Io accumulo pantofole, quelle di spugna dalla suola sottile che molti alberghi mettono a disposizione per i loro clienti. Ne ho la casa piena e alcune sono ancora avvolte nella bustina di plastica. Sono calzature che possono essere usate solo in casa, ma sono troppo preziose per sbarazzarmene.
Sono cresciuta in Unione Sovietica, dove c’era l’abitudine di indossare le tapochki, le pantofole. Ci toglievamo le scarpe appena rientravamo a casa, per lasciare fuori la sporcizia. Portavamo le pantofole a scuola, dove i nostri compagni – su richiesta del preside – ci controllavano gli zaini per vedere se avevamo lo smenka, il cambio di scarpe. I musei fornivano contenitori pieni di pantofole di feltro, così i visitatori potevano indossarle sugli stivali prima di entrare nelle sale. E sapevamo che quando andavamo a trovare un amico, ci avrebbe accolto con un paio di pantofole pronte per l’occasione. Camminare in casa, in qualsiasi casa, con le scarpe ai piedi era un gesto di maleducazione.
L’origine di quest’abitudine è misteriosa, ma le tapochki occupano un posto importante nella società russa. Il motivo è chiaro (la pulizia), ma il vero beneficio è simbolico.
La vestaglia, il divano e le pantofole rappresentano l’indifferenza dell’eroe nei confronti della vita
Nel 2006 a Ulyanovsk, in Russia, è stato collocato un monumento a Oblomov, il personaggio del famoso romanzo di Ivan Goncharov che racconta la storia di un apatico nobiluomo russo. Il monumento mostra il divano di Oblomov con sotto le pantofole. Nel romanzo, Ilya Ilich Oblomov trascorre gran parte del tempo in vestaglia, steso sul divano, senza fare niente.
L’intento del romanzo era politico: fu pubblicato due anni prima dell’abolizione della servitù della gleba in Russia ed è ritenuto, da alcuni, un ritratto dell’apatia generalizzata diffusa tra la nobiltà russa. La vestaglia di Oblomov, il divano e le pantofole rappresentano l’indifferenza dell’eroe nei confronti della vita esterna. Simboleggiano però anche lo spazio domestico, la sensazione di lasciare fuori le preoccupazioni del mondo, e la sicurezze e la comodità che solo una casa può offrire.
Separare l’interno dall’esterno
Nei quadri europei si trovano elementi che separano l’ambiente esterno da quello interno già dal quindicesimo secolo. Nel Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434) Jan Van Eyck include due paia di zoccoli di legno. Anche nell’incisione del 1514 San Girolamo nella cella di Albrecht Dürer ci sono delle scarpe che sembrano indicare un uso domestico: un paio di ciabatte in primo piano, posate sotto una panchina insieme a libri e cuscini. Non sappiamo se sono lì per indicare un loro uso esterno o l’inizio dell’abitudine di usare delle pantofole. Tuttavia, proprio come nell’opera di Van Eyck, un paio di scarpe accantonate in un angolo potrebbe indicare l’affermarsi di una nuova abitudine: quella di distinguere le calzature in base all’uso.
Più o meno in questo periodo, le conquiste dell’impero ottomano portavano in Europa le abitudini orientali. “La maggior parte degli ottomani indossava scarpe da esterno sopra scarpe da interno, come galosce”, spiega Lale Görünür, la curatrice del museo Sadberk Hanim di Istanbul. “Tuttavia non entravano mai in casa indossando le scarpe: le toglievano all’ingresso”. Ancora oggi le pantofole sono comuni in paesi come la Serbia e l’Ungheria.
“Abbiamo la tradizione delle pantofole perché siamo stati dominati dagli ottomani”, conferma Draginja Maskareli, curatrice del dipartimento per i tessuti e i costumi del museo delle arti applicate di Belgrado. Quando era una studente, all’inizio degli anni novanta, Maskareli è andata a Parigi per trovare dei cugini di origine serba, portandosi dietro le pantofole. “Non riuscivano a credere che avessi delle scarpe da casa”.
Sebbene i parigini di fine ventesimo secolo sembrassero molto incuriositi all’idea, i loro predecessori adoravano le pantofole. “Nel diciassettesimo secolo gli uomini si facevano ritrarre in un ambiente domestico con le pantofole ai piedi”, spiega Elizabeth Semmelhack, una curatrice del museo della scarpa di Bata a Toronto. “Nel diciottesimo secolo, quando i momenti di intimità diventarono una parte importante della cultura, si cominciano a vedere più quadri che raffigurano donne in pantofole”.
Gli spagnoli non si tolgono le scarpe
L’era vittoriana aggiunge un tocco particolare all’infatuazione per le pantofole. Le donne usavano il punto Berlin, uno stile di ricamo molto in voga all’epoca, per realizzare la parte superiore delle pantofole dei loro mariti. “Poi le portavano a un calzolaio che aggiungeva la suola. Regalavano le pantofole ai mariti, che le indossavano mentre fumavano la pipa, la sera davanti al camino”, dice Semmelhack.
Nei ritratti di ricchi russi del diciottesimo e diciannovesimo secolo spesso i protagonisti hanno pantofole in stile ottomano o scarpe sottili da casa. Le cose erano differenti per i poveri. I contadini e i braccianti o sono scalzi o in valenki, il tradizionale stivale di feltro russo. Forse per questo legame con il tempo libero dei ricchi, le tapochki furono snobbate dopo la rivoluzione russa del 1917. Non c’era posto per gli oggetti del vecchio mondo nel nuovo paradigma sovietico. Ma questo sentimento durò poco: sebbene meno stravaganti o decorate, presto le tapochki tornarono nelle case sovietiche, offrendo ai proprietari un po’ di comodità dopo una lunga giornata trascorsa a costruire il paradiso comunista.
Ogni volta che entro in casa tolgo le scarpe e ho chiesto ai miei ospiti di fare lo stesso
Oggi l’abitudine di togliere le scarpe a casa dipende dai posti. Un amico italiano mi ha detto che in Italia è considerato da maleducati andare in giro scalzi per casa, e un amico spagnolo ha sgranato gli occhi quando gli ho offerto un paio di pantofole: “Gli spagnoli non si tolgono le scarpe”.
In Giappone, dove le pantofole sono state introdotte dagli occidentali, la maggior parte delle persone si toglie le scarpe prima di entrare in casa. Jordan Sand, un professore di storia giapponese all’università di Georgetown, sottolinea che è l’architettura a consentire quest’abitudine. “I giapponesi vivono in case con pavimenti rialzati. È comune, anche negli appartamenti moderni, trovare uno spazio all’ingresso”, spiega. “Quando si entra dalla porta c’è un piccolo atrio e uno scalino, e il resto della casa è più alto rispetto all’esterno. Lì si lasciano le calzature. In una casa tradizionale la maggior parte dello spazio interno è coperto da tatami”. I giapponesi di solito camminano scalzi o in calzini sui tatami, ma ci sono delle eccezioni. Dove non c’è il tatami (per esempio in cucina, corridoio o bagno) si indossano le ciabatte. Ci sono un paio di pantofole apposta per il bagno.
Quando mi sono trasferita negli Stati Uniti nel 1989, le pantofole sono sparite dal mio mondo. Gli americani non tolgono mai le scarpe, e la moquette – che spesso va da una parete all’altra – porta le tracce delle scarpe. Non riuscirò mai ad abituarmi all’idea. Ogni volta che entro in casa tolgo le scarpe e ho chiesto ai miei ospiti di fare lo stesso. L’assortimento di pantofole di spugna che mi sono procurata negli alberghi è sempre a disposizione.
Per quanto mi riguarda, accanto alla porta mi aspetta il mio paio di pantofole. Quando le indosso, i piedi sono più liberi, il pavimento è pulito e io mi sento davvero a casa.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito su The Atlantic.
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