Il 4 gennaio la giustizia britannica ha respinto la richiesta di estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Secondo Vanessa Baraitser, giudice del tribunale penale di Londra, le condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposto il fondatore di WikiLeaks sono incompatibili con i suoi problemi psicologici .

“Le condizioni mentali di Julian Assange sono tali che sarebbe inappropriato estradarlo negli Stati Uniti”, ha dichiarato la giudice.

Baraitser ha ricordato i numerosi rapporti psichiatrici che hanno diagnosticato ad Assange la sindone di Asperger e una “grave depressione” causata dagli anni di reclusione. Assange è rimasto nell’ambasciata ecuadoriana di Londra tra il 2012 e l’aprile del 2019, quando è stato portato nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh.

All’interno della struttura Assange è stato messo in regime di isolamento, e il suo stato di salute è nettamente peggiorato. Nel novembre del 2019 Nils Melzer, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la tortura, aveva fatto visita al detenuto e aveva spiegato che Assange presentava “tutti i sintomi tipici di un’esposizione prolungata alla tortura psicologica”.

Il giornalista è stato inserito nella lista di detenuti che manifestavano un “rischio di suicidio”, ha spiegato Baraitser. Come è stato ricordato durante le udienze che si sono svolte per quattro settimane nel mese di ottobre, una “mezza lama di rasoio” è stata rinvenuta tra gli effetti personali del fondatore di WikiLeaks, prima di essere confiscata.

Difesa smontata
La giudice ha sottolineato che Assange ha “pensieri suicidi e autolesionisti” e prende diversi farmaci antidepressivi e antipsicotici. Nonostante le cure, il rischio che Assange elabori “un piano suicida” è “assolutamente concreto”. Baraitser ha ricordato che alcuni psichiatri della struttura hanno notato in Assange la capacità di “dissimulare i pensieri suicidi”.

Durante le quattro settimane di udienza, la difesa aveva presentato molte argomentazioni per chiedere di respingere la richiesta di estradizione. Gli Stati Uniti vorrebbero processare Assange per aver deciso di diffondere documenti riservati, tra cui quelli ricevuti da Chelsea Manning che descrivevano i crimini commessi dai soldati statunitensi in Iraq e Afganistan.

Motivando il suo verdetto, Baraitser ha confutato quasi tutte le tesi della difesa. In modo particolare, la giudice non ha riconosciuto il carattere giornalistico delle attività di Assange, considerandole potenzialmente criminali. Riprendendo quasi integralmente il testo dell’atto di accusa statunitense, Baraitser ha rimproverato il fondatore di WikiLeaks di aver proposto a Manning di aiutarla a trovare una password e di aver provato “per mesi” a convincerla a procurargli nuovi documenti.

Inoltre la giudice non ha voluto accettare la tesi della difesa secondo cui Assange rischierebbe “un processo politico” negli Stati Uniti. Baraitser ha dichiarato di non aver “trovato nessuna prova di una volontà della giustizia americana di punire Assange nel modo più severo possibile”.

Secondo Baraitser, le disposizioni contenute nella costituzione degli Stati Uniti sono sufficienti a garantire ad Assange il diritto a un “giusto processo”. La giudice si è detta convinta che “i diritti costituzionali di Assange sarebbero pienamente rispettati”.

La giudice ha dato ragione alla difesa solo su un punto: le condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposto Assange negli Stati Uniti

Inoltre non ha voluto prendere in considerazione le accuse di violazioni dei diritti della difesa che sarebbero state commesse nel quadro della sorveglianza a cui è stato sottoposto Assange durante il soggiorno nell’ambasciata ecuadoriana. Come riferito da Mediapart, per diversi mesi tutti i movimenti del giornalista sono stati spiati, mentre le sue conversazioni sono state registrate illegalmente da una società spagnola che lavora per un cliente statunitense. Nonostante i numerosi documenti già pubblicati e un’inchiesta aperta dalla giustizia spagnola, Baraitser ha concluso che si tratta di “prove incomplete” che non possono essere prese in considerazione.

In definitiva, la giudice ha dato ragione alla difesa solo su un punto: le condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposto Assange negli Stati Uniti. Durante le udienze diversi esperti hanno garantito alla corte che i prigionieri detenuti per reati legati alla sicurezze nazionale vengono sistematicamente sottoposti a una serie di misure. In attesa del processo vengono ospitati nel centro di detenzione di Alexandria, mentre dopo la condanna vengono trasferiti nell’Adx, la prigione di massima sicurezza di Florence, in Colorado.

All’interno dei due istituti Assange sarebbe sottoposto a “misure amministrative speciali” particolarmente severe. I prigionieri sono tenuti in isolamento stretto, non possono rivolgere la parola agli altri detenuti e hanno un accesso molto limitato alle visite e al telefono.

Nell’udienza del 28 settembre 2020 l’avvocato statunitense Yancey Ellis ha descritto le condizioni nel carcere di Alexandria: celle minuscole e quasi vuote, provviste solo di una finestra in plexiglass che non può essere aperta; la porta della cella ha un’apertura attraverso la quale passano i vassoi con i pasti, e che viene immediatamente chiusa dopo la consegna per evitare qualsiasi comunicazione tra i detenuti.

“Il prigioniero resta lì a girarsi i pollici. Ha un certo accesso alla lettura, ma alla fine dei conti il suo mondo si riduce ai quattro angoli di quella piccola stanza”, ha confermato Joel Sickler, consulente penitenziario statunitense e uno dei testimoni portati dalla difesa. Se Assange venisse posto in isolamento “non avrebbe nessuna interazione sociale significativa. Anche se gridasse nessuno potrebbe sentirlo”, ha aggiunto Sickler. Inoltre, secondo Yancey Ellis l’accesso alle cure psichiatriche per i detenuti sottoposti a “misure amministrative speciali” è “molto limitato”. Alcuni detenuti, per esempio, non incontrano il loro psichiatra per settimane. Quando un detenuto manifesta comportamenti suicidi, i secondini lo costringono a indossare un abito speciale che gli impedisce di ferirsi.

Vanessa Baraitser ha ammesso che esiste “un rischio concreto” che Assange venga sottoposto a un simile trattamento a causa dell’importanza delle “informazioni riservate” da lui pubblicate. Questo timore è rafforzato da diverse dichiarazioni di funzionari statunitensi citate dal magistrato, tra cui quella dell’attuale segretario di stato americano Mike Pompeo, che nell’aprile del 2017, quando era direttore della Cia, aveva definito WikiLeaks un “servizio d’informazioni ostile”.

Prima di respingere la richiesta di estradizione, il giudice ha sottolineato che le condizioni detentive descritte dagli esperti avrebbero “un impatto deleterio sulla salute mentale di Assange”.

“Oggi è una vittoria per Julian Assange”, ha dichiaro fuori dal tribunale Stella Morris, compagna del giornalista. “Questa vittoria è il primo passo verso la giustizia in questa vicenda. Siamo soddisfatti perché la corte ha riconosciuto il trattamento inumano a cui è stato sottoposto e quello che rischia di subire, ma non dimentichiamo che negli Stati Uniti l’accusa non è stata ritirata. Siamo estremamente preoccupati dalla possibilità che il governo degli Stati Uniti presenti appello e cerchi di punire Julian facendolo scomparire in un buco senza uscita del sistema penitenziario americano”.

“Che sia la fine”, ha scritto su Twitter l’attivista Edward Snowden, mentre il giornalista Glenn Greenwald ha sottolineato l’ambiguità della sentenza. “Non è una vittoria della libertà di stampa. Al contrario, il giudice ha detto chiaramente di credere che ci siano motivi per perseguire Assange per la pubblicazione dei documenti”, ha scritto Greenwald su Twitter.

Gli Stati Uniti hanno quindici giorni di tempo per presentare appello. Una nuova udienza è stata fissata per mercoledì 6 gennaio per discutere un’eventuale libertà provvisoria per Assange. Nel frattempo il fondatore di WikiLeaks resta in stato di detenzione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul sito d’informazione Mediapart.

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