Nel 2018 ho pagato un uomo un paio di centinaia di dollari per conficcare ripetutamente diversi aghi nella pelle del mio polso destro. Mi sembrava di essere attaccata da una microscopica cavalleria di granchi. In ogni colpo è stato inserito dell’inchiostro nero, che alla fine ha assunto la forma di virgolette doppie. Era il mio primo tatuaggio e probabilmente non l’ultimo.

Nelle migliaia di anni in cui i tatuaggi sono esistiti, non è cambiato molto. La pratica consiste ancora nell’incidere ferite in forme permanenti e inchiostrate che troviamo esteticamente piacevoli. Ma molte cose dei tatuaggi rimangono misteriose: gli scienziati non sono ancora sicuri di cosa faccia sbiadire velocemente certi tatuaggi, del perché altri rimangano anche quando dovrebbero scomparire, o di come reagiscano alla luce. Uno degli enigmi più strani e meno studiati, tuttavia, è come essi sopravvivano. Il nostro sistema immunitario fa costantemente del suo meglio per distruggerli. E capire perché non ci riesca potrebbe gettare luce su una delle funzioni più importanti del nostro corpo, valido anche quando lasciamo la pelle senza disegni.

Quando un tatuaggio viene impresso sulla pelle, il corpo lo considera un’aggressione. La pelle è la “prima barriera” del sistema immunitario ed è ricca di cellule difensive ad azione rapida che possono attivarsi quando essa viene violata, spiega Juliet Morrison, virologa dell’Università della California-Riverside. La prima direttiva di queste cellule è quella d’individuare tutto ciò che è estraneo e distruggerlo, in modo che il processo di guarigione possa cominciare.

Questa missione ha generalmente successo e permette alle ustioni di guarire, alle cicatrici di sbiadire e alle croste di cadere. Tranne, per qualche motivo, quando c’è di mezzo l’inchiostro.

Pigmenti ingombranti
Le particelle dei pigmenti sono ingombranti e difficili da far degradare per gli enzimi delle cellule immunitarie. E così, quando l’inchiostro viene ingerito da cellule immunitarie come i macrofagi della pelle – che passano la loro vita a divorare agenti patogeni, detriti cellulari e altre schifezze all’interno di un piccolo lembo di carne – può trasformarsi in una versione microscopica di gomma. Le particelle di pigmento si depositano nelle viscere dei macrofagi, rifiutando di farsi scomporre. Quando l’inchiostro è visibile sulla superficie del corpo, non è solo intrecciato tra le cellule della pelle, ma risplende dalla pancia dei macrofagi che non riescono a digerirlo.

Sandrine Henri, immunologa presso il Centro d’immunologia di Marsiglia-Luminy, in Francia, e i suoi colleghi hanno scoperto che il gusto dei macrofagi per l’inchiostro può spiegare in parte perché i tatuaggi resistano così tenacemente, anche dopo la morte delle cellule. Alla fine dei giorni o delle settimane di vita di un macrofago, questo comincia a disfarsi, rilasciando il pigmento al suo interno. Ma quell’inchiostro viene immediatamente raccolto e divorato da un altro macrofago nelle vicinanze, che prende più o meno il posto del suo predecessore, a non più di qualche micrometro di distanza, meno della larghezza di un capello umano.

Nel corso del tempo i bordi dei tatuaggi possono diventare un po’ più sfumati man mano che l’inchiostro passa da una cellula all’altra. Un po’ di pigmento può anche finire nei linfonodi. Questi importanti centri immunologici sono normalmente di colore bianco sporco. Ma nelle persone molto tatuate possono diventare “del colore dell’inchiostro”, dice Gary Kobinger, immunologo presso il Galveston National Laboratory della facoltà di medicina dell’Università del Texas. In linea di massima, tuttavia, l’inchiostro rimane all’interno dei macrofagi e quindi non si muove. Si ritiene che questa infinita staffetta fatta d’ingestione, rigurgito e reingestione, dice Henri, spieghi anche perché è così difficile rimuovere i tatuaggi con il laser. Potrebbe essere anche una delle ragioni per cui i tatuaggi “temporanei” di alcune nuove aziende non svaniscono come invece pubblicizzato.

Un maggior numero di anticorpi non equivale a una migliore immunità

Gli scienziati non sono ancora sicuri del fatto che questo intasamento d’inchiostro dei macrofagi abbia delle conseguenze. “E se li obbligasse a occuparsi di questi grumi di pigmento estraneo invece di effettuare la sorveglianza immunitaria?”, si è chiesta Morrison. I macrofagi bloccati potrebbero essere meno capaci di assorbire sostanze più pericolose, come gli agenti patogeni. Uno studio pubblicato l’anno scorso ha rilevato che il pigmento dei tatuaggi potrebbe alterare le proteine che essi producono e i segnali che inviano alle altre cellule. Tutto questo potrebbe non significare nulla, oppure che la cellula inizia a reagire in modo eccessivo o insufficiente al materiale di origine estraneo, mettendo potenzialmente il sistema immunitario in una posizione di svantaggio qualora un nuovo tatuaggio finisca per infiammarsi, infettarsi o scatenare allergie.

Le infezioni sono rare con i tatuaggi – si verificano al massimo nel 5 o 6 per cento dei casi – e sono perlopiù d’origine batterica. Ma in casi molto, molto rari, gli appassionati di body-art possono ritrovarsi con virus pericolosi, tra cui l’epatite c. Fortunatamente, soprattutto grazie ai moderni progressi nel campo dell’giene, la maggior parte delle persone con tatuaggi “se la cava benissimo”, spiega Danielle Tartar, dermatologa dell’Università della California-Davis.

Henri, per esempio, non è preoccupata: il sistema immunitario è multiforme e rifornisce costantemente le sue cellule; in caso di attacco grave, le cellule che si occupano d’inchiostro sarebbero probabilmente in grado di chiamare rinforzi per allontanare la minaccia. Inoltre, è molto probabile che i macrofagi siano solo temporaneamente disorientati dall’inchiostro che ingeriscono e finiscano per recuperare rapidamente il loro assetto.

Il sistema immunitario, inoltre, non è composto solo dalle cellule che amano mangiare l’inchiostro. Qualche anno fa un gruppo di ricercatori guidati da Jennifer Juno, immunologa dell’Università di Melbourne, in Australia, ha mescolato l’inchiostro di un tatuaggio in un composto di vaccino per monitorare dove finiva il contenuto di quell’iniezione nei topi e nei macachi. Non è emerso che i pigmenti rendessero le cellule immunitarie, nel loro complesso, “infelici”, mi ha detto Juno, o che le uccidessero. Né l’inchiostro sembrava modificare l’efficacia del vaccino.

Una risposta immunitaria
Alcuni piccolissimi danni alla pelle, somministrati da un professionista che utilizza attrezzature e materiali sterili e ipoallergenici, potrebbero addirittura mantenere attive le cellule immunitarie vicine. Da alcuni studi sta emergendo che i macrofagi e altre cellule immunitarie cosiddette innate potrebbero essere in grado di memorizzare brevemente alcuni dei loro incontri passati con altri tipi di materiale estraneo e rispondere meglio agli attacchi futuri (questo, naturalmente, è lo scopo della vaccinazione, ma i vaccini hanno come bersaglio le cellule immunitarie adattative, che sono molto più predisposte a questo processo). È anche possibile – anche se non ancora dimostrato dai dati – che imparare a coesistere con l’inchiostro del tatuaggio possa aiutare le cellule immunitarie a calibrare le loro reazioni ad altre sostanze, forse anche a prevenire gli attacchi autoimmuni, dice Tatiana Segura, esperta di biomateriali alla Duke University. “Se il corpo tollera un tatuaggio, significa che il sistema immunitario si è adattato”, sostiene María Daniela Hermida, dermatologa di Buenos Aires.

Per comprendere alcuni degli effetti immunitari dei tatuaggi, Christopher Lynn, antropologo dell’Università dell’Alabama, ha studiato alcune persone pesantemente tatuate in diverse parti del mondo. Lui e i suoi colleghi hanno scoperto che gli individui che si tatuano frequentemente sembrano avere nel sangue livelli più elevati di alcune molecole immunitarie, compresi gli anticorpi, rispetto alle persone che si tatuano raramente (almeno per un breve periodo). Forse, dice Lynn, i tatuaggi frequenti forniscono al sistema immunitario un allenamento regolare a bassa intensità e mantengono più in forma alcuni elementi del nostro armamentario difensivo.

Ma un maggior numero di anticorpi non equivale a una migliore immunità e i ricercatori non hanno ancora un’idea della durata di questi effetti, dice Saranya Wyles, dermatologa della Mayo Clinic. Inoltre, poiché Lynn e i suoi colleghi non hanno condotto uno studio clinico in cui hanno chiesto ad alcune persone di tatuarsi e ad altre di non farlo, non possono dimostrare che l’aumento degli anticorpi sia un risultato diretto del tatuaggio. È possibile, mi ha detto Lynn, che le persone con livelli naturalmente più elevati di alcune molecole immunitarie siano più inclini a farsi tatuare, perché hanno meno probabilità di avere reazioni negative. I tatuaggi, in questo caso, sarebbero più che altro una prova del nove per il corpo. Una cosa che, per certi versi, coincide con l’impulso culturale della body art in molte culture: ostentare la propria tolleranza al dolore. In ogni caso, ha avvertito Lynn, anche nel migliore dei casi un tatuaggio avrà i suoi limiti. “Non credo che curi il raffreddore” o, realisticamente, una qualsiasi altra cosa.

Indipendentemente dal fatto che i tatuaggi stessi rafforzino o meno l’immunità, essi potrebbero essere d’ispirazione per una tecnologia in grado di farlo. L’équipe di Kobinger è una delle tante che sta studiando la tecnica dei tatuaggi per la somministrazione dei vaccini: questo in modo da renderli più potenti, più efficienti e più facili da assumere. La maggior parte dei vaccini attualmente a nostra disposizione viene iniettata in profondità sotto la pelle, nei muscoli, che non sono ben forniti di cellule immunitarie. Il processo richiede tempo e dosi abbastanza elevate per essere veramente efficace. La pelle, invece, è “un luogo formidabile per somministrare i vaccini”, mi ha detto Kobinger. “Le cellule sono già sul posto e la reazione è immediata”.

Esiste già una tecnica per somministrare i vaccini in profondità nella pelle, chiamata “intradermica”, che è stata utilizzata per i vaccini contro il vaiolo, la tubercolosi, la rabbia e, recentemente, il vaiolo delle scimmie. Ma i vaccini intradermici richiedono un certo addestramento per essere somministrati e quando gli aghi mancano il bersaglio, l’efficacia dell’iniezione può essere decisamente più bassa.

I dispositivi per il tatuaggio, equipaggiati di fiale di vaccino, potrebbero, in teoria, aggirare queste insidie, secondo Kobinger. Nei suoi esperimenti con vari vaccini, il metodo del tatuaggio ha generalmente dato risultati migliori rispetto alla tecnica intradermica; alcuni studi, anche se non tutti, hanno ottenuto risultati altrettanto incoraggianti. Se la tecnologia progredirà, mi ha detto Kobinger, un giorno le persone potrebbero avere bisogno di meno iniezioni di alcuni vaccini multidose, il che risparmierebbe loro tempo, denaro, fatica e disagi. Anche senza inchiostro questi aghi potrebbero comunque, forse, lasciare su di noi un’impronta permanente.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Atlantic.

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