Il 2023 è stato l’anno in cui le famiglie sudcoreane hanno speso di più per mandare i figli agli hagwon, i doposcuola privati. Pagando l’equivalente di 19 milioni di euro, il 4,5 per cento in più rispetto all’anno precedente, hanno sacrificato sull’altare della competizione sfrenata la felicità di bambine e ragazzi costretti a chinare la testa sui libri ben oltre l’orario scolastico.

Secondo un rapporto pubblicato nel 2021 dall’Istituto coreano per il dipartimento educativo, la principale ragione per cui i genitori sudcoreani scelgono l’istruzione privata è “per superare gli altri”. Certe famiglie con reddito basso spendono per i doposcuola tanto quanto per mangiare, ma è una forma d’investimento: se i figli riusciranno a entrare nelle università giuste troveranno poi un impiego ben remunerato e i sacrifici fatti oggi daranno i loro frutti.

La preparazione per un futuro sicuro e brillante comincia subito, e l’86 per cento degli alunni delle elementari frequenta un hagwon per 7 ore e mezza alla settimana. Gli alunni delle medie e quelli delle superiori un po’ meno (rispettivamente 7,4 e 6,7 ore settimanali), ma questi dati non tengono conto delle lezioni clandestine, che durano oltre le 22, l’orario consentito dalla legge.

Anni fa il governo aveva cominciato a fare retate notturne nelle sedi degli hagwon, scovando insegnanti e studenti con indosso ancora l’uniforme scolastica. Il business dei doposcuola privati è così fiorente che alla borsa di Seoul sono quotate 31 aziende nella categoria istruzione, e dodici hanno come principale fonte di reddito l’istruzione privata.

Il costo eccessivo delle lezioni nei doposcuola è spesso citato come uno dei fattori alla base del tasso di fecondità più basso del mondo, un record negativo che la Corea del Sud detiene ormai da un ventennio. Per questo il governo di Seoul cerca di correre ai ripari, anche se con misure puntuali e mirate che hanno scarso effetto in mancanza di una più ampia riforma del sistema.

“Tanta competizione farà bene alla società?”, si è chiesta la giornalista della Zeit Cathrin Schmiegel dopo aver seguito per cinque mesi una studente di 17 anni che si preparava per il suneung, il temutissimo esame di stato il cui risultato determina a quali università si può accedere e, di conseguenza, a che tipo di professione e vita si può aspirare.

Il racconto di Schmiegel, che pubblichiamo nell’ultimo numero di Internazionale, dà l’idea del sacrificio a cui i ragazzi e le loro famiglie si sottopongono, perdendo gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in nome di un futuro per niente assicurato. La gara, infatti, è spietata e non è detto che tante rinunce saranno poi ripagate.

Ogni anno a novembre il suneung tiene l’intero paese con il fiato sospeso, scrive Schmiegel: “Per evitare che i pendolari intasino treni e strade, l’inizio della giornata lavorativa viene posticipato di un’ora; per 35 minuti, mentre si svolge l’esame d’inglese, nessun aereo atterra o decolla per assicurare che non vada persa neanche una parola della sessione di ascolto e comprensione. Oggi si stabilisce quali sogni potranno realizzarsi e quali no”.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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