Cosa vorrebbe fare da grande Park Seo-yeon? Lei risponde raccontando il suo sogno, un sogno grande dai contorni ancora un po’ vaghi. A volte si vede lavorare come interprete agli incontri diplomatici, altre come addetta al metal detector dell’aeroporto, altre ancora come operatrice di una ong. Del resto Seo-yeon ha 17 anni e a quell’età il futuro è ancora avvolto nella nebbia. C’è solo una cosa di cui si dice certa: prima o poi vorrebbe andare a vivere all’estero, in Thailandia.

Sarà il suo premio per tutte le sere passate a prendere lezioni private e per tutte le nottate alla scrivania nella sua cameretta, per tutti i calcoli svolti, per tutto quello che ha dovuto imparare a memoria e per la tenacia con cui si è battuta per essere ammessa all’università di studi stranieri Hankuk di Seoul, in Corea del Sud, a tre ore e mezzo di treno da Gimhae, la sua città. Anche se non è propriamente un’università d’élite, la Hankuk è comunque tra le più prestigiose, e poi è a Seoul. Tantissimi giovani vorrebbero fare l’università nella capitale: in Corea del Sud una laurea presa lì vale di più.

Park Seo-yeon nella sua stanza a Gimhae, Corea del Sud, 5 gennaio 2024 (Tina Hsu)

Seo-yeon ci tiene proprio tantissimo a essere ammessa alla facoltà di linguistica tailandese e sembra anche avere buone possibilità. Non è esagerato dire che ha passato tutta la vita a prepararsi per questo giovedì mattina di metà novembre in cui, poco dopo le sette, tante piccole berline affollano il viale d’accesso della scuola superiore femminile pubblica di Gimhae. Armato di paletta luminosa, un bidello indica agli automobilisti immersi nella nebbia la strada da seguire. Poi le portiere si aprono e i genitori abbracciano le ragazze sussurrando le ultime parole di incoraggiamento prima che s’incamminino verso la scuola andando incontro all’alba grigia.

Appena mi vedono, i genitori di Seo-yeon, che hanno accompagnato la figlia a scuola, mi vengono incontro, il padre con piglio energico e la madre in stato di evidente agitazione. Seo-yeon avanza nel mezzo, sguardo a terra, sneakers bianche e passo spedito. Gli ultimi mesi li ha passati tutti sui libri, dormendo solo quattro ore a notte, e ora non può proprio distrarsi: se si ferma è perduta. Saluta di sfuggita mentre si affretta verso il portone dove si ferma a guardare la bacheca per capire in che aula andare.

Sei materie e 357 minuti di concentrazione, più 120 minuti di pausa in tutto. Otto ore senza neanche un secondo di troppo per lasciarsi prendere dal panico. In questo giorno in Corea del Sud 444.870 studenti sosterranno l’esame di stato, chiamato suneung, che serve per l’ammissione all’università. E oggi, per un momento, mezzo paese si blocca: per evitare che i pendolari intasino treni e strade, l’inizio della giornata lavorativa viene posticipato di un’ora; per 35 minuti, mentre si svolge l’esame d’inglese, nessun aereo atterra o decolla per assicurare che non vada persa neanche una parola della sessione di ascolto e comprensione. Oggi si stabilisce quali sogni potranno realizzarsi e quali no.

Questo reportage potrebbe essere dedicato a uno qualsiasi di questi ragazzi: Park Seo-yeon a scuola non va né particolarmente bene né particolarmente male, per tanti aspetti è una normalissima ragazza sudcoreana. Eppure, ha chiesto di non usare il suo vero nome: Park Seo-yeon è uno pseudonimo. Ha paura che se qualcuno, cercando il suo nome su internet, dovesse scovare questo articolo, potrebbe metterla in difficoltà con futuri datori di lavoro o simili: il fatto che sia un articolo in lingua straniera pubblicato in un altro continente cambia poco.

La Corea del Sud è un paese confuciano: basta poco per essere accusati di volersi mettere in mostra. Ma la Corea del Sud è anche un paese dove a scuola tutto gira intorno alla competizione. Al suneung non si ottengono i classici voti, ma una sorta di classificazione su nove livelli. A contare è quasi solo il posizionamento in relazione agli altri candidati: si classificherà al primo livello il 4 per cento dei migliori, il 7 per cento successivo si classificherà al secondo livello e così via. Per essere ammessa all’università Hankuk, Seo-yeon dovrà rientrare almeno nel secondo livello. Insomma: essere bravi non basta. Bisogna anche essere più bravi della maggior parte degli altri.

All’inizio del dicembre 2023, poche settimane dopo il suneung, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha pubblicato la sua ultima indagine Pisa, condotta sui quindicenni di 81 paesi. Mentre in Germania i mezzi d’informazione titolavano “nuovo rapporto shock” riferendosi al drammatico calo del rendimento scolastico, in Corea del Sud hanno potuto orgogliosamente annunciare che il paese si classifica tra i top-performer globali, secondo a Singapore ma superiore alla maggior parte degli altri partecipanti: primo livello della classifica insomma. In più, rispetto alla precedente indagine, il rendimento dei sudcoreani è molto migliorato.

Seo-yeon ha già varcato la soglia quando la madre le sussurra: “Seo-yeon! Hwaiting!”, “Seo-yeon! Combatti!”. La ragazza scompare all’interno dell’edificio.

Poliziotti aspettano le studenti davanti alla scuola superiore femminile di lingue straniere Ehwa il giorno dell’esame. Seoul, Corea del Sud, 16 novembre 2023 (Anthony Wallace, Afp/Getty)

Luglio 2023 127 giorni allesame

Nell’ora di pausa pranzo Seo-yeon ci aspetta davanti al portone della scuola in maglietta bianca, pantaloni neri e sneakers bianche: non indossa l’uniforme scolastica, che in teoria è obbligatoria. “La mettiamo solo per venire a scuola: appena arrivate ci cambiamo”, spiega. Le ragazze hanno ottenuto una piccola vittoria: non rispettano quest’obbligo e gli insegnanti chiudono un occhio.

Seo-yeon ci invita a entrare nella scuola, centro della sua vita e dei suoi pensieri. Dal disadorno edificio principale di mattoni rossi partono tre ali in cemento. Seo-yeon apre una porta a vetri e ci porge delle pantofole prese da uno scaffale: bisogna levarsi le scarpe. Per prima cosa ci porta in palestra: un gruppetto di ragazze e insegnanti trascorre la pausa pranzo giocando a badminton. La maggior parte delle ragazze frequenta le classi inferiori: “Loro possono pensare solo a divertirsi”, spiega Seo-yeon come se fosse qualcosa di insolito. Ora che manca poco al suneung, lei a ricreazione non va mai in palestra. A volte si ferma a chiacchierare con le amiche, ma in genere resta sola a studiare. Perché non lo fa insieme alle altre? “Non servirebbe a niente”, risponde Seo-yeon, “siamo tutte a livelli diversi”. Sei anni di elementari, tre di scuola secondaria inferiore e tre anni di scuola superiore, paragonabili a un triennio del liceo: studiare per Seo-yeon non sembra essere un peso che si può alleggerire condividendolo; al contrario, studiare con le altre sarebbe un peso in più.

Proseguiamo verso la mensa con sedie color verde fosforescente disposte intorno a tavoli bianchi e distributori automatici pieni di pacchetti di patatine e bibite energetiche. Normalissime aule dotate di normalissime lavagne si aprono su normalissimi corridoi con pavimenti in pvc. Come tante scuole nel mondo, anche questa sembra ferma agli anni settanta e ottanta, ben diversa da come la si potrebbe immaginare: la scuola di un paese delle meraviglie asiatico che eccelle nel test Pisa dovrebbe avere un’aria più digitale, più da ventunesimo secolo. Seo-yeon ribatte che le alunne hanno sempre con sé i loro portatili, se dovessero servire, ma che in genere scrivono a mano sul quaderno.

Nel cortile alcune ragazze stanno piantando cetrioli, mentre altre stanno sedute a chiacchierare. Chiedo a Seo-yeon se è questo il suo posto preferito a scuola. E la sua materia preferita invece qual è? “Mi piace etica”, risponde. “Quando torno a casa e resto sola con i miei libri ci rifletto sempre”. Le altre materie, invece, spesso sono proprio noiose. A cominciare dalle materie d’esame del suo indirizzo, scienze sociali: storia coreana (è interessante perché è come viaggiare nel tempo); inglese avanzato (è facile, quindi va bene); scienze sociali (anche questa è okay); coreano (una rottura: a lezione si studiano noiose poesie del dodicesimo secolo ma poi al suneung capitano domande su testi di fisica e statistica); matematica (insopportabile: c’è sempre solo un’unica risposta giusta e le domande sono formulate con un tono autoritario). Seguono le materie escluse dal suneung: biologia, educazione fisica, psicologia, cinese. Quanto al suo posto preferito a scuola, invece, Seo-yeon sembra considerarla una domanda assurda: “Perché mai dovrei avere un posto preferito a scuola?”.

Per tutelare la privacy degli insegnanti non ci è consentito di assistere alle lezioni, ma Seo-yeon organizza un colloquio con la preside della scuola, Oh Hyeon-sook, caschetto nero e camicetta rosa. La preside, che ci riceve nel suo ufficio al piano terra, insegna da trent’anni e da due anni e mezzo dirige questa scuola che al momento conta 638 alunne. In Corea del Sud la maggior parte delle scuole sono esclusivamente maschili o femminili. La preside racconta di aver visto molte cose cambiare nel corso della sua lunga carriera, ma che una invece non è mai cambiata: “Quello che preoccupa gli studenti è soprattutto la carriera, e di conseguenza il risultato del suneung”.

La scuola li prepara bene all’esame? L’espressione dell’interprete coreano presente al colloquio è piuttosto irritata: domanda scivolosa, commenta prima di tradurla alla preside. Oh Hyeon-sook scoppia in una via di mezzo tra una risata difensiva e una divertita e dice: “Abbiamo insegnanti bravissimi che sanno bene quali sono le loro responsabilità”. Non aggiunge altro. Secondo lei che possibilità ha Seo-yeon di essere ammessa all’università a cui ha puntato? Dopo averci riflettuto, la preside risponde: “Seo-yeon si dà davvero molto da fare”.

La famiglia di Seo-yeon vive in un moderno quartiere di grattacieli alla periferia di Gimhae. In una giornata di luglio dalla finestra del salotto al ventunesimo piano si vede la pioggia monsonica scorrere sui vetri. Come in quasi tutte le case sudcoreane, sul soffitto c’è un altoparlante e l’amministratrice sta invitando i condomini a non uscire di casa. Seo-yeon, il fratello quindicenne e i genitori vivono in un appartamento di quattro stanze. Divano in pelle, credenza con sopra le coppe vinte dal padre a golf, cucina open space rivestita in acciaio inox: il design minimalista di una famiglia benestante in un paese dove la maggior parte delle famiglie non dispone di molto spazio. La madre di Seo-yeon, una donna gentile e affettuosa, racconta di aver frequentato qualche corso universitario di design d’interni nei primi anni duemila, anche se ora sfrutta queste sue conoscenze solo nella vita privata: “Da quando ho famiglia ho smesso di lavorare”. In Corea del Sud una famiglia in cui la moglie fa la casalinga e il marito porta a casa lo stipendio – in questo caso lavorando in proprio come ingegnere – è tipica almeno quanto l’altoparlante al soffitto. Impossibile dire se il compito più difficile spetti al marito o alla moglie: è la madre a occuparsi dell’istruzione dei figli. E questo è un lavoro a tempo pieno.

Chi si ferma è perduto

La madre racconta che quando l’ha iscritta per la prima volta a un hagwon, un istituto di ripetizioni private, la figlia andava ancora all’asilo. È lì che ha imparato a contare. Poi ha assunto un tutor che veniva a casa per insegnarle l’alfabeto coreano. In Corea del Sud, la corsa per accaparrarsi i primi posti della classifica comincia prestissimo. “Non volevo che mia figlia rimanesse indietro rispetto agli altri bambini”.

Arrivata in prima elementare, Seo-yeon era già in grado di scrivere brevi componimenti sul tempo o su quello che vedeva in tv e a partire dalla quarta elementare la madre non l’ha più potuta aiutare con i compiti di matematica: troppo difficili. E poi, già alle elementari, c’erano i test: Seo-yeon passava molte ore al giorno a studiare. Ora che l’aspetta l’ultimo esame della sua carriera scolastica, il più importante di tutti, va in autobus all’hagwon quattro volte alla settimana, subito dopo la scuola. All’istituto riceve ripetizioni di coreano e matematica; per le altre materie d’esame, invece, guarda tutorial online. Spesso di notte l’unica luce accesa dell’appartamento è quella della sua stanza, dove passa le notti a studiare. Le pareti sono bianche, senza neanche un poster che possa distrarla. Sulla libreria, oltre ai libri c’è il suo portafortuna, un papero di peluche giallo e piuttosto consumato. Quando finalmente la luce si spegne anche nella sua stanza, Seo-yeon si lascia cadere direttamente dalla sedia sul letto, che per fortuna non dista più di mezzo metro.

“È assurdo”, sbotta la madre. Non si riferisce tanto al fatto che gli orari della figlia sembrano quelli di un capitano d’industria, quanto al prezzo delle lezioni private per prepararla al suneung che corrisponde a più di mille euro al mese, non uno scherzo. Crescere un figlio, spiega la madre di Seo-yeon, costa sempre di più.

Intanto sua figlia sta seduta accanto a lei al tavolo da pranzo abbracciando un cuscino e muovendosi avanti e indietro sulla sedia, irrequieta. È evidente che preferirebbe tornarsene in camera a studiare. Facciamo un’ultima domanda alla madre: c’è mai stato un periodo in cui Seo-yeon non ha avuto voglia di studiare? “No. Ci tiene davvero”. Seo-yeon annuisce. “Fa sempre quello che le viene detto”, aggiunge la madre, forse scherzando o forse no. “Capita invece che suo fratello non abbia voglia di andare a ripetizione e chieda di rimanere a casa. Io gli dico ‘sì, certo, resta pure a casa! Però mi ridai i soldi che ho speso!”. In genere funziona.

La situazione sudcoreana è uguale a quella degli altri paesi asiatici ai primi posti nelle indagini internazionali sul rendimento scolastico: Giappone, Taiwan, Singapore. Tutti vogliono vedere i loro figli primeggiare e quindi l’industria delle ripetizioni private prospera: è una specie di doping dell’istruzione. Secondo dati ufficiali, nel 2022 quattro studenti sudcoreani su cinque hanno preso lezioni extrascolastiche di qualche tipo. E, quando tutti corrono il più forte possibile, sembra che l’unico modo per riuscire sia doparsi ancora di più, correre ancora più forte, prendere ancora più lezioni private. E allora, stando a quel che dicono gli esperti, le coppie ci pensano due volte prima di avere un figlio, che poi dovrebbe partecipare a questa gara. Tanti genitori decidono di concentrare tutte le loro speranze e risorse su un unico figlio. Tuttavia, i costi dell’istruzione spingono tanti a rinunciare anche a quello. Nel 2022, infatti, il tasso di fecondità della Corea del Sud ha raggiunto il record mondiale negativo di 0,78 bambini per donna. Ma nonostante la denatalità– o meglio, proprio per questo – il business miliardario del doping dell’istruzione è in espansione. E una come Lee Ji-young diventa una superstar.

Insegnante con follower

Siamo al Coex Mall, famoso centro commerciale di Seoul dove oggi pomeriggio si esibisce Lee Ji-young, 41 anni: in Corea del Sud c’è chi dice che sia famosa quanto le grandi star del k-pop. Dà lezioni di etica e scienze sociali ed è l’insegnante di ripetizioni per eccellenza: i giovani sudcoreani l’adorano e milioni di loro frequentano i suoi corsi online. Seo-yeon l’ammira per la sua “vita così organizzata”, sua madre ne è entusiasta. Lee Ji-young pubblica manuali da 118 euro e su YouTube i suoi video raggiungono 168 milioni di visualizzazioni.

Nei video Lee è in aula oppure a casa e spiega la dottrina platonica delle idee o magari il concetto di ragione kantiana – e ovviamente si concentra soprattutto su tutte le domande possibili e immaginabili che sono state poste su quegli argomenti nei suneung degli anni passati. Inoltre parla anche di diete, della sua make-up-routine e di come far sì che, stringendo i denti, i sogni si avverino. È facile che una come lei finisca per sembrare un’influencer.

In una sala eventi del centro commerciale sono presenti un centinaio di persone tra studenti e qualche madre. Tra poco Lee Ji-young terrà un discorso, tanto per cambiare sul suo argomento preferito: come trovare la motivazione per studiare? La incontriamo prima dell’evento. Proprio come si fa con le popstar, la sua casa di produzione ha stabilito in precedenza le condizioni dell’intervista. Tra le altre cose è vietato chiederle quanto guadagni all’anno. Nel 2020 lei stessa aveva svelato pubblicamente la cifra, scatenando un dibattito nel paese. Si trattava di poco meno di sette milioni di euro. La responsabile dell’ufficio stampa ci ripete ancora una volta le condizioni, poi apre un pesante sipario che conduce dietro il palco dove, seduta su una poltrona, ci aspetta la famosa tutor, tailleur marrone di Prada e stivali neri sopra il ginocchio.

Il bar della scuola superiore femminile di Gimhae, Corea del Sud, 27 dicembre 2023  (Tina Hsu)

Che ne pensa del paragone con una star del k-pop? “Il legame dei ragazzi sud­coreani con i loro insegnanti di ripetizioni è stretto quanto quello con le loro star k-pop preferite”, dice. Incarnano le stesse speranze e gli stessi sogni. In più, nel caso degli insegnanti, ci sono il piacere di imparare e il successo a scuola. Secondo Lee Ji-young il suo settore contribuisce al benessere del paese. “Ho curato molto la mia immagine per dimostrare quanta strada si può fare grazie al duro lavoro”.

Lee Ji-young racconta la sua storia come se fosse una favola: da lavapiatti a milionaria grazie all’istruzione, un sogno di riscatto in salsa sudcoreana.

Cresciuta in una famiglia povera, in cui nessuno era mai andato all’università, Lee Ji-young a scuola era bullizzata e studiava su libri usati, ma sul diario scriveva che un giorno avrebbe avuto successo. Ha sostenuto il suneung nel 2000 dopo mesi passati a dormire solo tre-quattro ore a notte. “Volevo essere certa di studiare più di tutti”. Così è stata ammessa all’Università nazionale di Seoul, la migliore del paese, dove hanno studiato primi ministri, giudici della corte costituzionale e amministratori delegati di grandi aziende. Quell’anno sono stati ammessi in tremila su 870mila candidati che avevano sostenuto l’esame. Fine della storia.

Manca la morale della favola. Ancora oggi Lee Ji-young dice di dormire appena quattro ore a notte: riesce a rilassarsi solo dopo aver portato a termine tutte le incombenze della giornata. “È questo a spingermi”.

Ma ci sono cose che non dice: per esem­pio che per i suoi affari è decisamente redditizio alimentare nei follower l’eterno dubbio di non aver fatto abbastanza. O ancora che il successo di una come lei ha anche un rovescio della medaglia: gli insegnanti della scuola pubblica, che non guadagnano certo sette milioni di euro all’anno – anzi, in alcuni casi guadagnano meno dell’impiegato medio – stanno diventando irrilevanti e, secondo gli esperti d’istruzione sudcoreani, hanno smesso da tempo di essere considerati dei modelli come succedeva in passato. Insomma, superare il maestro oggi sembra un gioco da ragazzi.

Basta ascoltare l’adolescente Seo-yeon descrivere le lezioni a scuola: in genere un insegnante tiene un monologo alla lavagna e a un certo punto assegna degli esercizi. “Nessuno mi chiede mai cosa ne penso”. Nessuno alza la mano. Non esistono voti orali. L’unico obiettivo è ficcare in testa ai ragazzi nozioni utili per l’esame.

Per domande e approfondimenti i ragazzi si rivolgono agli insegnanti privati degli hagwon. “Loro sì che sono divertenti e incoraggianti”, racconta Seo-yeon. “E dicono cose sensate”. Sia per quanto riguarda le lezioni individuali sia per quelle collettive, negli hagwon in genere si può scegliere l’insegnante e i tutor sanno perfettamente che gli studenti li valutano. Perciò cercano di inquadrare tutte le possibili domande dal punto di vista di un adolescente. Sono loro a stimolare il pensiero critico e la capacità di risolvere problemi in modo creativo. Sono loro a dare un contributo decisivo al successo del paese nel test Pisa. Sono loro i nuovi modelli dei giovani.

Ottobre 2023 31 giorni all ’esame

Parliamo al telefono con Seo-yeon: “Che dire. La mia vita è sempre la stessa: studio fino a svenire nel letto”, dice. Più che scocciata sembra rassegnata. Seo-yeon non suona strumenti musicali e fuori da scuola non fa sport. Capita che nel tempo libero veda le amiche per andare a mangiare qualcosa. Le chiediamo di raccontarci un bel ricordo e lei parla di una bella serata al karaoke con la famiglia: qualche mese fa il padre aveva deciso che la figlia aveva bisogno di distrarsi e li aveva portati tutti a cantare canzoni k-pop.

Sei felice? “No”, risponde. Quando parla del suo grande sogno sembra uscire dal torpore. La Thailandia è un paese che conosce solo da libri e documentari ma è entusiasta all’idea delle torri rosso ruggine dei templi di Ayutthaya che si ergono verso il cielo e dei tailandesi che non passano il loro tempo a competere gli uni con gli altri.

Sarebbe bello incontrarla ancora per conoscerla meglio. Ma ora Seo-yeon non ha proprio tempo. Più avanti racconterà che fa una simulazione d’esame ogni due giorni, alla scrivania in cameretta, in biblioteca o con i tutor negli hagwon. Per il suo indirizzo, il suneung prevede 180 domande, perlopiù a risposta multipla. Le simulazioni ricalcano l’esame per quanto riguarda l’ordine delle materie, i tempi e il tipo di esercizi: otto ore di inferno simulato. Seo-yeon dice che vanno abbastanza bene.

In un giorno d’autunno, Lee Ju-ho, da un anno vicepremier oltre che ministro dell’istruzione, ci accoglie nel suo gigantesco ministero, seduto a un tavolo lungo quasi quanto tutta la sala riunioni. Il colloquio è in corso da tre quarti d’ora quando, all’improvviso, si fa scappare una constatazione che nella sua ironia lo diverte: “Mi pare che la forza del sistema scolastico coreano sia anche la sua più grande debolezza: la gente sa bene qual è il potere dell’istruzione”. Il ministro ride di gusto.

Lee aveva aperto l’intervista raccontando la storia della Corea del Sud, molto simile a quella di altri paesi della regione: dopo la seconda guerra mondiale il paese si è ritrovato più povero della maggior parte del resto del mondo e solo una minoranza della popolazione andava a scuola e sapeva leggere e scrivere.

Poi, però, è stato fatto uno sforzo collettivo per uscire da questa arretratezza: milioni di persone si sono messe a studiare. È stato introdotto l’obbligo scolastico, sono state costruite scuole e formati insegnanti. E così figli e nipoti di quegli analfabeti sono diventati medici, programmatori, avvocate. O ingegneri, come il padre di Seo-yeon.

Prima del miracolo economico c’è stato il miracolo dell’istruzione.

“Grazie al proprio successo, ogni singolo coreano sente che studio e disciplina ci hanno cambiato la vita”, conclude il ministro. “È una consapevolezza che portano sempre con sé come una seconda pelle. Solo che”, aggiunge, “ne derivano anche molti problemi sociali”. E ce li elenca tutti. Per quanto riguarda le madri, dice che “hanno perso fiducia nella scuola pubblica” e perciò già dall’asilo vogliono che i figli imparino a memoria vocaboli inglesi e li mandano negli hag­won. Gli istituti di ripetizione si trovano a ogni angolo di strada: solo nella capitale sono più di 24mila.

Per quanto riguarda gli alunni, “a lezione dormono e poi restano così a lungo a studiare negli hagwon” che il giorno dopo sono di nuovo stravolti. Uno studio ha rilevato che soffre di depressione quasi un ragazzo dell’ultimo anno su tre, mentre più di uno su dieci ha avuto pensieri suicidi.

E per quanto riguarda gli insegnanti della scuola pubblica, il ministro dice che “sono perseguitati dai genitori”. Poco tempo prima un’insegnante elementare di Seoul si era suicidata dopo aver scritto sul suo diario che il bombardamento di telefonate e lamentele dei genitori le toglieva il respiro. Nelle settimane successive alla sua morte, ogni sabato decine di migliaia di insegnanti di tutto il paese si sono ritrovati davanti al parlamento di Seoul per manifestare e chiedere al governo maggiori tutele di fronte alle pressioni dei genitori.

Più parliamo con lui, più ci meravigliamo dello sguardo critico con cui il ministro osserva il sistema scolastico del suo paese. “È vero”, ammette, “i nostri risultati nelle indagini tipo Pisa sono straordinari”. Eppure, molti in Corea del Sud mettono in discussione l’intero sistema.

Il suo governo si sta impegnando per ristabilire la fiducia e non è il primo a farlo. Già da anni la legge ha stabilito che bambini e ragazzi non possono rimanere nei doposcuola oltre le 22.

La madre di Seo-yeon racconta che quando l’ha iscritta per la prima volta a un istituto di ripetizioni private la figlia andava ancora all’asilo

Qualche anno fa, inoltre, lo stato ha cercato di ridurre il peso del risultato del suneung introducendo un secondo percorso per accedere all’università aggiungendo altri fattori: i voti del triennio, la lettera motivazionale per la facoltà scelta, i risultati di un esame scritto d’ingresso organizzato dalle università.

Ma tutto questo non è servito a molto: le migliori università continuano a pretendere ottimi risultati al suneung. E durante la pandemia, quando parte dei negozi era obbligata a chiudere prima del solito, alle 21, gli istituti di ripetizione sono rimasti aperti fino alle 22. Ufficiosamente, inoltre, tanti studenti restano ben oltre quest’orario. In Corea del Sud si sente spesso dire che altrimenti non terrebbero il passo. Il ministro si spinge persino a parlare di “cartelli” di stampo mafioso: insegnanti della scuola pubblica che vendono illegalmente le possibili domande del suneung agli istituti di ripetizioni che poi se li scambiano tra loro a caro prezzo e infine li fanno arrivare alla giovane clientela. Sulla faccenda è attualmente in corso un’inchiesta.

In sostanza, dice Lee, bisognerebbe rafforzare l’istruzione pubblica, sensibilizzando i genitori e formando meglio gli insegnanti. Nel 2023 ha annunciato la misura più incisiva di tutte: dal suneung saranno eliminate le domande più difficili, le cosiddette killer-question. Secondo lo stesso ministero alcuni quesiti sono molto più difficili di quello che prevede il programma ministeriale e costituiscono perciò un fattore di “stress psicologico per gli studenti”. L’idea che gli hagwon preparino meglio alle killer-question è un fattore importantissimo nello spingere tante famiglie tra le braccia dell’industria delle ripetizioni.

Studenti all’università Hankuk, Seoul, Corea del Sud, 3 aprile 2024 (Anthony Wallace, Afp/Getty)

In diversi paesi asiatici i politici tentano di affrontare il problema dello stress da troppo studio, diminuendo il numero dei test, semplificando le domande, regolando più severamente il settore delle ripetizioni. La Cina ha vietato del tutto le lezioni private nelle materie più importanti, ma il business fiorisce clandestinamente. In Corea del Sud il progetto di eliminare le domande killer ha suscitato un’interessante reazione: ragazzi e genitori – perlomeno quelli che possono permettersi le ripetizioni – si sono lamentati. Senza ripetizioni come si fa ad arrivare primi? Stabilire chi sarà ammesso alle migliori università e avrà quindi accesso ai migliori posti di lavoro è necessario. Non è che tutti possono risultare uguali! La madre di Seo-yeon dice che sua figlia e le sue amiche erano scioccate.

In Germania le proteste arrivano quando gli esperti chiedono di migliorare il rendimento scolastico elevando gli standard attraverso dei test comparativi. In Corea del Sud invece accade il contrario. In entrambi i casi, però, la motivazione è la stessa: giù le mani dai nostri figli! E vale anche per il risultato: quasi tutto resta così com’è. A posteriori tutti concorderanno sul fatto che quello del 2023 non è stato un “suneung all’acqua di rose”. L’esame è risultato particolarmente difficile per un problema di matematica che agli occhi di tutti era proprio una famigerata killer-question. E infatti il 98,2 per cento degli studenti, Seo-yeon compresa, non è riuscito a risolverlo.

Eccolo qui.

Una funzione polinomiale di terzo grado con coefficiente direttivo 1 è tale che:

(1) Non esiste un numero intero k con

(2) f´(–¼) = –¼

(3) f´(¼) < 0

Determina f (8).

Secondo Andreas Herz, dell’Istituto tedesco per il miglioramento della qualità del sistema scolastico e universitario, è inconcepibile sottoporre una funzione del genere a dei maturandi: è piuttosto un problema da olimpiadi di matematica.

Novembre 2023 3 giorni all’esame

Seo-yeon ottiene un pessimo risultato a una simulazione d’esame: livello 5 su 9 in matematica e addirittura 6 su 9 in storia coreana. Come farà a ottenere la media di livello due richiesta dall’Università Hankuk? Il suo coordinatore di classe le consiglia di lasciar perdere le simulazioni d’esame, che la fanno solo impazzire. La madre le compra ciambelle con la marmellata per tranquillizzarla.

L’esame

La sede d’esame viene comunicata ai genitori solo il giorno prima per evitare che qualcuno possa nascondervi dei bigliettini. Per fortuna a Seo-yeon assegnano la sua scuola, così almeno non si ritroverà in un ambiente sconosciuto. La famiglia racconterà poi che il padre ha comprato un biglietto della lotteria: se non otterrà un buon risultato al suneung, magari la figlia sarà fortunata al gioco. L’uomo spera che il biglietto non sia vincente.

Notte prima dell’esame. Seo-yeon sfoglia un po’ il libro di storia e alle dieci va a letto ad ascoltare un audiolibro per rilassarsi. Dev’essersi appisolata poco dopo le undici: è la prima notte da mesi in cui dorme qualche ora in più.

Mattina. La madre di Seo-yeon si alza alle cinque per prepararle il riso con un po’ di carne di maiale non troppo condita e un thermos di tè al miele per darle energia senza appesantirla.

Poco dopo le sette la famiglia attraversa in auto le strade semideserte in direzione della scuola: prima dell’inizio del suneung la gente va in giro solo se strettamente necessario. Si va al lavoro più tardi del solito e perfino l’orario di apertura della borsa è spostato di un’ora.

Per garantire che gli studenti arrivino a destinazione puntuali, in tutto il paese vengono messi a regolare il traffico 6.427 poliziotti, mentre altri 2.634 sono in servizio presso le sedi d’esame per scongiurare qualsiasi intoppo: inviteranno gli automobilisti a non suonare il clacson e gli operai dei cantieri a ridurre al minimo ogni rumore. E 5.165 poliziotti scortano i questionari da consegnare alle scuole.

Per garantire che i maturandi arrivino a destinazione puntuali, in tutto il paese vengono messi a regolare il traffico 6.427 poliziotti

Una volta entrata a scuola Seo-yeon va in un’aula al piano terra. Su uno dei banchi c’è un cartello con il suo nome. Deposita davanti a sé il cestino del pranzo, il thermos, le matite portamine, la gomma da cancellare e i tappi per le orecchie che alla fine non serviranno, perché il silenzio è stato assoluto per tutto il tempo. Alle 8.35 suona la campanella e due insegnanti distribuiscono alle trenta ragazze presenti in aula le cartelline con le domande e le schede per le risposte. Alle 8.40 la campanella suona di nuovo.

In tutto il paese gli studenti aprono la prima pagina della cartellina che hanno di fronte e guardano le domande che centinaia tra i migliori insegnanti e professori del paese hanno elaborato in un isolato resort di montagna dove anche la spazzatura veniva controllata per evitare le fughe di notizie. Ai “cartelli” bisogna rendere la vita difficile.

Mentre Seo-yeon comincia a rispondere alle domande di coreano, sua madre è su una collina a qualche minuto di auto e sta salendo gli scalini di pietra di un tempio: “Anche se non sono una buddista praticante, oggi mi tocca”. La donna entra nel tempio dedicato al benessere e al futuro dei figli con le lanterne di loto rosa, blu e gialle appese al soffitto e posa sul pavimento un cuscino di velluto. Si mette dietro al cuscino. Tra le mani giunte in preghiera tiene un rosario. Si inginocchia posando la testa sul cuscino e rivolgendo i palmi verso l’alto. Si rialza e poi si inginocchia di nuovo, per 108 volte.

Quando esce dal tempio spiega che per alcune culture buddiste ci sono 108 modi per rendere impuro l’animo umano: dolore, superbia, invidia e via dicendo. “I 108 inchini servono a proteggere mia figlia da ognuno di questi”.

Gennaio 2024 Dopo lesame

Seo-yeon ha trascorso il capodanno con le amiche: poco dopo il suo diciottesimo compleanno sono partite per un’isola a sud: “Dal nostro b&b vedevamo il mare, il tramonto e i fuochi d’artificio”. Hanno organizzato un gioco alcolico, cosa che lei non aveva mai fatto: era Monopoly, solo che chi finiva su una casella avversaria invece di pagare l’affitto doveva bere tutto d’un fiato uno shot di soju, il liquore di riso sudcoreano. “Per la prima volta nella vita potevo non pensare al giorno dopo”.

Il pomeriggio del 16 novembre era uscita da scuola poco prima delle cinque. Il padre l’aspettava vicino alla barriera a nastro messa dalla polizia, mentre la madre era più indietro nella folla dei genitori in trepida attesa, alcuni con in mano rose bianche, altri con i cellulari pronti a scattare foto.

Con il padre era corsa subito verso l’auto per lasciarsi alle spalle quella scuola e tutto quel freddo. Una volta dentro, Seo-yeon aveva detto: “Sono stanca. Ho fame. Sono felice, almeno un po’”.

Tre settimane dopo, il coordinatore di classe aveva chiamato alla lavagna le studenti, una per una, e aveva consegnato le pagelle. C’era anche quella di Seo-yeon.

In genere un insegnante tiene un monologo alla lavagna e a un certo punto assegna degli esercizi. “Nessuno mi chiede mai cosa ne penso”.

Scienze sociali: livello 2

Etica: livello 2

Inglese: livello 2

Storia coreana: livello 2

Coreano: livello 3

Matematica: livello 4

Passata un’altra settimana, il 15 dicembre Seo-yeon aveva inserito il suo codice a otto cifre nel sito dell’università Hankuk e sotto il suo nome aveva visto due parole, in rosso: “Non ammessa”.

Si era sentita svuotata e aveva pianto, racconta. Sapeva di aver ottenuto un buon risultato, migliore di quello di tanti altri. Ma sapeva anche che non sarebbe stato sufficiente.

I suoi erano “veramente a terra”, ma avevano anche provato a consolarla. La madre le aveva detto di andare a mangiare fuori con le amiche e il padre le aveva detto che aveva fatto il massimo e non aveva nulla da rimproverarsi.

Ma rimaneva un’ultima speranza. Seo­-yeon era in lista d’attesa e se qualcuno avesse rinunciato avrebbero potuto ripescarla. Aveva aggiornato e riaggiornato il sito dell’università: giorno uno, giorno due, giorno tre, giorno quattro. Sempre quelle due parole in rosso. Dal giorno cinque se si fosse liberato un posto per lei avrebbe ricevuto una telefonata dall’università. Ma chi sarebbe mai così folle da rinunciare all’università Hankuk? Giorno sei. Giorno sette. Il telefono non squillava.

Da allora Seo-yeon ha presentato un’altra domanda di ammissione per un’altra facoltà, economia e commercio internazionale, in un’altra città, Busan. Se non può essere Seoul – e non lo sarà – non sarà neanche linguistica tailandese. Con aria di sfida, però, Seo-yeon dice: “Il tailandese lo studio lo stesso e in qualche modo in Thailandia ci arrivo”. Un vecchio sogno, un nuovo piano.

In attesa di sapere se sarà ammessa a Busan ciondola per casa e guarda Sweet home, una serie horror sudcoreana. Tanto ora ne ha di tempo da perdere. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1573 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati