“Se questo fosse stato un anno normale, ora sarei in mare”, racconta Ed Dever sul settimanale scientifico Nature. Sarebbe in mare per controllare il funzionamento di un centinaio di sensori delle piattaforme dell’Ocean observatories initiative che misurano le proprietà fisiche, chimiche, geologiche e biologiche del mare, dai fondali alla superficie.
Dever è un oceanografo che insegna alla Oregon state university. Come ad altri suoi colleghi, il distanziamento sociale gli sta impedendo di garantire una raccolta continuativa dei dati, fondamentali per studiare i cambiamenti climatici e monitorare la salute degli oceani, e anche per costruire le previsioni meteorologiche. “Per alcune aree marine si tratta della prima interruzione nella raccolta dei dati dopo oltre quarant’anni di studi”, aggiunge preoccupato Frank Davis dell’università della California, a Santa Barbara, a capo di una rete di trenta siti terrestri e marini dal nord dell’Alaska all’Antartico che osserva i processi ecologici su lunghi intervalli temporali.
Emma Heslop, della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco, spiega che le osservazioni provenienti dalle navi sono in calo costante: dall’inizio di febbraio il 15 per cento delle stazioni non è più operativo. La comunità scientifica sta cercando altri modi per raccogliere i dati, ma la situazione potrebbe peggiorare. “Più a lungo saranno in atto le restrizioni”, afferma l’oceanografa, “più tempo ci vorrà per ripristinare le nostre operazioni”.
Dal mare all’aria
Il problema non si ferma in mare. Per ottenere previsioni meteorologiche accurate a breve e a medio termine, i meteorologi devono poter analizzare una grande quantità di dati sullo stato dell’atmosfera, soprattutto su temperatura, pressione, umidità e venti. Questi dati si possono raccogliere attraverso le stazioni meteorologiche, i palloni sonda, le navi, gli aerei e i satelliti.
I dati raccolti dai voli delle compagnie aeree sono fondamentali. Ma le restrizioni e il calo dei voli commerciali dall’inizio della pandemia ne sta riducendo la quantità. I dati forniti dalla flotta aerea statunitense, per esempio, sono dimezzati. Un aspetto positivo è che questo calo sta riducendo le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e l’inquinamento acustico vicino agli aeroporti. Tuttavia si tratta di effetti temporanei e alla lunga la pandemia potrebbe indebolire la lotta al cambiamento climatico.
Il Met office stima che la perdita di osservazioni degli aeromobili aumenterà l’errore di previsione dell’1-2 per cento
La perdita dei dati dei voli commerciali, spiega ancora Nature, genera alcune lacune difficili da colmare con altri sistemi di sorveglianza. Il Met office, il servizio meteorologico del Regno Unito, stima che la perdita di osservazioni degli aeromobili aumenterà l’errore di previsione dell’1-2 per cento e nelle zone con un maggior numero di voli l’accuratezza delle previsioni potrebbe risentirne anche di più. Il Met office gestisce oltre 250 stazioni meteorologiche che autonomamente raccolgono in modo continuativo dati atmosferici e meteo. “Per ora, quei sistemi funzionano bene, ma se uno strumento si dovesse spegnere”, spiega il portavoce del Met office, “sarà difficile far uscire il personale per riparare l’avaria”.
La parte di sorveglianza atmosferica meno colpita dalla pandemia è quella che richiede un intervento umano minimo o nullo, e questi sistemi dovrebbero essere in grado di continuare a funzionare quasi a pieno regime. Un esempio è l’Advanced global atmospheric gases experiment le cui tredici stazioni di monitoraggio atmosferico distribuite in tutto il pianeta misurano la presenza nell’aria di sostanze che possono distruggere l’ozono, di gas serra e di altri composti. In ogni stazione lavorano una o due persone per la manutenzione degli strumenti. Finora si sono rotti solo due strumenti, ma è improbabile che la perdita di un singolo strumento o anche di un intero sito per alcune settimane comprometta le capacità di monitoraggio della rete.
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