John Callahan (1951-2010) era un disegnatore statunitense, rimasto tetraplegico in seguito a un incidente automobilistico. Tra il 2000 e il 2007 Internazionale ha pubblicato ogni settimana una sua vignetta. In questi giorni è nelle sale Don’t worry, il film di Gus Van Sant tratto dalla sua autobiografia.

Questo articolo è uscito il 27 agosto 2010 nel numero 861 di Internazionale, a pagina 70. L’originale era uscito su The Independent con il titolo Prophet of bad taste.

“Cerco di non soffermarmi sulla paralisi”, mi ha detto John Callahan una volta. “A meno che non voglio mangiare cinese e la persona che sta con me non vuole andarlo a comprare perché piove. Allora porto abilmente la conversazione sul fatto che sono tetraplegico. Ci sono dei lati positivi nell’essere su una sedia a rotelle. Puoi piantarti una forchetta nella gamba e non sentire niente. E se vuoi fare il vignettista, hai il vantaggio di essere già seduto”. Callahan è stato un grande umorista, ma la sua opera non è per tutti.

“Se qualcuno ride dicendo: ‘Non è divertente’, sai che sta leggendo John Callahan”, ha scritto P.J. O’Rourke. Nel 1992, quando ci siamo conosciuti, aveva appena rinunciato all’assistenza pubblica. Siamo rimasti in contatto per i successivi diciotto anni, durante i quali ha pubblicato le sue vignette in più di cinquanta giornali, tra cui il New Yorker e l’Independent (e in Italia Internazionale). Si è comprato una bella casa in una ricca zona della città e ha avuto un’assistente ventiquattr’ore su ventiquattro. Callahan teneva una bacheca in cucina, dove appendeva le lettere di protesta che riceveva dai lettori.

Uno s’infuriò per un disegno di Stanlio e Ollio ricoverati in un reparto per sieropositivi con la didascalia: “Ecco un altro bel pasticcio in cui mi hai cacciato”. Un altro lettore ebbe da ridire su una vignetta con due del Ku Klux Klan che indossano le tipiche lenzuola e uno dice: “Non ti piace quando sono ancora calde dell’asciugabiancheria?”. Ma Callahan non era sempre così provocatorio. Qualche anno fa mi ha mandato un disegno con due cani che bevono acqua in bottiglia. “Sai”, dice uno, “probabilmente questa roba non viene nemmeno da un cesso. Forse arriva da un fresco torrente di montagna, o qualcosa del genere”.

Quando si presentava a un nuovo giornale, Callahan non faceva mai cenno alla sua tetraplegia. Ma le faticose sfide poste dalla sua condizione fisica sono state cruciali sia per il suo carattere – generoso, autolesionista ed eccezionale nei rapporti di amicizia – sia per la sua opera. Fece i suoi ultimi passi a Buena Vista Park, in California, dove si era fermato a pulire il vomito sulla fiancata della sua Volkswagen. Callahan, che all’epoca era già alcolista, decise che non poteva guidare e consegnò le chiavi della macchina al suo amico Dexter che aveva “bevuto solo 26 boilermaker”. Si schiantarono contro un palo a 150 chilometri orari.

Dexter se la cavò con poco, mentre Callahan si spezzò la spina dorsale all’altezza della sesta vertebra, rimanendo in una condizione che ha descritto come “una via di mezzo tra il campione di decathlon e il rigor mortis”. A cena con lui dovevi tagliargli il cibo. Quando teneva le posate, le mani avevano l’esasperante goffaggine di quelle gru in miniatura che servono a pescare tesori di plastica nei luna park.

“Che stronza!”. (John Callahan)

Ma quando prendeva una penna, una mano sull’altra, controllando il movimento con la spalla, ogni traccia di goffaggine spariva. Dopo l’incidente ha subìto una serie di terribili interventi chirurgici, tra cui trapianti di ossa e la ricostruzione della vescica. Ma ha smesso di bere solo sei anni dopo, con l’aiuto degli alcolisti anonimi. Una volta ha disegnato una vignetta sul suo incidente. Steso per terra, circondato da vetri rotti e pezzi di carrozzeria aggrovigliati, dice a un infermiere: “Ci sono cinque dollari nella mia tasca. Vammi a comprare sei lattine di birra”.

Fu separato dalla madre alla nascita e affidato alle cure di Rosemary Callahan e del marito David, commerciante di cereali a The Dalles, una cittadina sul fiume Columbia. Il nonno e due zie morirono in incidenti d’auto. La prolungata ricerca della madre naturale si concluse con la scoperta che era morta precipitando da una scarpata in un’auto piena di suore. “Tutti questi rottami”, diceva Callahan. “Deve essere genetico”. Nella sua autobiografia del 1989, Don’t worry, he won’t get far on foot, si definisce un sessista da bar: “Penso di averlo scritto perché non volevo che la gente compatisse questo povero handicappato”, ha detto. “È significativo che i progressisti non sappiano come chiamarci. Ultimamente si sono affezionati a ‘diversamente abile’. Tutto sommato, preferirei essere chiamato storpio. È così romantico”.

“Non vi preoccupate. A piedi non andrà lontano”. (John Callahan)

Ma è stata l’ostinata riluttanza ad accettare la sua condizione a dargli forza per quasi quarant’anni. Al di là dei quotidiani problemi gastrici, negli ultimi anni soffriva sempre più spesso di infezioni renali e gravi piaghe da decubito.

Anche se non era tipo da preghiere, Callahan aveva una fede incrollabile in Dio. Una fede rafforzata dalla scomparsa della sua compagna Laura Mason, morta di cancro nel 2000. “Non sopporto quando la gente dice: ‘Si è inaridito perché è paralizzato’. Le cose che mi sono successe mi hanno dato un senso della vita più profondo”.

L’ultima volta che ci siamo visti mi ha detto: “È tanto che mi sento come una testa che si muove nello spazio, staccata da tutto. Ho dimenticato cosa vuol dire stare in piedi, correre, camminare lungo la spiaggia o ballare”. Le musica era una grande passione per Callahan, come l’arte o l’umorismo. Era orgoglioso di essere una delle pochissime persone che Bob Dylan ha cercato negli ultimi anni. “È venuto a trovarmi”, mi ha raccontato, “ho aperto bocca e ho sentito che dicevo: ‘Scrivo anche canzoni’. Che stupidaggine. È come incontrare Gesù e dire: ‘Ho sofferto anch’io per mano dei miei nemici’”.

“Un giorno, figliolo, tutto questo sarà tuo”. (John Callahan)

In realtà Callahan era un grande cantautore e ha collaborato con musicisti come Tom Waits e Thomas Lauderdale, pianista dei Pink Martini. Le canzoni di Callahan, come Touch me someplace I can feel, dal suo disco del 2006 Purple winos in the rain, avrebbero avuto più successo se la sua voce non fosse stata seriamente compromessa dalla paralisi. Al funerale (cattolico, come aveva chiesto), il fratello Rich ha letto l’elogio funebre: “Tutti quelli che lo conoscevano lo amavano, e quelli che lo odiavano non lo conoscevano”.

Con la sua morte la città di Portland, come tutti quelli che l’hanno conosciuto, ha vissuto la terribile esperienza di perdere un grande artista e un amico leale. Se c’è una qualche consolazione è la consapevolezza che John Callahan è finalmente libero dal corpo spezzato che lo esasperava e ispirava allo stesso tempo. E che, se il suo istinto religioso era ben fondato, Callahan ora è in un posto dove è libero di camminare e di ballare a piedi nudi sulla sabbia calda.

John Callahan

John Callahan (1951-2010) era un disegnatore statunitense, rimasto tetraplegico in seguito a un incidente automobilistico. Tra il 2000 e il 2007 Internazionale ha pubblicato ogni settimana una sua vignetta. In questi giorni è nelle sale Don’t worry, il film di Gus Van Sant tratto dalla sua autobiografia.

Questo articolo è uscito il 27 agosto 2010 nel numero 861 di Internazionale, a pagina 70. L’originale era uscito su The Independent con il titolo Prophet of bad taste.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Abbonati per ricevere Internazionale
ogni settimana a casa tua.

Abbonati