Fino a poco tempo fa Alessandro Orsini era solo un personaggio secondario, uno di quegli esperti intercambiabili – e più o meno seri – che popolano i set dei talk show politici italiani. Dal lunedì alla domenica, dalla mattina presto fino a tarda notte, lo spettacolo non si ferma mai. Per far girare la macchina, quindi, è necessario portare alla ribalta volti nuovi, ma anche personaggi ricorrenti.

Con la sua voce morbida e lo sguardo un po’ sognante da eterno studente, questo professore di 47 anni presso la prestigiosa università privata Luiss di Roma, specialista in “sociologia del terrorismo”, apparteneva già, prima dell’inizio della guerra, alla seconda categoria, nonostante un curriculum cosparso di controversie e polemiche. Ma l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze russe il 24 febbraio gli ha fatto cambiare status, al punto da diventare una vera star.

Come? Spingendosi più in là degli altri su un tema particolarmente delicato: la difesa della politica russa attraverso la denuncia della Nato e di ogni forma di aiuto all’Ucraina, il tutto in nome del non allineamento e del pacifismo. Dallo scoppio della guerra, e più volte al giorno, le sue critiche si sono concentrate su Kiev e su coloro che, cercando di aiutare l’Ucraina, avrebbero prolungato i massacri. Intanto questi continuavano ad aumentare.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj? “Se diventa un ostacolo alla pace, deve essere abbandonato” (La7, 21 marzo). La difesa della democrazia? “Preferisco che i bambini vivano in una dittatura piuttosto che muoiano sotto le bombe in una democrazia” (Rai 3, 5 aprile). Libertà civili in Russia? “Ho colleghi in carcere in Russia, come posso essere solidale con loro: diffondendo la propaganda della Nato? Avrò il dovere morale di aiutarli combattendo contro la propaganda Nato” (La7, 7 aprile).

Imbarazzata dalle esternazioni di questo docente che stava iniziando a rovinare la sua reputazione, la Luiss ha diffuso per la prima volta un comunicato stampa il 4 marzo per ricordare la sua “piena solidarietà con il popolo ucraino” e per dissociarsi dal suo professore. Ma un ennesimo scivolone, il 30 aprile, in cui si spingeva fino a riscrivere le origini della seconda guerra mondiale (“Quando Hitler invase la Polonia non voleva la seconda guerra mondiale. È successo che i paesi europei hanno creato delle alleanze militari, ognuno delle quali conteneva un articolo 5 della Nato”), ha portato l’università a decidere la chiusura definitiva dell’Osservatorio sul terrorismo di cui Alessandro Orsini era a capo. Ora è solo un conferenziere, il che non gli impedisce di continuare ad avvalersi del suo titolo accademico, mentre in tv – dove ovviamente continua a essere invitato – si dipinge come un martire. Il 10 maggio è addirittura salito sul palco del teatro Sala Umberto di Roma per una lettura pubblica, “Ucraina, le cause della guerra”, che ha fatto registrare il tutto esaurito. Il 23 era a Livorno, e dovrebbero seguire altre date, mentre le voci prevedono un imminente ingresso in politica.

Ondata di condanne
Se fosse solo un caso, la parabola del professor Orsini sarebbe solo un’altra dimostrazione degli eccessi della televisione italiana, dove la logica perversa dei talk show spinge le persone a mettere in luce costantemente i punti di vista più caricaturali, fino all’assurdo, con l’obiettivo di fare più rumore della concorrenza. Ma qui niente del genere: certo, Alessandro Orsini ha progressivamente radicalizzato i suoi discorsi, ma sta di fatto che le posizioni apertamente filorusse che esprime sono tutt’altro che isolate in Italia.

Sospetti di corruzione, giornalisti affiliati al Cremlino (tra cui Nadana Fridrikhson, dipendente della televisione Zvezda, di proprietà del ministero della difesa russo) regolarmente invitati, funzionari russi che parlano senza un vero contraddittorio… La tv italiana, dall’inizio del guerra, si è mostrata particolarmente accogliente nei confronti dei portabandiera della propaganda di Mosca.

Il 2 maggio durante il programma Zona bianca il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha potuto denunciare il “nazismo” ucraino. E quando il conduttore, Giuseppe Brindisi, gli ha obiettato che il presidente ucraino Zelenskyj era lui stesso di origine ebraica, ha potuto tranquillamente affermare: “Anche Hitler aveva origini ebraiche, questo non significa nulla”. Lo stesso Vladimir Putin ha poi chiamato il premier israeliano per scusarsi di queste parole fuori luogo, trasmesse in Italia senza la minima replica.

In onda su Rete 4, canale del gruppo Mediaset, quindi di proprietà dell’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che non ha mai nascosto la sua amicizia con Vladimir Putin, l’intervista a Lavrov ha suscitato un’ondata di condanne. Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha parlato di “insopportabile spot propagandistico”, mentre la Commissione parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir) ha avviato un’indagine sui sospetti di infiltrazione russa nel sistema audiovisivo italiano.

Certo, ora il professor Orsini si è fatto un po’ più discreto e i funzionari russi sono più rari, ma il motivetto filorusso non ha smesso di suonare, tanto più che incontra indiscutibilmente una certa eco nell’opinione pubblica. Il 15 maggio, durante la trasmissione Non è l’arena (su La7), quando il conduttore Massimo Giletti ha chiesto al giornalista russo Dmitrij Kulikov: “Ma voi russi siete ospiti solo della televisione italiana?” , lui ha risposto senza la minima esitazione: “Sì”.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è stato pubblicato da Le Monde.

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