Per prima cosa il faraone cambiò nome, da Amenhotep IV ad Akhenaton. Poi decretò che una nuova capitale dovesse essere costruita lontano dalla vecchia. In questa città si sarebbe dovuto adorare un solo dio, abbandonando tutti gli altri: il dio del sole Aten. L’eresia di Akhenaton non durò a lungo, e terminò con la sua morte meno di vent’anni dopo. Fu una parentesi nei tremila anni di stabilità culturale che caratterizzarono l’antico Egitto, ma la sua traccia duratura nell’arte e nel pensiero ne fanno una delle rivoluzioni religiose più discusse di tutti i tempi. Una spiegazione comune è che Akhenaton fosse stufo dei potenti sacerdoti della vecchia capitale Tebe, che adoravano molte divinità.
Ma se in realtà stesse fuggendo da un’epidemia? L’idea non è nuova, ma ha visto
un ritorno d’interesse con l’arrivo del covid-19. Dopo aver vissuto la peggiore pandemia dell’ultimo secolo, molti egittologi e archeologi guardano al passato con occhi nuovi. Hanno osservato in prima persona l’impatto sociale che può avere una pandemia – l’esacerbazione delle disuguaglianze, il rifiuto dell’autorità, la xenofobia e la ricerca di un senso – e si sono resi conto che questi fenomeni hanno probabilmente dei precedenti.
“Le malattie trasmissibili svolgono un ruolo culturale ed economico che si ripete nel tempo, fino ai giorni nostri”, dice Louise Hitchcock dell’università di Melbourne, in Australia. Vedendo quanto siano strettamente intrecciate le discordie sociali, le idee virali e i virus reali, Hitchcock e altri si chiedono se questo possa spiegare i principali cambiamenti culturali avvenuti nella storia, all’epoca di Akhenaton, durante la peste nera e con l’influenza del 1918.
Potrebbe anche spiegare alcuni dei venti ideologici trasversali che attraversano le nostre società odierne e che potrebbero plasmare il mondo successivo al covid 19?
Alcuni indizi dall’Egitto
Il caso della peste – intesa come malattia infettiva di proporzioni epidemiche – nell’Egitto della tarda età del bronzo ci offre per ora alcuni indizi. Nel 2012 l’egittologa statunitense Arielle Kozloff ha suggerito che ci fossero già segni di
peste nel regno del padre di Akhenaton, Amenhotep III. La studiosa ha evidenziato un vuoto di otto anni nella documentazione scritta e il fatto che Amenhotep avesse ordinato la creazione di molte statue di una dea della
guarigione dalla testa di leone, Sekhmet, più che per qualsiasi altra divinità. A un certo punto cambiò anche la sua residenza imperiale, forse nel tentativo d’isolarsi.
Nel 2020 Jorrit Kelder dell’università di Leida, nei Paesi Bassi, ha suggerito che la stessa pestilenza potrebbe aver spinto Akhenaton a intraprendere azioni più drastiche. Kelder aveva osservato come spesso le persone si siano sentite deluse dai governi che, nelle loro aspettative, avrebbero dovuto proteggerli dal covid-19. La riforma della religione egizia operata da Akhenaton nel quattordicesimo
secolo avanti Cristo “può forse essere vista come una mossa preventiva per sottolineare il fallimento, non suo, ma delle divinità tradizionali nel proteggere l’Egitto”, ha scritto. Tuttavia la nuova città di Akhenaton, Amarna, divenne rapidamente un nodo cruciale in una rete internazionale di commercio e diplomazia: una sorta di “prima epoca cosmopolita”, dice Kelder. Questa potrebbe quindi non essere sfuggita alla peste come sperava il suo fondatore. E la stessa pestilenza potrebbe aver causato la sua morte, quella della moglie Nefertiti, e quella di tre delle loro figlie.
Il Pew research center negli Stati Uniti ha riferito che un quarto degli adulti ha dichiarato che la propria fede si è rafforzata dopo lo scoppio del covid-19
La misteriosa malattia potrebbe essersi diffusa anche al di fuori dell’Egitto, soprattutto quando la gente cominciò a disertare Amarna. Hitchcock si è chiesta se questa abbia indebolito una serie di civiltà mediterranee, portando alla loro scomparsa per mano dei popoli del mare (un gruppo che imperversava nel Mediterraneo orientale) e alla fine dell’età del bronzo poco più di un secolo dopo. Lei e Kelder sottolineano di non essere egittologhe – anche se entrambe sono archeologhe che si occupano di civiltà mediterranee della tarda età del bronzo – e le loro sono solo delle ipotesi. Gli egittologi, nel frattempo, sono divisi su ciò che accadde ad Amarna.
Chi non è sorpreso che gli studiosi di storia antica la pensino in questo modo è Joel Finkelstein, cofondatore del Network contagion research institute (Ncri) di Lawrenceville, nel New Jersey, un istituto senza scopo di lucro. L’Ncri segue le tendenze dell’informazione sui social network e le mette in relazione con gli eventi del mondo reale. Dall’inizio della pandemia di covid-19, indipendentemente dagli orientamenti politici, la rete ha assistito all’ascesa di “gruppi rivoluzionari essenzialmente religiosi che rompono le relazioni con la società per dare vita a un qualcosa che inauguri un’era utopica”, afferma Finkelstein. Dopo aver costruito un seguito nel regno virtuale, l’attività di questi gruppi si è ora
riversata in quello fisico.
Trovare una religione
Anche altri hanno osservato che le persone si rivolgono alla religione in tempi di pestilenza, perfino in un’epoca come quella odierna sempre più laica. Effettuando ricerche su Google di testi di preghiera in 107 paesi, Jeanet Bentzen dell’università di Copenaghen, in Danimarca, ha riscontrato “un notevole aumento” dell’intensità delle preghiere nei primi mesi della pandemia di covid-19. Nell’aprile 2020 il Pew research center negli Stati Uniti ha riferito che un quarto degli adulti ha dichiarato che la propria fede si è rafforzata dopo lo scoppio del covid-19.
Cosa le persone cerchino nella religione in questi momenti è meno chiaro, ma è molto probabile che per molti si tratti di un ordine sociale più rigido. Michele Gelfand dell’università Stanford in California sostiene da tempo che le norme di una società s’inaspriscono in risposta a minacce ambientali come malattie, carestie e rischi naturali che richiedono un comportamento di condivisione e una
cooperazione su larga scala. Un modo per incoraggiare queste azioni è invocare un dio vendicativo che punisca i trasgressori delle norme. Nel 2021 il gruppo di Gelfand ha rilevato che nelle zone degli Stati Uniti con alti livelli storici di minacce ecologiche sono presenti anche alti livelli di fede in divinità punitive.
Quanto più alto era il tasso di mortalità durante la pandemia influenzale del 1918, tanto maggiore era la quota di voti delle città per il partito nazista all’inizio degli anni trenta
La religione non è l’unico modo per rendere una cultura più severa. In uno studio che ha coinvolto quasi 250mila persone in 47 paesi, Leor Zmigrod dell’università di Cambridge e i suoi colleghi hanno scoperto che con l’aumentare delle malattie infettive aumentano gli atteggiamenti conservatori e autoritari, anche indipendentemente da reddito, istruzione e altri fattori. È interessante notare come questa correlazione sia valida solo per le malattie trasmesse da persona a persona, piuttosto che attraverso un ospite intermedio o un vettore. Ciò suggerisce che la svolta autoritaria sia profondamente sociale e abbia a che fare con il modo in cui percepiamo le altre persone. Sebbene la ricerca sia precedente allo scoppio del covid-19, il comportamento delle persone durante l’attuale pandemia ha rafforzato questi risultati. “Questa malattia profondamente sociale, questa malattia che può essere trasmessa da altre persone, ha portato a un’ondata di autoritarismo in tutto il mondo”, afferma Zmigrod.
In un preoccupante parallelo storico, Kristian Blickle della Federal reserve di New York ha scoperto che, tra le città tedesche, quanto più alto era il tasso di mortalità durante la pandemia influenzale del 1918, tanto maggiore era la quota di voti delle città per il partito nazista all’inizio degli anni trenta, anche qui
indipendentemente da fattori come il reddito e la disoccupazione. “Esiste una reale paura del caos nei contesti [epidemici], quindi è proprio questo desiderio di severità che, a mio avviso, apre la strada al sostegno a divinità e a governi più rigidi”, afferma Gelfand. E laddove le persone cercano il controllo, aggiunge, sembra che ciò comporti il rafforzamento dei confini tra gruppi e una maggiore predilezione per quello di appartenenza. L’anno scorso Brian O’Shea dell’università di Nottingham, nel Regno Unito, e i suoi colleghi hanno riferito che il fattore principale che determina questa tendenza è l’avversione per i germi negli “estranei”, siano essi stranieri o compatrioti percepiti come appartenenti a un diverso sottogruppo etnico, religioso o di altro tipo.
Cospirazioni, stregonerie e mutazioni
Lo abbiamo visto naturalmente anche negli ultimi due anni. L’Ncri per esempio ha monitorato l’ascesa del movimento antigovernativo Boogaloo, che comprende suprematisti bianchi e neonazisti. Sebbene sia nato prima della pandemia, il gruppo ha davvero preso piede nella primavera del 2020, in occasione delle manifestazioni a favore delle riaperture negli Stati Uniti. I suoi seguaci, alcuni dei quali nel frattempo sono stati accusati di gravi reati, si sono distinti per le loro camicie hawaiane e i distintivi di Pepe the Frog, e online con meme apocalittici tra cui #dotr, ovvero “day of the rope” (giorno dell’impiccagione) e #rwds ovvero “right wing death squad” (squadra della morte di destra). Il covid-19 ha portato anche un’ondata di attacchi xenofobi contro le persone di origine asiatica e un diluvio di disinformazione antisemita online. L’antisemitismo è un tropo tradizionale in tempi di contagio, dice Finkelstein, che risale all’esodo degli ebrei dall’Egitto in seguito a una serie di pestilenze.
Il controllo e l’esclusione non sono però le uniche ragioni possibili per la coincidenza di pandemie e sconvolgimenti sociali. Nina Witoszek dell’università di Oslo, in Norvegia, e Mads Larsen dell’università della California, a Los Angeles, studiano il ruolo della narrazione nell’evoluzione culturale e ritengono che le persone ne stiano cercando una nuova. “Quando ci sentiamo minacciati, proviamo ansia”, dice Larsen. “Per attenuare l’ansia, gli esseri umani hanno bisogno di una versione dei fatti alla quale aderire”.
Affinché il cambiamento abbia luogo la società deve approfittare della perturbazione correggendo la rotta
Una pestilenza mette in discussione la “narrazione principale” diffusa dai dirigenti spirituali o laici e permette di far emergere nuove storie che spiegano dove le cose sono andate per il verso sbagliato e come porvi rimedio. In un parallelo storico con il movimento Boogaloo, alla metà del quattordicesimo secolo ci fu l’ascesa, nell’Europa meridionale, del movimento dei flagellanti, che era rimasto ai margini della società per un secolo, ma diventò molto più influente durante la peste nera. Quando la gente si chiedeva perché un dio benevolo avesse inflitto loro questa orribile malattia, i flagellanti rispondevano che la loro fede non era abbastanza forte. Vagavano di città in città, frustandosi, intimidendo sacerdoti e uccidendo ebrei. La loro non era l’unica storia in lizza per essere accettata all’epoca. C’erano anche spiegazioni cospiratorie per il flagello, dice Witoszek, e “stregonerie di ogni tipo”.
Michael Muthukrishna della London school of economics, studioso dell’evoluzione culturale, ha una visione darwiniana della questione. I traumi, come le epidemie, creano costellazioni di “mutazioni” ideologiche. Dopodiché entra in azione l’equivalente culturale della selezione naturale, che elimina le mutazioni meno adatte alla popolazione mentre altre si affermano.
Come potrebbe funzionare in pratica questa dinamica? Sia i germi sia le idee viaggiano attraverso le reti sociali umane, sostiene il sociologo e medico Nicholas Christakis dell’università Yale. Queste reti si sono evolute in modo da trovare un equilibrio ottimale tra i vantaggi e gli svantaggi dell’esposizione ad altre persone: vale a dire, principalmente, imparare da loro e non contrarre germi o idee pericolose. “La diffusione dei germi è il prezzo da pagare per la diffusione
delle idee”, afferma Christakis. Come Christakis e i suoi colleghi hanno dimostrato, usando le informazioni sugli studenti di Harvard raccolte durante la pandemia d’influenza H1N1 nel 2009, le idee possono viaggiare più velocemente dei germi e facilitare o bloccarne la diffusione. Si tratta di processi dinamici e in competizione tra loro, determinati da molti fattori. L’idea, per esempio, di rifiutare i vaccini antinfluenzali può diffondersi e persistere se promulgata da un carismatico influencer o se i confinamenti riducono l’esposizione delle persone ad altre idee. Ma diventa autolimitante se le persone muoiono e indeboliscono così la rete d’informazioni.
I flagellanti sono rimasti una spina nel fianco della chiesa cattolica per decenni. Alla fine, dice Witoszek, la chiesa ha reimposto la sua autorità dopo essersi sottoposta a “un’operazione di pulizia”, affrontando i propri fallimenti perriconquistare i fedeli. In altre parole, per rimanere dominante, la versione dei potenti doveva assecondare quella dei loro oppositori. Non sembra che ci sia stata una simile tendenza ad assecondare le idee di rottura di Akhenaton: i faraoni successivi riuscirono in gran parte a cancellarne la memoria. Tuttavia alcuni egittologi suggeriscono che il suo esperimento culturale abbia segnato l’inizio del
declino dell’onnipotenza del faraone, e abbia posto le basi per il monoteismo ebraico.
“Abbiamo molte prove chiare del fatto che i grandi cambiamenti avvengano in seguito a grandi catastrofi sociali, ma questo non è automatico”, dice Daniel Hoyer, responsabile del progetto Seshat, un archivio di dati storici globali. Affinché il cambiamento abbia luogo, la società deve approfittare della perturbazione correggendo la rotta. Se non lo fa, rischia di essere ancora più vulnerabile al prossimo shock.
“Finora poche società sono crollate solamente a causa di un’epidemia”, dice Kelder. Ma è vero che le stesse forze che rendono le società vulnerabili al contagio – l’aumento delle disuguaglianze, l’esplosione demografica, la
globalizzazione – le rendono anche sensibili alle idee rivoluzionarie, e sottovalutano queste a loro rischio e pericolo. Quindi, secondo Hitchcock, dovremo aspettarci che la pandemia di oggi porti dei cambiamenti. “La storia suggerisce che… è improbabile che la normalità post-covid somigli molto alla vecchia normalità”.
Le epidemie del passato sono molto difficili da individuare perché poche malattie infettive lasciano tracce sulle ossa. Tuttavia alcuni archeologi ritengono che una pestilenza abbia colpito l’Egitto alla metà del quattordicesimo secolo avanti Cristo, provocando una rivoluzione culturale.
Un indizio proviene dalla EA35, una tavoletta d’argilla cotta che fa parte di una raccolta di corrispondenze diplomatiche nota come “lettere di Amarna”, in cui il re dell’attuale Cipro informa il faraone che una spedizione di rame sarà ritardata a causa di una malattia nel luogo di partenza. Un’altra è una raccolta di testi che
rivelano che una pestilenza devastò il potente regno ittita – nell’attuale Turchia – alla fine dello stesso secolo, apparentemente portata da prigionieri di guerra egiziani.
Nel 2005 gli archeologi che scavavano ad Amarna – la città costruita dal rivoluzionario faraone egiziano Akhenaton – hanno portato alla luce quelle che sembravano ulteriori prove. Anna Stevens dell’università di Cambridge, che dirige il progetto sui cimiteri di Amarna, afferma che uno in particolare,
quello delle tombe settentrionali, sembra corroborare l’idea di un’epidemia. In quel luogo i morti mostrano una fascia d’età ristretta – dai sette ai 24 anni – e circa il 40 per cento delle sepolture scavate contiene più di una persona, a volte addirittura sette. “È abbastanza chiaro che sono morti a poca distanza di tempo l’uno all’altro”, dice.
Gli scavi di altri cimiteri hanno tuttavia rivelato un profilo di età più ordinario e sepolture individuali. Secondo Stevens, non si può escludere un’epidemia, ma essendoci prove che la vita dei lavoratori di Akhenaton fosse faticosa e il loro sistema immunitario poco robusto, la sua équipe ritiene che la presenza costante di alcune malattie sia sufficiente a spiegare la disposizione di quelle sepolture.
Altri, tuttavia, restano aperti all’ipotesi dell’epidemia. Nicole Smith-Guzmán dello Smithsonian tropical research institute di Panama City, che ha lavorato ad Amarna, ritiene che i suoi abitanti avessero alti livelli di malaria. Così alti che, quando la città cadde, potrebbero aver scatenato epidemie in zone più lontane.
Eva Panagiotakopulu dell’università di Edimburgo, nel Regno Unito, ha trovato un’altra prova schiacciante: pulci ottimamente conservate nel villaggio degli lavoratori di Amarna. Secondo lei, in un’area dove la peste bubbonica poteva già essere endemica, la combinazione di una grande concentrazione di persone, la natura fatiscente dell’insediamento e il commercio sul Nilo, rendevano Amarna una “situazione privilegiata per la possibile diffusione della peste [bubbonica]”. È una teoria che adesso intende verificare sul campo.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Scientist.
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