Quando tornava dai viaggi in barca dalla terra indigena della valle del Javari, Bruno Pereira si fermava ad Atalaia do Norte, nello stato di Amazonas, e mangiava nel piccolo ristorante fatto di assi di legno del signor Rosedilson Barroso Salvador, dove apprezzava il brodo di zoccolo di vacca e ascoltava musica sertaneja, specialmente la coppia Milionário & José Rico. Il proprietario del ristorante è un fan di Roberto Carlos e ascolta senza pausa il repertorio degli anni sessanta e settanta, selezionato sul suo computer.
“Arrivava dalla strada del porto e si metteva proprio dov’è seduto lei ora. Chiedeva sempre se lo Sport avrebbe giocato o se stava giocando. Quando c’era la partita, voleva guardarla in tv bevendo una birra Itaipava”, dice Barroso Salvador. Pereira era nato nello stato di Pernambuco, nell’est del Brasile, era esperto di questioni indigene e difensore dei diritti umani, e tifava per lo Sport, la squadra di Recife. Aveva vissuto per circa cinque anni ad Atalaia, dal 2012 al 2016, quando lasciò la direzione regionale della Fundaçao nacional do índio (Funai), l’agenzia governativa che si occupa della protezione dei nativi e delle loro terre. Dal 2020 Pereira aveva ricominciato a frequentare la città: collaborava con l’Univaja, la principale associazione di nativi della regione, svolgendo incarichi di organizzazione nella vigilanza della zona.
Aveva l’abitudine di mangiare anche nel ristorante di Dona Dila. Lo scorso 2 giugno, racconta José “Pacu”, il marito della proprietaria, aveva pranzato con due pesci fritti e bevuto quattro bibite insieme al giornalista britannico Dom Phillips. È stato l’ultimo pasto ad Atalaia prima di proseguire il viaggio sul fiume Itaquaí, dal quale non sono più tornati.
“Non sapevo che Dom Phillips fosse una persona così importante, altrimenti ci avrei parlato un po’”, dice José, mentre mostra il taccuino su cui ci sono ancora le ordinazioni di Pereira: un pesce, il matrinchã, anche se all’ultimo hanno preferito prendere il tambaqui. “Era tranquillo, una brava persona. Stava facendo il suo lavoro. Come i funzionari del Funai, che sono degli impiegati e fanno il loro mestiere”.
Un amico di tutti
Nailson Tenazor, che scrive il blog Jambo Verde e vive ad Atalaia do Norte, afferma che Bruno Pereira e alcuni nativi avevano sequestrato molte cose “fuori posto” nella regione, facendo arrabbiare i pescatori e i cacciatori di frodo. “L’ultimo sequestro di cui mi ricordo riguardava circa ottocento grandi tartarughe tracajá. Oggi una di queste tartarughe vale intorno ai 180 real, a seconda delle dimensioni. Loro ne presero ottocento”.
“Ho parlato molte volte con Pereira, per avere delle informazioni, ma non chiacchieravamo di altre cose. Sapevo che faceva il suo lavoro. Ma sai, è un lavoro… sensibilizzare la gente non è facile”, afferma. Tenazor ammette che non si può essere ipocriti, “perché a qualsiasi buon atalaiense culturalmente piace mangiare un tracajá”. Però è inaccettabile per chi vive qui, aggiunge, che avvenga la pesca di grandi quantità di animali dentro i confini della terra indigena. “Questo è un altro paio di maniche”, dice.
Nelle strade e nei ristoranti, nelle pensioni e nei bar di Atalaia do Norte, che ha più di ventimila abitanti ed è la città più vicina alla terra indigena della valle del Javari, la morte di Bruno Pereira, ucciso insieme a Dom Phillips, è vissuta come se a morire fosse stato un parente o un amico. Per molti di fatto era così.
Il capo indigeno Waki, noto come Kaissuma – il nome deriva da una specie di purea di avena – non abita ad Atalaia, ma ogni tanto va in città per risolvere questioni burocratiche del Funai e di altri enti pubblici. È un viaggio di tre-quattro giorni sui fiumi della regione. Si trovava ad Atalaia do Norte quando i due uomini sono scomparsi, il 5 giugno.
Il capo indigeno Waki era implacabile nel denunciare il trasporto e il commercio di legname rubato dentro la terra nativa
Lo studioso ammirava molto Waki , tanto da chiamare uno dei suoi figli come lui. Nel 2013 ho visitato il villaggio della tribù mayoruna San Meirelles, al confine tra Brasile e Perù, al limite della terra indigena della valle del Javari, dove si può arrivare con un piccolo aereo, in barca o camminando. Ci sono andato per assistere a un incontro tra i leader mayoruna organizzato da Waki. E ho subito capito la ragione dell’ammirazione di Bruno Pereira: Waki era implacabile nel denunciare il trasporto e il commercio di legname rubato dentro la terra indigena, anche se questo significava litigare con altri nativi conniventi. Waki provava a unire tutte le forze indigene per impedire i furti nei villaggi.
In quell’occasione, Pereira mi aveva detto che Waki stava facendo grandi progressi ed era un esempio positivo per tutta la valle del Javari. Parlava di lui con entusiasmo, come se impersonasse la soluzione di tutti i problemi. Altri agenti del Funai nutrono lo stesso rispetto e la stessa ammirazione per Waki. Tra gli indigenisti, Waki è l’esempio del leader indigeno della valle del Javari.
L’ultimo viaggio
Il giorno dopo la notizia dell’omicidio di Bruno Pereira e Dom Phillips, ho incontrato Waki nella vecchia sede del Funai di Atalaia do Norte. L’agenzia è stata trasferita in un altro edificio, perché il terreno dove sorgeva stava cedendo. In ogni caso, i nativi lo usano come rifugio temporaneo.
Waki era visibilmente afflitto, triste, con la faccia cupa. Si era appena rasato i capelli con un rasoio elettrico. Mi ha spiegato che è un segno di lutto tra i mayoruna, e lui l’aveva fatto per rendere omaggio a Pereira. Mi ha anche detto che non voleva dare un’intervista su Pereira, perché nella cultura mayoruna non si parla di un amico morto, almeno per qualche tempo.
Il 13 giugno, quando è circolata la notizia (poi smentita) che i corpi dei due uomini erano stati ritrovati, Waki ha reagito male. Non parla un portoghese fluente. In sostanza, mi ha detto che tra i mayoruna non si usa nascondere il corpo di una persona assassinata. Chi uccide deve annunciarlo a tutti e attendere le conseguenze nel punto esatto dov’è avvenuta la morte, insieme ai corpi. Significava che gli assassini di Bruno Pereira e Dom Phillips, pescatori di frodo, non erano altro che vigliacchi.
Negli ultimi mesi di vita, Bruno Pereira si era fermato spesso a dormire nella pensione Castro Alves. Oltre a essere vicina alla piazza centrale, è a pochi passi dalla sede dell’Univaja, e questo gli facilitava il lavoro. Per un lungo periodo, quando era coordinatore del Funai nella zona, Bruno si fermava in un terreno con una casa che aveva comprato a sei chilometri alla città, sulla strada che porta a Benjamin Constant. L’immobile era stato preso insieme ad altri sette funzionari dell’agenzia.
È una casa verde, di legno, con dei graffiti, e si nota subito quando si percorre la strada che viene da Benjamin. In fondo al terreno, di fronte a un lago, Pereira e sua moglie Beatriz Matos avevano costruito una piccola casa di calce bianca. Pochi mesi prima della morte, avevano invitato Jaime Mayoruma, l’attuale segretario per gli affari indigeni del comune di Atalaia ed ex coordinatore di protezione dei Funai, per prendersi cura della casa. Jaime, che conosceva Pereira dal 2015, si era trasferito con la moglie e un figlio alla fine di marzo. Ci abitava in cambio dei lavori di manutenzione del terreno e delle piante.
Il giorno prima del suo ultimo viaggio sul fiume Itaquaí, Pereira si era intrattenuto a parlare con Jaime nella sede dell’Univaja. Avevano pianificato un breve viaggio per incontrare i leader regionali sul fiume Jaquirana. “Volevamo mettere in piedi un’azione congiunta in quei villaggi insieme ai funzionari comunali”, spiega Jaime.
Con la morte di Bruno e Dom, Jaime non sa cosa lo aspetta in futuro per quanto riguarda la gestione della casa e del terreno. In una stanzetta esterna accanto alla casa, Bruno ha lasciato una piccola biblioteca di libri e fotocopie che al momento sono attaccati dalla muffa. Beatriz Matos ha espresso il desiderio di prendere gli oggetti del marito a breve. Ci sono libri sul Funai e il Serviço de proteção ao índio, testi di antropologia e biografie, come quella sulla vita del drammaturgo Nelson Rodrigues (O anjo pornográfico) scritta da Ruy Castro, e Galvez, imperador do Acre di Márcio de Souza.
Il tardo pomeriggio del 15 giugno i corpi di Bruno Pereira e Dom Phillips sono stati portati ad Atalaia do Norte e imbarcati su un elicottero delle forze armate atterrato sul retro del municipio. Il velivolo è decollato per Manaus per poi raggiungere Brasília. È stato l’ultimo viaggio di Bruno Pereira nella valle del Javari, che tanto amava e per la quale ha sacrificato la sua vita.
(Traduzione di Alberto Riva)
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Quest’articolo è uscito su Agência Pública.
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