Sport estremi, auto di grossa cilindrata, pesca d’altura e safari in tutto il mondo: il principe ereditario di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è un globe-trotter indaffarato. Fisico prestante e barba rasa, Hamdan ben Mohammed ben Rachid al Maktoum – detto “Fazza”, “colui che vuole aiutare”, nome con cui ha pubblicato alcune poesie romantiche – condivide assiduamente la sua vita di lusso sui social network.
Una delle foto lo ritrae in mezzo a un gruppo di elefanti, mentre sullo sfondo sono riconoscibili i grattacieli di Dubai. La vista di questi pachidermi sulle sabbie degli Emirati Arabi Uniti ha qualcosa di incongruo. Gli interventi social del principe sono accompagnati da hashtag come WildLife (vita selvaggia) et MyDubai.
Fino a poco tempo fa la vita selvaggia negli Emirati era del tutto priva di elefanti. Questi mammiferi in via d’estinzione, infatti, sono stati importati dall’Africa, nello specifico dalla Namibia e dallo Zimbabwe. Oltre che a Dubai, gli elefanti africani hanno fatto la loro comparsa nella maggior parte degli zoo degli Emirati.
Una battaglia impari
Hamdan ben Mohammed ben Rachid al Maktoum frequenta spesso le riserve tanzaniane per cacciare gli elefanti insieme ad altri grandi animali-simbolo come i leoni. In un video di cattivo gusto pubblicato il 21 marzo del 2018, il principe si mostra in compagnia di una ragazza che invita a cantare. La ragazza è coperta da uno scialle rosso e nero tipico dei masai, una comunità che vive nel distretto di Ngorongoro, nel nord est del paese, al confine con il celebre parco nazionale del Serengeti.
Lo scorso 10 giugno l’esercito tanzaniano ha sparato contro i manifestanti masai muniti di archi e frecce che stavano cercando di rimuovere alcuni picchetti piazzati dalle autorità per delimitare una nuova zona di 1.500 chilometri quadrati in cui l’accesso è vietato ai masai e alle loro mandrie. Bilancio: una trentina di feriti, capi di bestiame abbattuti e 25 persone (tra cui diversi consiglieri di quartiere) arrestate e accusate di aver ucciso un agente di polizia. Il processo è stato aggiornato al 28 luglio.
Come la fauna e i paesaggi eccezionali, i masai fanno parte dell’immagine turistica e del folklore tanzaniani
Secondo l’Onu 150mila persone potrebbero essere costrette e trasferirsi. Il governo invece sostiene che separare queste popolazioni dalla loro terra ancestrale sia necessario per preservare la fauna locale e ampliare le zone protette. “Questa espulsione forzata e illegale è sconvolgente, sia per la portata sia per la brutalità”, ha dichiarato Deprose Muchena, direttore di Amnesty international per l’Africa orientale e meridionale.
Al pari della fauna e dei paesaggi eccezionali, anche i masai fanno parte dell’immagine turistica e del folklore tanzaniani. Ma al di là di questa facciata, la comunità è stata vittima dell’industria del turismo e della conservazione ambientale fin dalla colonizzazione britannica. Negli anni cinquanta i masai sono stati costretti a spostarsi dal Serengeti verso il Ngorongoro in nome della protezione della fauna.
La versione paternalista secondo cui l’attività pastorale dei masai danneggerebbe l’ambiente (nonostante molti esperti affermino il contrario) e di conseguenza la comunità andrebbe civilizzata è regolarmente sfruttata dalle autorità tanzaniane per giustificare le proprie manovre, il cui obiettivo è quello di soddisfare un’insaziabile industria del turismo. Il settore – prima fonte di valuta estera, seconda risorsa del pil e terza per numero di lavoratori impiegati – è ormai diventato vitale e suscita gli appetiti di investitori privati come la Otterlo business corporation (Obc).
Terre svendute
Nel 1992 la Obc ha negoziato una concessione di 400mila ettari a est del Serengeti per un periodo inizialmente fissato in vent’anni. Quasi subito l’azienda è stata accusata di vietare ai masai e alle loro mandrie l’accesso alle terre e all’acqua potabile, ma anche di fare ricorso all’esercito e alla polizia per allontanare le popolazioni e bruciare le loro fattorie.
Il fautore di quell’accordo tra lo stato tanzaniano e l’azienda privata è Mohamed Abdul Rahim al Ali, ex vice ministro della difesa degli Emirati e vicino alla famiglia reale. In cambio degli investimenti nell’esercito tanzaniano, l’ex presidente Ali Hassan Mwinyi (1985-1995) ha dunque svenduto le terre dei masai nella più totale opacità.
L’attività della Obc, le cui incursioni nelle zone protette sono state denunciate dagli attivisti locali, è stata interrotta nel 2017 dopo la scoperta di una rete di corruzione all’interno del ministero per le risorse naturali e il turismo, prima di essere nuovamente autorizzata l’anno successivo dopo l’allontanamento del direttore generale e di alcuni alti funzionari tanzaniani.
Diverse fonti locali assicurano che uno dei principali azionisti della Obc sia il vicepresidente del Chama cha mapinduzi (Ccm) il Partito della rivoluzione che ha controllato costantemente il potere dall’indipendenza del paese, nel 1962. Segretario generale del Ccm dal 2012 al 2018, Abdulrahman Kinana compare in un video in cui accoglie Mohammed ben Rachid al Maktoum, padre di “Fazza”, appena sceso dall’aereo nella savana tanzaniana, nel marzo 2018, su una pista d’atterraggio di 2,5 chilometri costruita dalla Obc.
Le attività della Obc, principalmente al servizio della famiglia reale degli Emirati e dei suoi amici, vanno dal safari di lusso (leoni, leopardi, elefanti) agli alloggi di alta gamma. Ogni settimana quintali di carne di selvaggina lasciano il territorio tanzaniano per via aerea, senza alcun controllo da parte delle autorità, mentre centinaia di carcasse sono abbandonate sul posto. Le guardie locali parlano di “campi della morte del Loliondo”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul giornale francese online Mediapart.
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