In Italia i Servizi pubblici per le dipendenze (Serd) non stanno passando un bel momento. Il governo ha stabilito che i 568 centri possono restare aperti durante la pandemia di covid-19, ma per scongiurare una diffusione del contagio molte attività sono state sospese e, in generale, ci si è dovuti riorganizzare.

“C’è un rischio sanitario per il personale che lavora nei centri, così come per chi li frequenta. Alcuni colleghi sono già stati ricoverati in terapia intensiva”, spiega Salvatore Giancane, medico esperto di farmacologia e tossicologia clinica al Serd di Bologna. “Oggi i pazienti vanno ancora a ritirare il metadone, ma quando possibile si cerca di allungare il periodo in cui gestisce da solo la sua assunzione a casa, così da decongestionare gli ambulatori e limitare gli spostamenti. Altri servizi, come i colloqui psicologici e le attività di gruppo, si prova invece a farli con delle videochiamate, ma non è sempre possibile”.

In Italia ci sono un milione di consumatori di cocaina, 285mila di eroina e 590mila utilizzatori di ecstasy, Lsd e amfetamine. Secondo l’ultima relazione al parlamento sulle tossicodipendenze, nel 2018 sono morte per overdose 334 persone, 38 in più rispetto all’anno precedente. Tra il 2017 e il 2018 c’è stata una crescita del 28 per cento di ricoveri per oppiacei, un valore che per la cocaina sale invece al 38 per cento.

Per più di 130mila persone la quarantena rischia di trasformarsi in un’odissea

I numeri però da soli non bastano a raccontare quello che succede a tante persone. Fare i conti con la propria dipendenza in queste settimane può essere molto complicato. In diverse città italiane si sono moltiplicate le segnalazioni di persone che hanno violato la quarantena in cerca di droga. A marzo le visite italiane al sito dell’istituto europeo per il trattamento delle dipendenze hanno registrato una crescita del 29,5 per cento.

Non tutti però hanno internet o il telefono, e anche nei casi in cui si riesce a stabilire un percorso da fare attraverso le videochiamate, non è così semplice. L’empatia e la fiducia tra pazienti e operatori sanitari giocano un ruolo fondamentale in questo senso.

“Un tossicodipendente fino a poco più di un mese fa sapeva che se aveva bisogno, qualsiasi tipo di bisogno, poteva andare in un Serd”, dice Giancane. “Oggi non riusciamo più a svolgere questa funzione. Ci stiamo giocando uno dei più grossi patrimoni dei servizi per le dipendenze: il fatto di essere un fulcro e un punto di riferimento per un gruppo di persone fragili. Questo segue i pesanti tagli che abbiamo subìto in passato”.

Più di 130mila persone frequentano i Serd e le strutture socioriabilitative. Per tutte loro – così come per chi ha una dipendenza ma non è seguito da nessuno – la quarantena rischia di trasformarsi in un’odissea. Il modo in cui viene vissuta e le difficoltà che si porta dietro cambiano a seconda delle storie personali.

Vito Lombardo, 46 anni, provincia di Bari

Stamattina ho fatto venti chilometri a piedi per andare a ritirare il metadone. A causa del covid-19 hanno soppresso i treni regionali che fermano nel mio paese, e anche gli autobus. Non ho un auto e un taxi mi costerebbe troppo. L’unica alternativa è camminare fino al Serd più vicino.

Per fortuna mi hanno allungato il periodo di affido a casa del farmaco da una a due settimane, quindi mi tocca fare questo viaggio solo due volte al mese. Mi sento comunque poco protetto: io non è che esco perché ne ho voglia, ma perché ho bisogno di un farmaco. Non sono un cittadino di serie b. La distribuzione del metadone a casa sarebbe una soluzione, e non solo in questo momento. Sogno un modello all’inglese, dove basta una tessera con microchip controllata dai Serd per ritirare il medicinale in farmacia.

Per quanto mi riguarda, meno vado al Serd meglio è. Ormai prendo la dose minima di metadone, a parte qualche piccola ricaduta non consumo più eroina. Da quando sono uscito dal carcere nel 2018 sono di fatto pulito. Quello che mi è sempre mancato alla fine di ogni percorso in comunità o progetto riabilitativo è stato il reinserimento sociale, nessuno mi ha dato una mano in questa fase e non avere una famiglia alle spalle non ha aiutato. Nel periodo di quarantena che stiamo vivendo è questo a preoccuparmi.

Non ho un lavoro, percepisco il reddito di cittadinanza e la pensione di invalidità, sono iscritto agli uffici di collocamento. In passato, durante l’estate, ho lavorato come stagionale e prima del lockdown ero pronto a mandare di nuovo i curriculum, come si fa di solito in questo periodo. Ma quest’anno è un punto interrogativo, non si sa nemmeno se la stagione estiva partirà. È l’ennesimo ostacolo a un mio reinserimento nella società, alla possibilità di avere un lavoro. È sempre stato il problema della mia vita.

Arianna T., 25 anni, Cremona

Sono sempre stata scettica sulla terapia a base di metadone, ma più o meno un anno fa ho cominciato questo percorso. Ho cominciato con l’eroina quando avevo 16 anni. Frequentavo le persone sbagliate, mi capitava di fumarla, poi sono passata a farmela in vena. Sono arrivata a rubare per comprarla, ho fatto mille lavoretti ma ogni volta finivo per perderli, le mie giornate giravano intorno alla droga. Non avevo una famiglia che mi stesse dietro, mio padre è morto di overdose.

La scelta di cominciare con il metadone è venuta dopo altri percorsi in comunità che sembravano essersi conclusi bene, e dopo i quali invece ho sistematicamente avuto delle ricadute. A fine febbraio però mi sono stancata e ho fatto l’errore di sospendere la terapia per qualche giorno. In poco tempo ho avuto dei sintomi da astinenza fortissimi, sono stata ricoverata in ospedale. Mi sono ritrovata così senza metadone proprio nel momento in cui il governo chiudeva tutto a causa del covid-19.

È stata una sofferenza dentro la sofferenza. Le prime settimane sono state devastanti, ero sola con me stessa, paralizzata in casa. Mi sentivo inerme, incapace di controllare le emozioni e i pensieri, in preda a continui sbalzi di umore. Ho fatto anche dei cattivi pensieri: mi dicevo che una volta finito tutto questo sarei tornata a cercare l’eroina, per quanto siano ormai otto mesi che non la assumo. Ho temuto di aver buttato via tutto il periodo di terapia.

Con il tempo però sono riuscita a focalizzarmi sulle mie passioni, il disegno e il kickboxing, che pratico in casa. Oggi mi sento meglio, sto imparando a convivere con questa situazione di clausura. Sono tornata a mangiare normalmente, la notte dormo in modo più tranquillo. Non so se ci sarà un lieto fine, ma in qualche modo la quarantena prolungata mi ha obbligata a fare i conti con me stessa.

Lara Cattelani, 38 anni, Roma

Lara e il suo compagno Diego. Roma, 16 aprile 2020. (Gianluca Abblasio per Internazionale)

Una situazione di emergenza come quella attuale può essere un dramma per chi si ritrova all’improvviso chiuso in casa senza né droghe né farmaci per la terapia. Il mio percorso personale mi permette invece di vivere la quarantena in modo relativamente più sereno.

Io ho cominciato con le pasticche, la cocaina, e poi sono passata all’eroina. Ho dormito in strada per tanto tempo, sono stata in carcere. Negli anni ho però costruito un rapporto umano e di fiducia con il personale del Serd e questo mi ha aiutata molto. Due anni fa mi sono trasferita a Roma, dovevo cambiare aria, riprendere in mano la mia vita. All’inizio non è stato facile, ho dovuto costruire da capo un rapporto con il personale sanitario. Ora le cose vanno bene ed è anche per questo che la quarantena mi sta pesando meno che ad altri.

Fino a febbraio prendevo la prima dose al Serd e poi mi davano le altre da portare a casa. Ora riesco a gestire da sola fino a tre settimane: con le persone meno a rischio allungano il periodo per evitare di congestionare i centri e aumentare il pericolo di contagio. Ovviamente non possono fare così con tutti, ci sono persone che potrebbero rivendere il metadone o consumarlo in poco tempo. Io sono sempre stata regolare nella terapia e oggi ne sto raccogliendo i frutti.

Al Serd che frequento sono particolarmente attenti, fanno un colloquio con ogni persona che si presenta a ritirare il farmaco per capire se stanno emergendo nuove fragilità e debolezze. Mi sento relativamente tranquilla per ora e voglio usare queste settimane di clausura, caratterizzate da ritmi meno frenetici del solito, per provare a togliere il metadone dalla mia vita.

Sto passando più tempo con i miei due figli, li aiuto con la didattica a distanza, mi dedico a loro e alle faccende domestiche. Ho avuto qualche momento di sconforto nei giorni scorsi, ho preso degli psicofarmaci, ma sono state brevi parentesi negative.

Gianluca Beltrami, 53 anni, provincia di Verona

Ho cominciato a prendere droghe a 14 anni. Vivevo a Verona, uscivo con dei tossicodipendenti e ho continuato a farlo quando mi sono trasferito in provincia. La mia storia con l’eroina è cominciata così. Sono passato da diverse comunità e progetti riabilitativi, ora sono anni che non ho più ricadute. Vado avanti con il metadone, c’è chi lo prende a vita, come Christiane F. , l’autrice del libro da cui è stato tratto il famoso film Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. È una sostanza che aiuta.

Frequento i Serd dagli anni ottanta e li ho visti cambiare nel tempo. Prima non davano facilmente i farmaci, passavano giorni da quando si faceva richiesta e quindi non c’era modo di resistere all’astinenza da eroina. Oggi è più facile, a chi è pulito danno il metadone da gestire per una settimana. Con il covid-19 a me ne danno per 14 giorni.

Io non lavoro, sono disoccupato e ho un’invalidità civile. Vivo con i 270 euro mensili che mi versa l’Inps. Mi è venuta la cirrosi epatica cinque anni fa. Non bevevo alcolici, mi è venuta per un uso sbagliato degli psicofarmaci. Inoltre, ho poche difese immunitarie.

Per me andare al Serd è un lungo viaggio, in questa fase in cui teoricamente non si dovrebbe uscire di casa la situazione non è cambiata. Non ho la patente, quindi faccio quattro chilometri in bicicletta fino al paese più vicino e da lì è mezz’ora di pullman. Mi porto dietro l’autocertificazione e la cartella clinica che autorizzano lo spostamento. Una volta al centro la pratica dura cinque minuti: analisi delle urine e ritiro dei flaconi di metadone, anche perché gli altri servizi sono sospesi.

Il fatto che oggi gli spostamenti siano limitati rende molto più difficile per un tossicodipendente procurarsi le sostanze illegali in strada. Proprio per questo, ci potrebbe essere un numero maggiore di persone che si rivolgono ai Serd, per compensare almeno con il metadone. Se però la pandemia dovesse durare ancora a lungo, ho paura che possa cominciare a scarseggiare.

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