La guerra di Putin e l’ambiguità di Pechino
No, l’Ucraina non è Taiwan, l’invasione russa non spingerà la Cina ad accelerare verso la riunificazione forzata dell’“isola ribelle” e per Pechino la crisi in corso è tutt’altro che vantaggiosa. Eppure in molti, abbracciando la tesi diffusa a Washington in ambienti bipartisan, hanno subito individuato un fronte russo-cinese compatto e contrapposto a quello democratico nel “nuovo ordine mondiale” che ha cominciato a delinearsi con l’invasione russa dell’Ucraina. La realtà è più complessa della narrazione semplicistica, e a tratti apocalittica (sì, più passano i giorni più gli scenari apocalittici sembrano plausibili, ma resistiamo alla tentazione), proposta da alcuni analisti senza tener conto di diversi fattori fondamentali.
Innanzitutto le relazioni tra Cina e Russia, che gli esperti di Cina preferiscono chiamare “partnership” più che “alleanza” e che, nonostante la “cooperazione senza limiti” annunciata da Vladimir Putin e Xi Jinping a Pechino il 4 febbraio, giornata inaugurale delle Olimpiadi invernali, si regge più che altro su una comunione ideologica da stati autoritari che li contrappone all’occidente. “Di fronte alle crescenti pressioni da parte dei paesi democratici in giro per il mondo, la Cina ha deciso di avvicinarsi alla Russia”, scrive Chauncey Jung. Ma che al di là delle photo opportunity e delle dichiarazioni ufficiali non ci sia un rapporto così saldo lo dimostra il fatto che Pechino è stata presa alla sprovvista dall’attacco russo all’Ucraina, esattamente come il resto del mondo. Anche se oggi, parlando con la stampa a margine del Liang hui (le due sessioni, appuntamento annuale dei due organi legislativi cinesi), il ministro degli esteri Wang Yi ha detto che i rapporti della Cina con Mosca (“il nostro partner strategico più importante”) sono “solidi come la roccia” e “non saranno influenzati da terzi”, è indubbio che l’atteggiamento di Putin stia mettendo in difficoltà Pechino e i suoi interessi.
Secondo “fonti d’intelligence occidentali” sentite dal New York Times, la Cina sapeva e avrebbe chiesto esplicitamente di rimandare l’attacco a Olimpiadi concluse. Il Nyt specifica che non si sa a che livello sia avvenuta la comunicazione (non necessariamente a quello più alto), ma, se fosse, è plausibile immaginare che i cinesi si aspettassero un’operazione lampo e non un’aggressione di tale portata. Lo dimostra per esempio il fatto che Pechino non abbia evacuato per tempo i suoi cittadini e che la sua ambasciata a Kiev in un primo momento abbia consigliato ai cinesi in Ucraina di girare con la bandiera nazionale sulla macchina per farsi riconoscere, e poi abbia fatto dietrofront raccomandando l’esatto contrario. Non è escluso, scrive Yun Sun dello Stimson Center in un’analisi molto citata in questi giorni, che la Russia abbia in un certo senso preso in giro la Cina, ottenendo nella dichiarazione congiunta del 4 febbraio il suo sostegno per le preoccupazioni legate all’espansione della Nato, sostegno che Mosca ha arbitrariamente allargato all’invasione lanciata il 24 febbraio mettendo Pechino davanti al fatto compiuto.
Il riconoscimento da parte di Mosca delle due repubbliche del Donbass non può che suonare sinistro a Pechino
Ma le dichiarazioni contraddittorie rilasciate dalle autorità cinesi da quando è cominciata l’aggressione all’Ucraina dimostrano la difficoltà in cui si trova Pechino: non vuole lo strappo con Mosca ma non le conviene nemmeno essere associata alla folle guerra di Putin, preoccupata com’è di apparire come potenza responsabile; ha criticato la Nato per l’allargamento a est, ma ha ribadito il dovere di rispettare la sovranità degli stati; ha votato contro le sanzioni per punire la Russia, ma poi nei fatti ci si è dovuta adeguare per non subire danni; si è astenuta dal condannare l’aggressione russa al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma non ha votato contro insieme alla Russia. Sono tutti segnali che indicano il disagio cinese di fronte alla situazione. Senza contare l’importanza dell’Ucraina per la Belt and road initiative (o Nuova via della seta).
Quanto alla tesi che l’invasione dell’Ucraina possa servire alla Cina per vedere la reazione degli Stati Uniti e magari replicare con Taiwan, non tiene conto innanzitutto del rapporto speciale che lega Washington a Taipei e che, in caso di aggressione cinese all’isola, porterebbe gli Stati Uniti ad agire con più decisione di quanto stiano facendo con la Russia. Con Taiwan c’è un legame ideologico (è il vessillo della democrazia nella sinosfera), strategico (Stati Uniti e Taiwan hanno una “partnership sulla sicurezza” in base a cui i primi non sono obbligati a intervenire in caso di attacco cinese contro Taipei, ma garantiscono all’isola la fornitura di armi necessaria a difendersi) ed economico (Taiwan è il primo produttore al mondo di semiconduttori, merce fondamentale per le forniture globali), e Pechino lo sa bene. Gli stessi taiwanesi, per quanto preoccupati perché in quel che succede in Europa vedono il riflesso di un loro possibile futuro, hanno liquidato il paragone tra l’Ucraina e Taiwan come inappropriato. C’è poi da dire che il riconoscimento da parte di Mosca delle due repubbliche del Donbass autoproclamatesi indipendenti non può che suonare sinistro a Pechino, che tanto si dà da fare per reprimere le aspirazioni autonomiste entro i suoi confini (Xinjiang, Tibet, Hong Kong).
Come ne uscirà la Cina? Per ora continua a mantenere una posizione ambigua, apparentemente incapace di trovare una soluzione senza perdere la faccia. Secondo Wang Xiangwei, editorialista ed ex direttore del South China Morning Post (una volta fonte autorevole di Hong Kong in inglese, oggi sempre di più su posizioni filocinesi), è ora che la Cina cambi copione e si proponga nel ruolo di mediatrice. Se ci riuscisse, migliorerebbe decisamente la sua statura internazionale e si creerebbe una reputazione di potenza responsabile. Ma Pechino sarebbe in grado di sostenere un ruolo simile? Difficile dirlo. La maggior parte degli analisti sottolinea la mancanza di esperienza della Cina in merito, e le passate mediazioni con la Corea del Nord non sono paragonabili al tipo di azioni necessarie a risolvere la crisi attuale. Inoltre, l’atteggiamento avuto finora nei confronti della Russia non la rende un attore molto credibile agli occhi dei paesi occidentali. Nella conferenza stampa di oggi, Wang Yi ha detto che “la Cina è pronta a fare da mediatrice insieme alla comunità internazionale”, un modo per mantenere una posizione prudente.
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