concerti sono pieni all’inverosimile, e nel giro di un paio d’anni arriveranno anche gli stadi.

Gli Oasis diventano un fenomeno musicale e perfino culturale dominante nel Regno Unito, e conquistano anche il resto d’Europa e parte dell’Asia, però non sfonderanno mai negli Stati Uniti. Ma cosa rende Definitely maybe un disco così riuscito? Sicuramente la musica e le melodie orecchiabili, ma anche il fatto che a distanza di anni resta il ritratto fedele di una gioventù britannica ottimista, sfrontata e a suo modo idealista.

Molto lontano da qui

Nel 2012 Bruce Springsteen tiene un discorso al festival South by Southwest, a Austin, negli Stati Uniti, nel quale racconta il suo amore per la musica e rivela alcune delle sue fonti d’ispirazione. A un certo punto Springsteen parla degli Animals. Dice che sono stati i primi che ha ascoltato ad avere una coscienza di classe. E suona We gotta get out of this place, un pezzo che racconta la storia di un ragazzo della classe operaia statunitense che vuole scappare dal posto dove si trova per cercare nuove opportunità altrove. Come dice Springsteen “è come tutte le canzoni che ho scritto”.

Definitely maybe si apre proprio con una canzone sulla fuga, Rock’n’roll star. Un pezzo che contiene versi che descrivono la dura vita in città, la voglia di rincorrere il successo e soprattutto di prendere una macchina e andare lontano, esattamente come i protagonisti delle canzoni di Springsteen.

Gli Oasis che scrivono Rock’n’roll star somigliano ai protagonisti delle canzoni di Springsteen, ma anche ai rapper che sognano di uscire dal ghetto. Come ha scritto Alex Niven nel suo libro Definitely maybe: “In un’era in cui il cinismo minacciava l’esistenza di una controcultura e di una sinistra mainstream, gli Oasis offrivano un’anomala visione di radicalità positiva. E il fatto che questa fosse indiscutibilmente una visione della working class, fondata sulla solidarietà e la fraternità, era fondamentale”. Gli Oasis, negli anni, hanno portato ai concerti un pubblico non sempre “alternativo”, ma anzi spesso fatto di persone comuni, grazie al fatto che le loro canzoni erano anzitutto degli inni. Non a caso oggi vengono diffuse in molti stadi inglesi. Anche alla reunion della prossima estate, probabilmente, arriveranno spettatori molto eterogenei.

Come ricorda Francesco Mandelli, che era adolescente ai tempi di Definitely maybe, gli Oasis sono stati un mezzo fondamentale per uscire dalla sua monotona vita di provincia a Osnago, in provincia di Lecco.

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A fare la fortuna dell’album è soprattutto un singolo uscito pochi giorni prima del disco: è Live forever, un brano sull’amicizia e la fratellanza, quello che Bonehead pensava non fosse di Noel, che sembra la risposta al nichilismo del grunge. Gli stessi Oasis l’hanno ammesso in un’intervista, riferendosi in particolare al brano I hate myself and want to die dei Nirvana. Un pezzo che, commenta Valerio Lundini, somiglia a un inno.

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Definitely maybe è anche un disco di citazioni, che sembra quasi campionare artisti del passato come facevano i produttori di rap con i campionamenti. Cigarettes & alcohol è costruita sul riff di Bang a gong (Get it on) dei T-Rex. La melodia di Shakermaker ricorda molto da vicino I’d like to teach the world to sing, una canzone che era diventata anche un jingle della Coca-Cola. Forse è anche per questo che Definitely maybe è sembrato da subito un classico, un disco che esisteva già da tempo. E, come aveva fatto il grunge negli Stati Uniti, ha dato in pasto al pubblico più giovane una manciata di nuovi idoli generazionali attorno a cui costruire la propria biografia. Lo fa notare anche Luca De Gennaro.

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A distanza di anni, Definitely maybe continua a essere il testamento degli Oasis, il loro contributo maggiore alla storia del rock. Non ha singoli come Don’t look back in anger o Wonderwall, ma dal punto di vista sonoro e compositivo resta il loro lavoro più convincente. Ed è quello che ha innescato la loro corsa a perdifiato verso il successo, che nel giro di un paio di anni li ha trasformati in star mondiali, prima che i gli eccessi e i contrasti tra i fratelli li trasformassero quasi nella parodia di sé stessi.

A partire dal 1997, dopo il relativo flop del terzo disco Be here now, i fratelli Gallagher hanno perso lucidità e convinzione, trascinando stancamente la band fino al 2009, quando una lite nel backstage del festival Rock in Seine ha convinto Noel Gallagher ad abbandonare il gruppo. Da quel momento gli Oasis sono diventati materia per nostalgici, mentre le due carriere soliste dei fratelli alternavano qualche piccolo guizzo a molti momenti anonimi.

Due storie

Ricordate il biglietto d’addio di Kurt Cobain? Mi è tornato in mente nel 2000, quando ho comprato l’album dal vivo degli Oasis Familiar to millions, registrato a Londra nello stadio di Wembley. In quel disco c’è una cover cantata da Noel Gallagher di Hey hey, my my (Into the black) di Neil Young, la versione elettrica di My my, hey hey: “It’s better to burn out than to fade away”, è meglio bruciare che svanire lentamente. Probabilmente è solo una coincidenza, ma mi ha fatto pensare che forse i primi Oasis e i Nirvana erano più simili di quello che sembrava. E che forse Live forever e Smells like teen spirit sono due facce diverse di una stessa medaglia.

Kurt Cobain, purtroppo, non potrà tornare. Anche gli Oasis, fino a pochi giorni fa, sembravano un retaggio del passato. E invece le cose, con un colpo di scena che ha colto di sorpresa perfino i fan della band, sono cambiate. Una storia, purtroppo, è finita. Un’altra, per fortuna, ricomincia.

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