Nicolás Maduro prova a riscattare la sua presidenza
Grazie alla crisi del covid-19 il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha ripreso il controllo del panorama politico nazionale e sta stringendo la sua morsa sulle istituzioni del paese. Nel frattempo il suo rivale, il deputato e presidente autoproclamato Juan Guaidó, appare in difficoltà. Incapace di cacciare il “dittatore” come aveva promesso, Guaidó è sempre più contestato anche all’interno del suo schieramento. Perfino Washington sembra sul punto di abbandonarlo.
La prospettiva delle elezioni legislative è diventata poco incoraggiante per il leader di un’opposizione che dal 2015 ha la maggioranza in parlamento. L’assemblea nazionale (An) dovrà infatti essere rinnovata nel 2020, e i quattro principali partiti di opposizione, riuniti in una sorta di “G4” (composto da Acción democratica, Voluntad popular, Primero Justicia e Un nuevo tiempo), hanno già fatto sapere che non parteciperanno al voto, definito una “farsa elettorale”.
Gli oppositori denunciano i metodi del Tribunale superiore di giustizia (Tsj). Il 12 giugno, arrogandosi una prerogativa che la legge attribuisce al parlamento, il tribunale ha nominato un nuovo Consiglio nazionale elettorale (Cne). Tre giorni dopo è arrivata la destituzione dei leader dei due principali partiti d’opposizione, Acción democratica e Primero Justicia.
Futuro in bilico
La data per le elezioni non è stata fissata. “Nessuno sa se sarà possibile organizzarle, considerato il contesto sanitario attuale”, sottolinea il ricercatore e politologo Ronal Rodríguez. Tuttavia Maduro non sembra avere dubbi. “Cambieremo tutto quello che può essere cambiato all’assemblea nazionale”, ha dichiarato il presidente il 16 giugno. “Con forza e con fiducia. La nostra azione sarà grandiosa”. Il futuro di Juan Guaidó, a questo punto, appare in bilico.
All’inizio del 2019 Guaidó, giovane deputato sconosciuto al grande pubblico, è stato eletto presidente del parlamento in virtù di un accordo tra i grandi partiti d’opposizione. La nuova carica gli ha poi permesso di autoproclamarsi presidente ad interim invocando l’illegittimità della rielezione di Nicolás Maduro nel 2018 e l’esistenza “di un vuoto di potere presidenziale”. Guaidó è stato riconosciuto come presidente legittimo da una cinquantina di paesi, a cominciare dagli Stati Uniti. Ma la speranza di una transizione politica rapida si è subito infranta, lasciando spazio a un ritorno delle divisioni all’interno dell’opposizione. Secondo un sondaggio dell’istituto Datanálisis la popolarità di Guaidó è precipitata dal 63 per cento del gennaio 2019 al 25,5 per cento del maggio 2020.
“I partiti d’opposizione non vogliono partecipare alle legislative perché sanno che le perderebbero”, ha attaccato Maduro durante una teleconferenza davanti ai militanti del suo partito. Tuttavia gli stessi sondaggi indicano che la popolarità di Maduro non va oltre il 13,1 per cento. “Mobilitare l’elettorato non sarà facile per nessuno dei due schieramenti”, sottolinea Ronal Rodríguez. La sfiducia nei confronti della classe politica, insomma, è generale.
Trump si è detto disponibile all’idea di un incontro con Maduro e ha sminuito l’appoggio concesso dal suo paese a Guaidó nel gennaio 2019
La politologa Colette Capriles ricorda che “Guaidó non è diventato capo dell’opposizione grazie alle sue qualità personali, ma è stato solo un ingranaggio di una strategia politica elaborata per contrastare Maduro con l’appoggio della comunità internazionale. Questa strategia è fallita per diversi motivi, oltre che per la mancanza di leadership di Guaidó”. L’ex diplomatico Nicolás Rojas ritiene che Guaidó abbia “commesso l’errore di non smarcarsi dalla destra più radicale né dai sostenitori di un intervento esterno”.
Davvero il leader dell’opposizione ha perso l’appoggio degli Stati Uniti? In un’intervista concessa il 19 giugno al sito Axios e pubblicata due giorni dopo, Trump si è detto disponibile all’idea di un incontro con Maduro (che il 22 giugno ha risposto di essere “pronto a discutere rispettosamente”) e ha sminuito l’appoggio concesso dal suo paese a Guaidó nel gennaio 2019. “Non sono stato del tutto favorevole a quel riconoscimento”, ha detto inizialmente Trump. Le dichiarazioni rilasciate ad Axios ricalcano quelle riferite dall’ex consulente per la sicurezza nazionale John Bolton. “Donald Trump pensava che Guaidó fosse ‘debole’ mentre considerava ‘forte’ Maduro,” ha scritto Bolton nelle sue memorie pubblicate il 23 giugno.
La mattina del 22 giugno, come per smorzare il clamore suscitato dalla sua intervista, Trump ha annunciato sul suo profilo Twitter che avrebbe incontrato Maduro “solo per discutere un argomento: la sua pacifica rinuncia al potere”, precisando che “contrariamente alla sinistra radicale, sarò sempre contro il socialismo e con il popolo del Venezuela!”.
Crisi e paradosso
L’economia del paese, intanto, è completamente devastata. Dal 2015, cinque milioni di venezuelani hanno scelto la via dell’esilio, e l’alto commissario per i rifugiati ha ricordato che questo dato mette il paese al secondo posto nella classifica mondiale dei paesi con più abitanti in fuga, dopo la Siria stravolta dalla guerra. Ma paradossalmente la paralisi dell’economia e la carenza di benzina hanno contribuito a frenare la diffusione del covid-19. Oggi il Venezuela registra uno dei tassi di contagio più bassi della regione. I dati ufficiali parlano di 7.693 casi e 71 decessi all’8 luglio. La tragedia sanitaria annunciata dagli specialisti di sanità pubblica, per il momento, non si è verificata, e questo spinge Maduro a considerarsi in posizione di forza nel panorama politico.
La nomina da parte dei magistrati dei cinque componenti del consiglio elettorale è stata criticata da Washington e Bruxelles. “Il regime ha nominato un consiglio elettorale che si accontenterà di ratificare le decisioni del potere e ignorerà le condizioni indispensabili per un voto libero”, ha dichiarato il segretario di stato americano Mike Pompeo. Al capo della diplomazia europea Josep Borrell, preoccupato di “vedere ridotto al minimo lo spazio democratico in Venezuela”, Maduro ha risposto che l’Unione europea può “andare al diavolo”.
Da diversi mesi molti partiti d’opposizione hanno preso le distanze da Guaidó per seguire la via del dialogo con il potere
Tre dei cinque componenti del Cne sono donne considerate vicine al chavismo. La presidente, Indira Alfonzo, ha fatto parte del Tsj. Il vicepresidente Rafael Simón Jiménez, invece, si definisce un oppositore del regime. In un’intervista concessa al quotidiano digitale TalCual, l’ex parlamentare ha ricordato che l’opposizione unita è stata capace di vincere le elezioni del 2015 nonostante il Cne fosse già apertamente favorevole al regime. Jimenez rimprovera ai leader politici dell’opposizione la scelta di chiedere il boicottaggio delle prossime legislative senza nemmeno attendere che siano definite le condizioni dello scrutinio.
Partiti decapitati dai tribunali
Jiménez ha criticato anche l’interferenza della giustizia nella vita dei partiti politici. Deliberando su una serie di ricorsi presentati da alcuni militanti insoddisfatti, il Tsj ha deciso di estromettere Henry Ramos Allup dalla direzione dell’ex partito socialdemocratico Acción democratica, sostituendolo con il suo braccio destro Bernabé Gutiérrez, che ha immediatamente fatto sapere che il partito parteciperà alle legislative.
Anche il partito Primero Justicia dell’ex candidato presidenziale di opposizione Henrique Capriles è stato decapitato. Escluso dal partito nel 2019 perché accusato di corruzione, il deputato Luis Brito è stato posto alla guida di Pj come sostituto di Julio Borges, attualmente in esilio a Bogotá. Sul suo profilo Twitter, Capriles ha accusato la giustizia di “aver consegnato il partito alla corruzione”.
La decisione di boicottare le elezioni non è stata accolta all’unanimità dal fronte antichavista. “Le divergenze d’opinione sono profonde. Da un lato ci sono i leader in esilio, che hanno largamente perso il contatto con la base. Dall’altra ci sono i responsabili regionali e i militanti della base”, sottolinea Ronal Rodríguez.
Da diversi mesi molti partiti d’opposizione hanno preso le distanze da Guaidó per seguire la via del dialogo con il potere. Minoritari dal punto di vista elettorale, questi partiti sono considerati come traditori dalla coalizione d’opposizione, che li accusa di essersi venduti al potere. Luis Vicente León, presidente di Datanálisis, ricorda che “l’opposizione può vincere solo se si presenta unita”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde.