Spesso le persone in città scelgono in che modo spostarsi in base al tempo che ci vorrà per il tragitto. Negli ultimi anni app di navigazione come Google maps o CityMapper hanno consentito alle persone di scegliere tra diverse modalità di trasporto mostrando quale le farà arrivare più velocemente a destinazione.
Naturalmente per molto tempo le città hanno dedicato una quantità sproporzionata di spazio alle automobili. Anche se in alcune parti del nord del mondo – e tra alcune fasce d’età – l’uso dell’auto sta diminuendo, in altre zone sta aumentando, com’era prevedibile.
In un recente studio abbiamo provato a immaginare cosa accadrebbe ai tempi medi necessari agli spostamenti in una città se le persone avessero solo due opzioni – utilizzare la macchina o un’altra modalità di trasporto – e se agissero soltanto in base al loro interesse (arrivare a destinazione il più rapidamente possibile).
Volevamo capire come andrebbero le cose se tutti agissero in modo egoistico. Ci siamo chiesti cosa sarebbe venuto fuori dal confronto tra questa situazione e una in cui le persone scelgono la modalità più adatta a diminuire i tempi di percorrenza non soltanto per se stesse ma per la società nel suo complesso.
Spazi urbani
Grazie alla creazione di un modello matematico abbiamo scoperto che in presenza di un sistema in cui è relativamente poco costoso spostarsi in macchina e il traffico si ripercuote anche su chi non usa la macchina (ciclisti, utenti dei mezzi pubblici, pedoni, ecc.), se tutti i viaggiatori si comportassero in modo egoistico finiremmo per impiegarci tutti più tempo per arrivare a destinazione, a prescindere dal fatto che guidiamo o meno un’auto.
Le strade urbane sono spesso progettate per rendere gli spostamenti in automobile più veloci ed efficienti. E nonostante un aumento in tutto il mondo delle infrastrutture per gli spostamenti in bicicletta e una crescente soddisfazione tra chi usa le due ruote per i suoi spostamenti, è ancora molto comune vedere piste ciclabili molto strette e sconnesse tra loro. Il risultato è un aumento del traffico provocato dalle automobili private che ha un impatto anche sui tempi di percorrenza di chi usa la bicicletta.
Le carreggiate miste, quelle cioè che possono essere utilizzate sia dalle auto private sia dagli autobus pubblici, al contrario delle corsie preferenziali, hanno lo stesso effetto: il traffico automobilistico ha un impatto anche sugli utenti dei mezzi pubblici. Senza un’infrastruttura adeguata, dunque, non ci sono incentivi a utilizzare i mezzi di trasporto pubblici o le opzioni di trasporto attivo, per esempio andando in bici o a piedi.
E anche quando è presente una rete di piste ciclabili o corsie preferenziali per gli autobus, se queste incrociano o condividono a intermittenza lo spazio con il sistema stradale generale, tutti gli spostamenti si rallentano. Questo rende l’intero sistema meno efficiente.
Analogamente, anche il parcheggio gratuito per i veicoli privati dà come risultato tempi di percorrenza più lunghi per tutti, compreso chi non usa la macchina, perché negano ai singoli i benefici derivanti dal non utilizzo dell’auto, se gli altri continuano a farlo.
Abbiamo scoperto che questo comportamento egoista con infrastrutture così inadeguate dà naturalmente come risultato una quantità maggiore di automobili, più traffico e tempi di percorrenza più lunghi. Se l’utilizzo dell’automobile continua a essere l’opzione più facile e veloce (a livello individuale), la gente continuerà a usare le macchine e le città continueranno a essere congestionate. Se cerchiamo di vincere come individui, perdiamo tutti.
Priorità in conflitto
Un’alternativa è progettare reti di trasporti più collaborative in cui tutti noi accettiamo un po’ di ritardo personale per ottenere una distribuzione che risulti migliore per la società. Potremmo per esempio includere nelle app che utilizziamo non solo il costo personale ma anche quello sociale delle nostre scelte. Cosa succederebbe se Google maps vi dicesse non solo dove si trova il traffico in tempo reale e quale sarebbe il mezzo di trasporto più veloce che potreste scegliere in quanto individui, ma quale modalità di trasporto offrirebbe i risultati migliori per il vostro quartiere, la vostra famiglia, i vostri colleghi o la vostra città?
La ricerca ha dimostrato quanto sia difficile però modificare le abitudini dei pendolari. Sottolinea anche l’opposizione dell’opinione pubblica a misure alternative come l’introduzione di limiti di velocità per far diminuire gli incidenti stradali, anche se questi provvedimenti contribuiscono a salvare vite umane.
Potrebbe essere quindi difficile convincere alcuni automobilisti a sacrificare l’efficienza personale per il bene comune. Potremmo però iniziare almeno a rendere espliciti questi compromessi.
Il trasporto privato motorizzato minaccia la sostenibilità di una città con una molteplicità di effetti negativi, non ultimo quello sul benessere e la salute dei suoi cittadini. Contribuisce all’inquinamento dell’aria e al cambiamento climatico a causa degli scarichi dei veicoli, provoca incidenti stradali e incentiva uno stile di vita sedentario.
Per incoraggiare le persone a usare alternative più sostenibili al trasporto in auto, alle città servono politiche forti che disincentivino le persone dall’utilizzo della macchina. Abbiamo visto per esempio la creazione di quartieri a basso traffico e l’introduzione di tariffe per il traffico che cercano di costringere gli automobilisti a pagare per il traffico che stanno creando.
Altrove sono stati messi in pratica dei sistemi per indurre le persone a scegliere determinate modalità di trasporto, ad esempio con piste sicure per i ciclisti, che di solito danno risultati migliori dal punto di vista ambientale e sociale. Questi sistemi mettono l’accento sui comportamenti individuali prendendo però di mira i costi sociali per chi ne é maggiormente responsabile.
In teoria dovremmo mettere in campo misure che ci aiutino ad agire nell’interesse della nostra comunità. Nel frattempo, politiche che spingano le persone a non usare le loro automobili private potrebbero portarci più vicini a ciò che sarebbe ottimale per la collettività, anche se tutti noi continuiamo ad agire nel nostro interesse.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato da The Conversation.
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