“Se sentite le sirene tenete gli occhi aperti e cercate immediatamente un riparo. Se non riuscite a trovarlo, sdraiatevi subito a terra, non fate foto ed evitate i grandi spazi vuoti”. Sono le raccomandazioni che l’ambasciata tailandese a Tel Aviv ha inviato ai suoi cittadini il 7 ottobre, poco dopo che Hamas ha sferrato l’attacco contro Israele da Gaza, uccidendo e rapendo centinaia di persone.
Tra le vittime dell’assalto del gruppo islamista ci sono anche 21 tailandesi, e sembra che altri 14 siano stati presi in ostaggio. Non si tratta di persone con la doppia cittadinanza, come la maggior parte delle vittime arrivate in Israele dal Nordamerica o dall’Europa, ma di braccianti arrivati nel paese mediorientale per lavorare nel settore agricolo e in quello delle costruzioni.
“Negli ultimi dieci anni la Thailandia ha dominato il mercato dei lavoratori immigrati impiegati nell’agricoltura israeliana”, spiega Human rights watch alla Cnn. Nel 2020 Bangkok e Tel Aviv hanno firmato un accordo e oggi si stima siano almeno 30mila i tailandesi che lavorano, sfruttati e sottopagati, in varie aziende agricole remote e zone desertiche in tutto il paese, incluse le aree vicino alla Striscia di Gaza, dove pare ce ne fossero circa cinquemila.
I tailandesi non sono gli unici lavoratori asiatici che si sono ritrovati sotto attacco a migliaia di chilometri dalle loro case e dalle famiglie a cui mandavano le rimesse. Tra le vittime ci sono anche filippini, nepalesi e cinesi.
La manodopera straniera ha cominciato a prendere il posto dei palestinesi negli anni novanta, quando questi ultimi, dopo una serie di attentati contro Israele, non erano più i benvenuti, spiega Assia Ladizhinskaya, una cooperante che si occupa di diritti dei lavoratori.
Kiattisak Patee, 34 anni, si era trasferito in Israele da quattro anni e mezzo e lavorava in un kibbutz. A luglio aveva postato su Facebook un selfie in un allevamento di polli. Pare che sia tra i 14 suoi connazionali rapiti da Hamas.
Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.
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