Cosa significa annessione?
In genere l’annessione, o “estensione della sovranità”, è una dichiarazione con cui territori che in base al diritto internazionale si considerano occupati diventano parte integrante dello stato che li annette, specialmente in termini di legge, giurisdizione e amministrazione. In questo modo viene sostituito il governo militare (“occupazione belligerante”, per usare la definizione ufficiale), che in base al diritto internazionale si applica ai territori occupati.

Di solito l’annessione è un’iniziativa unilaterale della potenza occupante, e non un’iniziativa raggiunta attraverso negoziati e accordi di pace con la parte occupata. Per esempio, è così che Israele ha inglobato le alture del Golan e Gerusalemme Est, attraverso azioni unilaterali accompagnate da decisioni governative e leggi della knesset.

La grande maggioranza della comunità internazionale non ha mai riconosciuto queste azioni, fino a quando l’attuale amministrazione statunitense guidata dal presidente Donald Trump ha cambiato la politica di Washington sulla questione e ha riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan e su Gerusalemme. Tuttavia Trump ha sottolineato che il riconoscimento non esclude futuri negoziati sul destino di questi territori. Ora il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu vuole dichiarare, con il sostegno statunitense, la sovranità israeliana su tutti gli insediamenti ebraici creati in Cisgiordania dal 1967, compresi quelli nella valle del Giordano. Nelle ultime tre campagne elettorali lo ha ribadito più volte. Inizialmente si era concentrato sull’annessione della valle del Giordano, ma poi ha puntato sull’inclusione di tutti gli insediamenti della Cisgiordania, in conformità con il piano di Trump per il Medio Oriente reso noto alla fine di gennaio.

Quali aree possono essere annesse in base al piano di Trump?
Sulla carta, il piano ideato dall’amministrazione Trump si basa sulla soluzione dei due stati e delinea un futuro lontano in cui esisterà uno stato palestinese accanto a Israele. Ma per quanto riguarda l’area su cui dovrebbe nascere questo stato palestinese, il piano prevede il territorio più limitato e spezzettato mai offerto dalla comunità internazionale. Secondo Trump il principio è che “nessun palestinese o israeliano sarà sradicato dalla propria casa”. Quindi, come chiarisce anche la mappa che accompagna il piano, Israele potrà annettere tutti gli insediamenti esistenti, oltre alle aree circostanti e alle strade di accesso.

I piani di annessione di Israele.

Secondo l’amministrazione statunitense, Israele ingloberà circa il 30 per cento della Cisgiordania. Ma in base alle mappe presentate da Netanyahu e dalla Casa Bianca, gli esperti hanno calcolato il 20 per cento. A questo si aggiunge lo “scambio di territori e popolazioni” per l’area del deserto del Negev e della Galilea, nota come il Triangolo (in base al piano i cittadini arabi d’Israele che vivono nella zona saranno privati della cittadinanza e costretti a trasferirsi in territorio palestinese). Ma non è chiaro se questa parte resterà effettiva dopo essere stata ampiamente criticata a gennaio. È importante ricordare che una mappa definitiva e dettagliata deve ancora essere pubblicata. È stata istituita una commissione congiunta israelo-statunitense che sta lavorando a delineare confini più precisi. Inoltre, prima della pubblicazione del piano Trump, nel novembre del 2019 il segretario di stato Mike Pompeo aveva annunciato che gli Stati Uniti non consideravano più gli insediamenti necessariamente in contrasto con il diritto internazionale, che Israele era libero di definirne lo status legale e che Washington era pronta a riconoscerlo.

L’annessione è condizionata all’accettazione da parte israeliana di tutto il piano, compresa la creazione di uno stato palestinese?
Secondo il piano di Trump e alcuni alti funzionari statunitensi, tra cui Pompeo, per procedere con l’annessione Israele deve accettare tutto il piano, in particolare la parte che prevede negoziati diretti con i palestinesi per almeno quattro anni. Durante questo periodo Israele dovrà congelare tutte le costruzioni e le demolizioni nei territori destinati allo stato palestinese e possibilmente anche in altre aree. Il piano include anche l’istituzione di una capitale palestinese nei quartieri di Gerusalemme Est e la liberazione dei prigionieri palestinesi.

Tutte queste clausole sono fortemente osteggiate dai leader dei coloni, che giudicano il piano un notevole compromesso rispetto alla loro idea di un “Grande Israele”, e stanno valutando se sostenere l’annessione nella speranza che il resto non sia mai applicato. Il piano comprende anche una lunga lista di condizioni che i palestinesi dovranno soddisfare. Come ha detto l’ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman, ci sarà uno stato palestinese solo “quando i palestinesi saranno diventati canadesi”.

Ma se l’amministrazione statunitense ha più volte sottolineato che per procedere con l’annessione Israele deve accettare tutto il piano, la commissione che sta delineando i confini ha già fatto molto lavoro. In altre parole, Israele e Stati Uniti si stanno preparando a realizzare un’annessione unilaterale. La loro argomentazione è: visto che questi territori in futuro saranno comunque israeliani in base al piano Trump, e che i palestinesi non sono interessati ai negoziati, nulla impedisce di annettere i territori in anticipo.Tuttavia su questo punto l’amministrazione statunitense si esprime con voci dissonanti. Jared Kushner, genero del presidente e suo consigliere, a capo della squadra che ha elaborato il piano, tende a mandare messaggi tranquillizzanti al mondo arabo, per dare l’impressione che il piano va realizzato nel suo complesso. Friedman, invece, manda messaggi rassicuranti alla destra israeliana, dicendo che l’annessione può avere luogo comunque.

Il piano Trump per la Palestina, in un video di Al Jazeera.

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Quando succederà?
In base all’accordo tra il Likud (il partito di destra di Netanyahu) e il partito centrista Blu e bianco (guidato da Benny Gantz) per formare un governo di coalizione, a partire dal 1 luglio Netanyahu potrebbe portare “l’accordo sull’estensione della sovranità stipulato con Washington al comitato per la sicurezza nazionale e poi al governo, per l’approvazione dell’esecutivo e/o della knesset”. In un incontro con i deputati del Likud il 25 maggio, Netanyahu aveva affermato che “la data fissata per avviare l’annessione è il 1 luglio, e non abbiamo intenzione di cambiarla”. E aveva aggiunto: “Questa è un’occasione da non perdere”.

Tuttavia, in tutti gli accordi di coalizione, il contenuto da sottoporre all’approvazione del governo è volutamente vago e non è chiaro in che modo Netanyahu pensi di presentare e realizzare il processo, se con l’annessione, il rinvio dell’annessione o un’annessione parziale o graduale.

Quali possono essere le conseguenze dell’annessione in Cisgiordania?
Dal 1967 Israele compie in Cisgiordania molte azioni che rientrano in un’“annessione strisciante” o “annessione de facto”, come l’espansione di insediamenti e avamposti e il loro collegamento a Israele attraverso infrastrutture, oppure le restrizioni sui cantieri palestinesi e le demolizioni nell’Area C (che costituisce il 60 per cento della Cisgiordania ed è sotto controllo militare israeliano). L’iniziativa in discussione offrirebbe un inquadramento legale alla realtà dei fatti, rendendola de iure, ma anche radicandola sempre di più.

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Innanzitutto, renderebbe possibile sostituire l’amministrazione militare con le leggi e l’amministrazione israeliana. In teoria oggi la massima autorità giuridica nei Territori occupati è l’esercito, che risponde al ministero della difesa. Questo è possibile in parte applicando una legislazione che risale al periodo precedente all’occupazione israeliana. Ma nell’ambito di quella “annessione strisciante”, le leggi israeliane sostanzialmente già si applicano ai coloni (non ai palestinesi che vivono nelle stesse aree). È possibile, insomma, che l’annessione israeliana fornisca una base legale alla situazione esistente, in cui ci sono due sistemi giuridici separati per israeliani e palestinesi. Ma potrebbe anche comportare l’applicazione della legge israeliana a molte aree in cui oggi vivono i palestinesi. Il loro numero dipenderà dalla mappa definitiva. Uno scenario simile solleva interrogativi sullo status di questi palestinesi.

Israele gli garantirà la cittadinanza?
Potrebbero esserci anche delle conseguenze per i palestinesi che possiedono le terre annesse e rischiano di perdere il loro diritto alla proprietà. Secondo Shaul Arieli, israeliano esperto della questione, si tratterebbe del 23 per cento della terra annessa. Un altro punto è la legge fondamentale sui referendum, in base alla quale la cessione di terre soggette alla legge israeliana richiede una maggioranza di ottanta parlamentari, oppure un referendum. Finora questa legge non si applicava alla Cisgiordania perché ufficialmente lì non vige la legislazione israeliana. Applicare la legge israeliana a tutta o a parte della Cisgiordania renderebbe molto difficile fare concessioni in futuro, nell’ambito di eventuali accordi di pace.

Per questi e altri motivi la sinistra avverte che l’annessione affosserà la soluzione dei due stati e porterà alla creazione di un singolo stato che o metterà a repentaglio l’identità ebraica dello stato di Israele o istituirà ufficialmente un regime di apartheid, con un sistema legale separato e discriminatorio per i palestinesi.

Come ha reagito il mondo alla possibile annessione israeliana?
Quando era stato pubblicato il piano di Trump, gran parte del mondo aveva appoggiato in linea di principio l’idea di riportare le due parti al tavolo dei negoziati. Ma dopo, quando le dichiarazioni israeliane sull’annessione si sono fatte più insistenti, molti paesi hanno espresso una forte opposizione a qualunque mossa unilaterale, e questa al momento è la linea prevalente in ambito internazionale. La maggior parte degli stati sottolinea che un’annessione israeliana unilaterale costituirebbe una violazione del diritto internazionale e sarebbe la fine della soluzione dei due stati e quindi della prospettiva dell’autodeterminazione nazionale palestinese.

L’Unione europea guida l’opposizione a questa prospettiva, insieme alla Giordania, che subirebbe un danno concreto dall’annessione della valle del Giordano. Anche la maggior parte dei paesi del mondo musulmano sono schierati con Amman e con i palestinesi. A metà maggio, dopo la formazione del nuovo governo israeliano, gli stati dell’Unione europea hanno cominciato a discutere l’ipotesi d’imporre sanzioni contro Israele in caso di annessione degli insediamenti.

L’Europa adotterebbe davvero delle sanzioni contro Israele?
Come tutte le decisioni di politica estera dell’Unione europea, gran parte delle sanzioni ufficiali contro Israele richiederebbe il consenso unanime dei paesi membri. Negli ultimi anni l’Unione non è riuscita a raggiungere il consenso su quasi niente, compresa la questione di Israele e dei palestinesi. Paesi come l’Ungheria e l’Austria, considerati vicini al governo di Netanyahu, hanno più volte bloccato risoluzioni e decisioni contro l’esecutivo israeliano.

Ma esistono azioni punitive che non richiedono questo genere di consenso, prima tra tutte l’espulsione di Israele da trattati commerciali, sovvenzioni e iniziative di cooperazione. Queste sono prerogativa della Commissione europea, non dei ministri degli esteri dei vari paesi. Al momento sono in programma diversi accordi nel campo della ricerca e dell’istruzione. Nel caso non si portassero a termine, si priverebbe Israele di risorse accademiche e scientifiche, anche se non ufficialmente come nel caso delle sanzioni. Un’altra opzione potrebbe essere intensificare la politica di differenziazione degli insediamenti, per esempio segnalando i beni prodotti nelle colonie. Inoltre, ogni paese europeo può decidere di prendere i propri provvedimenti contro Israele senza consultare gli altri stati.Tuttavia, il responsabile della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, ha più volte sottolineato che la strada per le sanzioni è ancora lunga. I meccanismi di Bruxelles si muovono lentamente e per vie diplomatiche, nella convinzione che sia importante mantenere aperti i canali con Israele e preservare quanta più influenza possibile.

Qual è la posizione del partito Blu e bianco?
Blu e bianco ha firmato l’accordo che permette a Netanyahu di sottoporre un piano di annessione all’approvazione della knesset o del governo. Inoltre si è impegnato a non interferire in alcun processo legislativo nelle commissioni parlamentari. Il capo del partito Benny Gantz e il ministro degli esteri Gabi Ashkenazi sono stati attenti a esprimere sostegno al piano Trump nella sua interezza, e non a iniziative unilaterali di annessione slegate dalle altre parti del piano.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

Da sapere
Un piano da fermare
  • Il 24 giugno il segretario generale dell’Onu António Guterres ha chiesto a Israele di abbandonare il piano di annessione e il 29 giugno l’alta commissaria dell’Onu per i diritti umani Michelle Bachelet ha definito il progetto “illegale”.
  • In Israele il premier Benjamin Netanyahu ha fatto capire il 30 giugno che, nonostante la sua ferma intenzione di procedere con l’annessione dal 1 luglio, quest’iniziativa potrebbe subire dei ritardi e che in questi giorni continueranno le discussioni con gli inviati degli Stati Uniti. Alcuni giorni prima il suo partner di governo Benny Gantz aveva detto che la data del 1 luglio non era “sacra”, sottolineando che la priorità dev’essere data alla lotta alla pandemia e alla crisi economica.
  • Anche il primo ministro britannico Boris Johnson è intervenuto nel dibattito con un commento sul quotidiano israeliano Yedioth Aharonot in cui si dice contrario all’annessione.

Questo articolo è uscito sul numero 1363 di Internazionale. Era stato pubblicato sul sito del quotidiano israeliano Haaretz.

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