A volte è talmente sovraffollata che riesci a sentire sul collo il fiato di chi ti sta vicino. Nessuno guarda gli altri. Il loro sguardo ti attraversa, non si posa mai su di te. Sei parte di un gruppo di persone rinchiuse in una gigantesca scatola di metallo che leggono libri, si guardano i piedi, sorridono agli schermi dei loro smartphone o guardano fuori dal finestrino, anche se non c’è molto da vedere. E se i tuoi occhi incrociano inaspettatamente quelli di un’altra persona, eccola distogliere subito lo sguardo. Quando alla fine la metropolitana si ferma, esci e sali su per le scale mobili, destreggiandoti tra fiumi di persone. Questo è uno dei misteri della vita: a Roma tutti corrono ma nessuno arriva mai in orario.
Anche a Tripoli nessuno arriva mai in orario, ma per motivi diversi: andare dal punto A al punto B è sempre una sfida logistica. “Non ci sono treni in Libia”: sembra il titolo di un romanzo, ma non è solo una metafora. Un enorme pezzo di terra arida galleggia su un mare di petrolio che sprizza fuori ovunque si perfori la superficie, ma quel petrolio non alimenta i mezzi di trasporto pubblici. Non ci sono treni, metropolitane o autobus.
Non è sempre stato così. La rete ferroviaria realizzata durante l’occupazione italiana della Libia si estendeva per più di 1.500 chilometri. Il primo treno arrivò a Tripoli nel 1912 e la prima tratta ferroviaria da Tripoli ad Al Aziziyah, quarantuno chilometri a sudovest di Tripoli, venne inaugurata nel 1913. Sebbene la rete ferroviaria avesse subìto gravi danni durante la seconda guerra mondiale, i treni continuarono a funzionare anche dopo che la Libia conquistò l’indipendenza, nel 1951, per poi fermarsi nel 1965.
Trasporti storici
Muammar Gheddafi salì al potere nel 1969. Non fu intrapreso alcun tentativo di rimettere in funzione la ferrovia fino al 1975, quando venne lanciato un nuovo progetto che però non diede alcun risultato. Nel 1992 il governo annunciò di nuovo l’avvio del progetto di ricostruzione di una rete ferroviaria.
Nel 2003 Gheddafi cominciò a implorare di essere riammesso nella comunità internazionale, ispirato dall’invasione dell’Iraq e dall’ingloriosa fine di Saddam Hussein.
Gheddafi accettò quindi di assumersi la responsabilità della bomba di Lockerbie e di pagare 2,7 miliardi di dollari alle famiglie delle vittime. Il ministero degli esteri libico dichiarò che la Libia “aveva deciso di sua spontanea volontà di eliminare completamente le armi di distruzione di massa proibite in tutto il mondo”. Le Nazioni Unite ritirarono formalmente le sanzioni, anche se rimasero in vigore quelle degli Stati Uniti. Nei mesi successivi la missione diplomatica diventò un ufficio di collegamento e un anno dopo anche gli Stati Uniti ritirarono tutte le sanzioni e ripristinarono le relazioni diplomatiche con la Libia. A maggio del 2007 gli Stati Uniti cancellarono la Libia dalla lista degli stati che sostenevano il terrorismo. A ottobre di quello stesso anno venne votata l’ammissione della Libia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in qualità di membro non permanente.
Dopo quarant’anni di isolamento la Libia aveva un enorme bisogno di ricostruzione. Venne lanciata la tanto attesa stagione della ricostruzione libica: all’orizzonte si profilavano contratti per infrastrutture e progetti edilizi per un valore di miliardi di euro e i pellegrini del denaro provenienti da tutto il mondo si precipitarono a bussare alla porta di Gheddafi.
Nel 2003 venne istituita l’Autorità per la costruzione e il funzionamento delle ferrovie in Libia, a cui nel 2006 fu assegnato anche il progetto della metropolitana. Nel 2008 la russa Railways Rzd firmò un contratto da 2,2 miliardi di euro per la costruzione della tratta ferroviaria costiera Sirte-Bengasi. La China railway construction firmò un contratto per costruire la tratta ferroviaria costiera occidentale, da Sirte ad Al Khums, Tripoli e Ras Ejder, sul confine con la Tunisia. Il contratto entrò in vigore nel 2009, poi tutto si bloccò.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, almeno mille persone sono state uccise e 120mila sono state costrette a lasciare le loro case
Nel 2012 e nel 2014 sono stati fatti dei tentativi per rilanciare il progetto, ma nessuno ha avuto successo. Il ministero dei trasporti mantiene ancora attiva l’Autorità per la costruzione e il funzionamento delle ferrovie, che ha sul suo libro paga 800 lavoratori.
Nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta lo scorso mese di agosto a Tripoli, il ministro dell’economia del Governo di accordo nazionale (Gna) Ali al Issawi ha annunciato il rilancio del progetto per la metropolitana di Tripoli: “Abbiamo fatto una riunione con un gruppo di investitori interessati a investire nel progetto per la metropolitana e nella rete dei trasporti pubblici nell’area di Tripoli, senza garanzie o finanziamenti da parte dello stato. Questa riunione oggi dimostra che la Libia è una terra promessa e che la situazione attuale non rappresenta lo standard in base al quale trattare con la Libia. Ci sono grandi opportunità di lavoro e investimento in Libia. Il valore complessivo di questo progetto è di circa 10 miliardi di euro”.
L’annuncio è stato ovviamente accolto con uno tsunami di ironia e critiche. Il mio commento preferito è stato quello dell’ex ministra della salute Fatma Hamroush, che sulla sua pagina Facebook ha scritto: “La metropolitana di Tripoli mi ricorda un vecchio proverbio libico: all’impiccato non manca niente a parte mangiare dolci! Insomma, adesso i libici hanno tutto, manca solo la metropolitana! Farla funzionare e mantenerla in attività significa trovare i soldi per completarla, l’energia elettrica e il carburante per farla andare e un modo per mantenere al sicuro la gente. Quali sono le priorità, e a che punto stiamo oggi rispetto a tutte queste esigenze?”.
Per comprendere questa amara ironia è necessario conoscere non solo la storia lunga e costellata di delusioni delle grandi speranze legate ai trasporti pubblici in Libia, ma anche il contesto attuale. Da quando lo scorso aprile Haftar ha sferrato il suo attacco tuttora in corso alla capitale, le milizie occidentali sono riuscite a mettere da parte tutte le loro ostilità e si sono schierate al fianco del Gna, riuscendo così a tenere le sue armate fuori dalla città, alla periferia meridionale di Tripoli.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, almeno mille persone sono state uccise, cento delle quali civili, e 120mila sono state costrette a lasciare le loro case. Tripoli ha subìto bombardamenti, attacchi aerei e assalti che hanno preso di mira in modo sistematico ospedali da campo e ambulanze.
Ancora una volta Tripoli sta avendo difficoltà a mantenere in funzione la rete idrica e quella elettrica, e ancora una volta gli abitanti di Tripoli sono stati dimenticati da tutti.
Questi problemi essenziali non sembrano una priorità per il Gna. Quello per la metropolitana è uno dei tanti contratti firmati da aprile in diversi settori. Da un lato il Gna somiglia a un topo bloccato per la coda in una trappola che intanto continua a mangiare pezzi di formaggio. Dall’altro sta tentando di parlare una lingua che tutti sono in grado di capire: se le orecchie dei leader mondiali sono state fino a oggi sorde alle urla di innocenti uccisi nella capitale, forse riusciranno a sentire il suono dei soldi. Dopotutto le gigantesche società e i leader del mondo non perderanno certo il sonno all’idea di stringere la mano a dittatori e lavorare su una terra intrisa di sangue appena versato.
Vi lascio con questa domanda: perché i funzionari libici sono stati invitati al vertice Russia-Africa e al Forum sulle ambizioni africane voluto dalla Francia, ma a oggi non sono stati invitati all’imminente conferenza di Berlino sulla crisi libica?
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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