Il primo ministro più longevo della storia del Giappone, Shinzō Abe, 65 anni, ha annunciato le sue dimissioni il 28 agosto. Riferendosi ai suoi problemi di salute ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa a Tokyo che, “non potendo commettere errori nel prendere decisioni importanti”, non era “in grado di tenere fede al mandato ricevuto dai cittadini”.

Sostenendo di avere “fatto tutto il possibile nel suo incarico da primo ministro”, Abe ha dichiarato di aver bisogno ora “di lottare contro la malattia e di ricevere cure mediche”, poiché non si trova “in uno stato di salute ottimale”. Abe soffre di una malattia cronica, la colite ulcerosa, che aveva messo fine al suo primo mandato da premier nel 2007. Ha dichiarato di aver avuto una ricaduta della sua malattia in giugno e di essersi sottoposto a un nuovo ciclo di cure farmacologiche. Le sue dimissioni mettono fine ai sette anni e otto mesi del suo secondo mandato.

Date le preoccupazioni sanitarie, il calo dell’indice di popolarità di Abe – sceso al 34 per cento – e la crisi del covid-19, quest’anno erano già circolate voci sulle sue possibili dimissioni.

Governo di continuità
Su Abe pesavano anche degli scandali per affari di corruzione, che secondo alcuni sarebbero tra gli altri motivi delle sue dimissioni.

Eppure il suo annuncio è stato una sorpresa. L’indice di borsa Nikkei è sceso del 2,6 per cento a causa delle incertezze connesse a questa decisione. Le prossime elezioni legislative sono previste per il settembre del 2021, perciò sarà di nuovo il partito di maggioranza relativa – il Partito liberaldemocratico (Ldp) di Abe – a scegliere il prossimo primo ministro.

“L’Ldp cambia quasi sempre le sue regole quando deve scegliere il suo leader”, osserva il politologo Koichi Nakano della Sophia university. “In linea di principio, deve comunque esserci una forma di elezione”.

In attesa che l’Ldp faccia la sua scelta, l’incarico di premier spetterà provvisoriamente al segretario di gabinetto Yoshide Suga. Abe non ha designato un successore, ma l’Ldp ha una rosa ragionevolmente ampia di candidati. Anche se, sfortunatamente, sono tutti uomini.

Molto dipenderà dalle modalità con cui sarà scelto il nuovo leader: con un voto interno ai parlamentari, oppure esteso a tutto il partito. Nel primo caso, Yoshihide Suga, 71 anni, sarebbe la scelta più probabile. Nella seconda ipotesi, l’ex ministro della difesa Shigeru Isiba, 63 anni, potrebbe emergere come nuovo leader del Giappone.

Abe lascia un’eredità in chiaroscuro. Nei paesi vicini è visto perlopiù come un nazionalista inveterato

L’eredità politica lasciata da Abe è considerevole. Dopo aver lavorato come segretario di gabinetto del primo ministro Junichiro Koizumi, è diventato a sua volta premier nel 2006, prima di cadere in disgrazia e dimettersi – ufficialmente a causa della colite ulcerosa – nel 2007.

Si è ripresentato più anziano, saggio e scaltro quando ha cominciato il suo secondo incarico al timone del paese, nel dicembre del 2012. La durata di tale mandato ne ha fatto il primo ministro più longevo della storia giapponese.

Sotto molti aspetti il governo di Abe è stato una storia di successo. Dal punto di vista economico la sua “Abenomics” inflazionistica ha permesso al Giappone di superare il “decennio perduto” degli anni novanta. Socialmente il paese può vantare un basso tasso di disoccupazione, una ripartizione egualitaria del reddito, buone infrastrutture, conflitti sociali al minimo, ridotti indici di criminalità e una bassa mortalità legata al covid-19.

Ciononostante Abe lascia un’eredità in chiaroscuro. Nei paesi vicini è visto perlopiù come un nazionalista inveterato, a causa del suo dichiarato revisionismo storico e delle sue scelte volte a rafforzare l’esercito giapponese. Tuttavia, per quanto riguarda commercio e turismo, molte delle sue decisioni al governo sono state di natura internazionalista.

Riforma mancata, insuccessi e pressioni
Lodato da molti per la sua iniziale “Abenomics”, le sue politiche fiscali espansionistiche e la deregolamentazione monetaria hanno sconfitto la deflazione di cui aveva sofferto il Giappone. Tuttavia la sua “terza freccia”, la riforma delle grandi corporation aziendali, non si è mai davvero concretizzata.

Ha conquistato l’incarico di organizzare i giochi olimpici estivi di Tokyo del 2020, ricevendo grandi elogi nel suo paese, salvo poi vedere sfumare durante la pandemia questo sogno da vari miliardi di dollari.

Politicamente sembra aver mantenuto un equilibrio tra il Partito liberaldemocratico al potere e gli elementi d’estrema destra. Di conseguenza sulla scena politica giapponese non è emerso un partito davvero d’estrema destra.

Ci sono stati anche evidenti insuccessi. Abe aveva evocato la “creazione di un Giappone dove le donne possano brillare”, ma secondo la classifica della parità di genere, compilata annualmente dal Forum economico mondiale, nel 2019 il Giappone si è piazzato al centoventunesimo posto su 153 paesi, il peggiore tra le economie del G7.

Abe ha esercitato forti pressioni sui mezzi d’informazione. La televisione di stato Nhk è stata sarcasticamente definita la “tv di Abe” e la posizione del Giappone nella classifica della libertà di stampa è scesa al sessantaseiesimo posto dal ventiduesimo posto in cui si trovava quando è salito al potere.

Per quanto riguarda la principale sfida nazionale del Giappone – il suo declino demografico – si è dimostrato incapace di affrontarla.

Nazionalismo ed esercito rafforzato
Il nonno di Abe, che ha avuto su di lui una profonda influenza, è stato il criminale di guerra Nobuskue Kishi, riabilitato in seguito dagli Stati Uniti e diventato poi primo ministro del Giappone.

Molti in Cina e nelle due Coree – paesi che hanno sofferto a causa del militarismo e imperialismo giapponesi nella prima metà del ventesimo secolo – considerano Abe, alla stregua di suo nonno, un pericoloso nazionalista.

Dal 2013 Abe si è però rifiutato di visitare il controverso Santuario Yasukuni, nonostante lo abbiano fatto, come contentino all’estrema destra, alcuni suoi ministri.

La speranza di Abe, spesso esplicitata, di riscrivere l’articolo nove della costituzione del Giappone – un compito titanico – rendendo possibile un ruolo più ampio e assertivo per le forze di autodifesa (l’esercito) giapponesi, non si è concretizzata.

Tuttavia, durante il suo mandato, ha discretamente coordinato il rafforzamento e l’ampliamento delle forze di autodifesa, e in particolare quelle marittime (la marina) hanno assunto un ruolo decisamente più audace sotto la sua guida, con la creazione di una brigata marina e la conversione di due navi da guerra esistenti in portaerei per caccia f-35 armati.

Compensare i crimini di guerra e le donne di conforto
Abe ha inoltre cercato di risolvere la disputa sulle donne di conforto che da tempo oppone Tokyo e Seoul. Nel 2015 ha raggiunto un accordo per mettervi fine, con una trattativa diretta tra il suo governo e quello sudcoreano di Park Geun-hye, conservatore come lui conservatore.

Nel quadro dell’accordo, Abe ha ufficialmente inserito il suo nome in un’ampia serie di scuse e mea culpa, e ha inviato compensazioni economiche alle donne di conforto sopravvissute. Tuttavia l’accordo è stato di fatto abrogato dal progressista sudcoreano Moon Jae-in, arrivato dopo il governo di Park nel 2017.

Le relazioni tra Seoul e Tokyo sono ulteriormente peggiorate dopo che un tribunale sudcoreano ha sequestrato i beni di alcune aziende giapponesi, come compensazione per le pratiche di lavoro forzato in tempo di guerra. Secondo Tokyo, il trattato di normalizzazione diplomatica del 1965, che ha determinato compensazioni per centinaia di milioni di dollari a favore di Seoul, aveva già risolto tale questione. Nel 2019 Tokyo ha quindi inasprito i termini dei suoi accordi commerciali con la Corea del Sud, che ha risposto facendo lo stesso.

Nonostante vanti un solido rapporto personale con il presidente cinese Xi Jinping, il Giappone continua a temere il suo potente vicino. Il governo di Abe ha offerto modeste somme alle aziende giapponesi affinché si trasferissero fuori della Cina.

Timide aperture
Ma se si escludono i suoi vicini più prossimi, Abe si è costruito una solida immagine d’internazionalista. Il Giappone era stato per decenni un paese mercantilista, mentre Abe è stato fautore di un approccio più globale. Ha sostenuto il Partenariato trans-pacifico, un accordo multilaterale, dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ne è uscito nel 2016. Ha poi firmato un accordo di libero scambio con l’Ue nel 2018 e stava per siglarne uno analogo con il Regno Unito.

Fatto più importante, ha aperto l’economia del Giappone alla manodopera straniera più di quanto abbia fatto qualsiasi altro primo ministro giapponese in passato. Ha anche dato priorità al turismo interno, aumentando con decisione gli arrivi dei visitatori dall’estero, in particolare da Cina e Corea del Sud.

Dal punto di vista strategico, ha rinnovato la cooperazione militare con democrazie affini a quella del Giappone.

Ha legato con più forza il Giappone al suo principale alleato, gli Stati Uniti, e ha investito un importante capitale politico cercando di farsi amico Donald Trump, che però non ha ricambiato.Trump ha richiesto un accordo di libero scambio bilaterale, e ora vorrebbe vedere quintuplicate le spese sostenute da Tokyo per le truppe statunitensi di stanza in Giappone. Vista forse l’incostanza di Trump, Abe ha cercato amici anche in altre direzioni.

Insieme all’accordo bilaterale di libero scambio del 2018, ha firmato un accordo strategico con l’Ue. Durante il suo governo, Tokyo ha inoltre coinvolto alcuni suoi militari in perforazioni all’estero e in alto mare insieme a unità australiane, britanniche, indiane e filippine, oltre che statunitensi.

Abe è stato uno dei primi sostenitori di una strategia “indo-pacifica”, e il suo paese è uno dei principali membri dell’alleanza informale Quad, insieme ad Australia, India e Stati Uniti. Negli ultimi tempi Tokyo ha cercato di rafforzare i legami con la rete di condivisione d’intelligence Five Eyes, tentando di farne parte.

Sempre sotto il suo secondo mandato si è svolta con grande successo la coppa del mondo di rugby nel 2019, ma i suoi sogni multimiliardari legati alle olimpiadi estive del 2020 sono andati in frantumi quando il covid-19 ha determinato il loro rinvio al 2021.

Al centro di molti scandali
Dal punto di vista personale, Abe può vantare la creazione di ottime relazioni con vari leader del mondo, non solo dei paesi alleati. Gli è infatti riconosciuto il merito di aver creato legami d’amicizia con Cina, Iran e Russia.

Sebbene l’ex premier abbia citato i problemi di salute come causa delle sue dimissioni, tra i motivi ci sono anche gli scandali di corruzione e la risposta del suo governo al covid-19.

È frequente che funzionari giapponesi di grado elevato si dimettano e si sottopongano a una “punizione sociale” per evitare processi giudiziari veri e propri, e Abe è al centro di vari scandali. Nel 2019 è stato sospettato di essere coinvolto in un presunto abuso di fondi pubblici, usati per l’organizzazione di una festa per la fioritura dei ciliegi a beneficio di suoi associati e alleati.

Poi, a gennaio, ha cercato di nominare come procuratore generale un suo sodale, una decisione che lo avrebbe messo al riparo dalle accuse. La mossa è fallita dopo una grande campagna di denuncia sui social network.

Quindi, a maggio, seicento avvocati hanno sporto denuncia nei suoi confronti, accusandolo di abuso di fondi pubblici. La magistratura sta indagando su queste accuse, legate alla festa per la fioritura dei ciliegi.

In un altro caso, nel luglio 2019 due alleati di Abe sono stati chiamati in giudizio perché sospettati di aver consegnato bustarelle ad alcuni politici e loro sostenitori a Hiroshima, apparentemente in cambio dei loro tentativi di raccogliere voti per le elezioni della camera alta.

Il processo si è aperto questa settimana, nel giorno in cui Abe si trovava in ospedale per un controllo.

Anche il covid-19 è stato un duro colpo per Abe. A prima vista il Giappone – che nonostante i suoi 126 milioni di abitanti ha avuto appena 66.668 infezioni e 1.226 morti – sembrerebbe aver gestito abilmente la pandemia. Secondo Worldometer il Giappone è al quarantacinquesimo posto – tra i paesi del mondo – come numero d’infezioni, nonostante la sua popolazione sia tra le più anziane, e quindi vulnerabili, del pianeta.

Tuttavia la sua strategia nazionale, con test ridotti al minimo e un confinamento “leggero”, è risultata incomprensibile a molti. Il discutibile tempismo del sostegno di Abe a “Go To Travel”, una campagna promozionale per il turismo interno, si è rivelata un boomerang.

Impietoso è stato il contrasto tra la sua strategia non interventistica a proposito del covid-19 e quella più attiva e prudente della popolare governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, considerata da alcuni come futura leader del paese.

È improbabile che Koike, ex alleata di Abe diventata sua rivale, tragga beneficio dalle sue dimissioni. Per diventare governatrice di Tokyo si è allontanata dall’Ldp ed è difficile che rientri nel partito prima che questo decida chi sarà il suo nuovo leader.

Quanto al futuro personale di Abe, tutto sembra indicare che rimarrà impegnato in politica in qualità di parlamentare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Asia Times.

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